Come richiedere un risarcimento per malasanità

Vediamo nel dettaglio come effettuare la richiesta di un risarcimento per malasanità.

richiedere un risarcimento per malasanità

1. Fotografia generale della malasanità italiana

Sempre più frequentemente leggiamo sulle prime pagine dei quotidiani nazionali casi di malasanità, di disorganizzazione delle strutture, di errori medici, di diagnosi errate  e di terapie sbagliate o ritardate che hanno coinvolto i pazienti creando loro danni gravissimi.

In linea di massima si ritiene che ci sia errore sanitario ogni qualvolta, dopo essersi affidato ad un medico o ad una struttura sanitaria, il paziente veda peggiorato il suo stato di salute. Facendo riferimento alle stime dell’OMS (l'Organizzazione mondiale della sanità, agenzia speciale dell'ONU per la salute, fondata il 22 luglio 1946 ed entrata in vigore il 7 aprile 1948) la metà circa di casi clinico assistenziale avversi non sarebbe riconducibile a responsabilità medica in quanto si tratterebbe di eventi comunque non prevenibili.

Resterebbero tuttavia un numero di circa 400.000 pazienti per i quali la causa dell’evento avverso verificatosi durante il ricovero andrebbe ricercata in una incongruità nel percorso assistenziale oppure in un errore nel percorso diagnostico-terapeutico
correlato alla condotta del personale sanitario.

In questi frangenti, pertanto, il danno medico riportato dal paziente sarebbe suscettibile di un risarcimento. Per richiedere un risarcimento del danno dovuto da malasanità il paziente, inizialmente, deve dimostrare l’esistenza della lesione alla sua salute e che l’aggravamento delle condizioni è la conseguenza dell’omissione colposa del medico, dell’azione o delle carenze della organizzazione sanitaria.

Bisogna, dunque, capire il nesso eziologico tra errore del medico e danno causato. La presenza degli elementi che causano il comportamento colposo sussiste quando è presente:

  • negligenza: ossia superficialità, disattenzione, incuria, omissione del compimento di una azione doverosa;
  • imprudenza: che può riferirsi alla condotta avventata del medico che, pur consapevole dei rischi, decide comunque di procedere con una specifica pratica;
  • imperizia: la quale coincide con l’insufficiente preparazione professionale e mancanza di abilità dovute dalla mancanza dell’esperienza necessaria.

Negli ultimi anni, per evitare il dilagare della malasanità e tutelare l’interesse sia del medico che del paziente, è stata pubblicata in G.U. il 17 marzo 2017 la legge Gelli-Bianco in tema di “disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie” che ha sostituito la nota legge n. 189 del 2012 (legge Balduzzi) al fine di adeguare i profili di responsabilità civile e penale degli operatori del settore medico e sanitario.

La suddetta riforma interviene ad abrogare l’art. 3 della legge Balduzzi per inserire l'art. 590-sexies (responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario) con cui è eliminato il riferimento alla colpa lieve, limitando la scriminante ai casi di colpa per imperizia.

Negligenza e imprudenza, altresì, determinano in ogni caso la punibilità del sanitario anche se la sua condotta era in linea con le indicazioni guida (che tratteremo successivamente), lasciando il tema della colpa medica privo di certezze interpretative. La limitazione di responsabilità professionale del medico ai soli casi di dolo e colpa grave attiene, secondo orientamento giurisprudenziale ormai prevalente, esclusivamente alla perizia per la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà. Per problemi tecnici di speciale difficoltà, al contrario, devono intendersi, come chiarito dalla giurisprudenza, casi particolarmente complessi o perché trascendano la preparazione media o perché non ancora studiati a sufficienza o perché dibattuti con riferimento ai metodi diagnostici, terapeutici o di tecnica chirurgica.

Un altro aspetto saliente è testimoniato dall’onero probatorio tra medico e struttura sanitaria alla luce della Legge Gelli Bianco, che differenzia la fonte delle responsabilità in contrattuale in capo alla struttura ed extracontrattuale in capo al medico, ove lo stesso non abbia agito nell’adempimento di un’obbligazione contrattuale assunta direttamente con il paziente. Circostanza ulteriormente rilevante è data dall’applicazione retroattiva della normativa in questione in quanto, secondo un recente indirizzo assunto dalla giurisprudenza di merito, si tratterebbe di una normativa avente carattere sostanziale ed interpretativo.

2. Documentazione necessaria ed iter iniziale

Per richiedere il risarcimento del danno è necessario disporre di tutta la documentazione che riguarda lo stato di malattia, gli accertamenti svolti, la diagnosi, il trattamento, la terapia o l’intervento subito dal paziente. Va, insomma, documentato l’iter al quale il paziente è stato sottoposto.

All’avvocato, pertanto, andranno forniti i seguenti documenti:

  • le cartelle cliniche;
  • i risultati di eventuali visite e/o analisi svolte;
  • le ricevute delle prestazioni mediche;
  • il diario clinico, ovvero gli esami, le lastre, le visite ed i certificati della sua situazione e del percorso diagnostico e terapeutico.

Toccherà, successivamente, all’avvocato incaricato, richiedere ad un consulente specializzato nella patologia della quale soffre il paziente di verificare tutta la documentazione e, sulla base delle condizioni attuali della persona, di chiarire se davvero esista una relazione fra l’operato medico- sanitario e il danno accusato dal paziente.

La prima fase della richiesta di risarcimento inizia con una lettera indirizzata al medico e alla struttura ritenuti colpevoli dell’evento, missiva con la quale si espongono i fatti, si contesta la responsabilità, si chiede il risarcimento e si sollecitano medico e struttura ad attivare le rispettive compagnie assicuratrici, affinché le stesse, esaminata la situazione, possano formulare un’offerta risarcitoria motivata e congrua. Se la lettera non sortisce effetto il percorso giuridico obbliga il
paziente, assistito dall’avvocato a tentare di trovare un accordo con il medico e la struttura sanitaria.

La legge Gelli Bianco ha messo a disposizione un doppio binario (accertamento tecnico preventivo con funzione conciliativa ex art. 696-bis c.p.c. e procedimento di mediazione ex D.L.vo 28/2010). Procedendo per la prima ipotesi la consulenza tecnica preventiva va richiesta con ricorso al Tribunale competente il quale nominerà un C.T.U. (condizione di procedibilità per la domanda di risarcimento, e, inoltre, considerata dalla giurisprudenza di legittimità come fonte oggettiva di prova, al contrario della C.T.P., il cui operato si ricollega ad un’attività di natura prettamente difensiva, ancorché di valore tecnico, collaborando con l’avvocato a sostegno della tesi difensiva della parte assistita) incaricato di redigere una perizia che, in via preliminare, accerti l'an e il quantum debeatur della responsabilità medica e tenti di conciliare le parti.

In caso di mancato raggiungimento di un accordo, la perizia sarà comunque un valido sostegno per permettere alla parte di decidere con consapevolezza se intraprendere o meno il giudizio vero e quindi passare ad un processo sommario di cognizione.  Al procedimento di consulenza tecnica preventiva devono partecipare obbligatoriamente tutte le parti, compresa l’assicurazione, le quali hanno l’obbligo di presentare al danneggiato un’offerta di risarcimento del danno o di comunicare i motivi per cui si ritenga non dovuta l’offerta (la mancata partecipazione alla consulenza da parte dell’assicurazione è soggetta a sanzioni dell’IVASS).

Nella seconda ipotesi, ovvero il procedimento di mediazione, consiste nel tentativo di trovare un accordo stragiudiziale attraverso l’opera di un mediatore che, una volta sentite le parti e verificata la situazione, propone una soluzione economica che ha carattere transattivo e che le parti sono libere di accogliere o meno.

3. Le tabelle e la quantificazione del danno subito

Nella legge Gelli Bianco si è deciso di applicare le tabelle di cui agli artt. 138 e 139 del Codice delle Assicurazioni (D.L.vo 209/2005). L’art. 138 prevede la predisposizione di una tabella nazionale delle menomazioni alla integrità psico-fisica (danno biologico, ovvero il danno nella lesione dell'interesse, costituzionalmente garantito, all'integrità fisica della persona) tra 10% e
100%, c.d. macropermanenti e del valore pecuniario da attribuire ad ogni singolo punto di invalidità comprensiva dei coefficienti di variazione corrispondenti all’età del soggetto leso.

Il III comma contempla la possibilità da parte del Giudice di un aumento sino al 30% dell’ammontare del danno determinato ai sensi della tabella unica nazionale nel caso in cui la menomazione accertata incida in maniera fortemente rilevante su aspetti dinamico-relazionali del danneggiato. L’art. 139 del Codice delle Assicurazioni disciplina, invece, le modalità liquidative del danno biologico per lesioni di lieve entità da 1% a 9%, c.d. micropermanenti.

Le Tabelle maggiormente utilizzate sono sicuramente quelle del Tribunale di Milano, che mettono in relazione i punti percentuali di invalidità permanente riportata dal paziente con un valore monetario per ogni punto e il tutto in rapporto all’età del soggetto.

Il danno biologico subito dall’individuo si basa soprattutto sul tipo di menomazione psicofisica e, se supera il 16%, si avrà diritto per legge ad un indennizzo patrimoniale che viene quantificato dalla tabella dei coefficienti. Giova rammentare che il danno biologico si calcola in base alla percentuale di menomazione riportate nella tabella. Una volta ottenuta la certezza del danno e della sua relativa percentuale, si aspetta il risarcimento che avviene tramite assegno, accredito sul proprio conto bancario, in alternativa con contanti (ovviamente rispettando i limiti di legge per le norme predisposte per l’antiriciclaggio) o bonifico. Per ricevere tutte le
informazioni necessarie riguardanti il danno biologico è consigliabile consultare preliminarmente il
sito dell’INAIL.

4. I termini di prescrizione

Un tema fondamentale riguarda i termini di prescrizione. Nella responsabilità contrattuale, infatti, il diritto del paziente danneggiato da un errore medico a richiedere un risarcimento malasanità si prescrive in 10 anni mentre nella extracontrattuale il termine è quinquennale. L’art. 6 “responsabilità penale dell’esercente la professione sanitaria”, introduce all’interno del codice
penale l’art. 590-sexies che prevede espressamente la responsabilità colposa dell’operatore sanitario a seguito di morte o lesioni personali del paziente.

Al medico, e più in generale al personale sanitario che nello svolgimento della propria opera cagiona colposamente, per negligenza e/o imprudenza, una lesione o la morte del paziente (si pensi, ad esempio, ad un errato trattamento chirurgico che comporta un danno al paziente o addirittura il suo decesso), verranno applicate le pene previste rispettivamente dall’art. 590 c.p. (lesioni personali colpose) e dall’art. 589 c.p. (omicidio colposo).

5. Il compito nevralgico delle linee guida

Secondo la nuova normativa, quindi, un operatore che causa lesioni personali o la morte del paziente per inesperienza o per mancanza di competenze, non può essere accusato penalmente per lesioni o per omicidio colposo se ha rispettato le linee guida previste. In particolare, quest’ultime, validate e pubblicate online dall’Istituto superiore di sanità, l’ente di diritto pubblico, posto sotto vigilanza del Ministero della salute che, in qualità di organo tecnico-scientifico del servizio sanitario nazionale, svolge funzioni di ricerca, sperimentazione, consulenza, formazione e controllo in materia di salute pubblica, servono ad:

  • aumentare la qualità del servizio;
  • instaurare un equilibrio tra costi ed idonea assistenza medica;
  • diminuire i rischi in maniera sensibile;

Le linee guida e gli aggiornamenti sono integrati nel Sistema nazionale per le linee guida (SNLG), il quale è disciplinato nei compiti e nelle funzioni con decreto del Ministero della salute. Sull’argomento si è recentemente espressa la Suprema Corte di Cassazione che, con la sentenza n. 20992/2018, nella sua massina affermava come “le linee guida non rappresentano un letto di Procuste insuperabile; esse sono solamente un parametro di valutazione della condotta del medico: di norma una condotta conforme alle linee guida sarà diligente, mentre una condotta difforme dalle linee guida sarà negligente od imprudente”.

Tuttavia, ciò non impedisce che una condotta difforme dalle linee guida possa esser ritenuta diligente, se nel caso di specie esistevano particolarità tali che imponevano di non osservarle; e per la stessa ragione anche una condotta conforme alle linee-guida potrebbe essere ritenuta colposa, avuto riguardo alle particolarità del caso concreto.

Di conseguenza occorre diligentemente valutare l’operato del medico tramite le analisi di specialisti del campo per poter avere un quadro generale e, successivamente, ottenere la consapevolezza di essere legittimati ad agire nei suoi confronti.

Fonti normative

Legge 23 dicembre 1996, n. 662;
Legge 8 marzo 2017, n. 24, Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita,
nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie. (GU Serie
Generale n.64 del 17-03-2017);
Cass. 30 novembre 2018, n. 20992;
Cass. 10 maggio 2000, n. 5945;Artt. 138-139 Codice delle Assicurazioni;
Artt. 590 sexies, 696 bis Codice procedura penale.

Michele Rabasco

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