A quali limiti sono sottoposti i patti di non concorrenza

Il patto di non concorrenza non è illimitato, in quanto è soggetto ad una serie di vincoli che rappresentano una tutela per i lavoratori o le imprese concorrenti.

Il patto di non concorrenza è un accordo che viene concluso tra datore di lavoro e dipendente (talvolta anche tra imprese) che vieta l’esecuzione di attività imprenditoriale direttamente concorrente. Tuttavia questo patto non è illimitato e presenta una serie di vincoli, i quali devono essere rispettati, pena la nullità. Scopriamo insieme quali sono, dopo aver approfondito brevemente tale tematica.

1. Cos’è il patto di non concorrenza?

Il patto di non concorrenza è un accordo che limita l’attività del prestatore di lavoro a partire dalla cessazione del contratto di lavoro subordinato, valido purché sussistano una serie di requisiti formali e materiali. La norma di riferimento è l’articolo 2125 del codice civile, che illustra chiaramente la fattispecie, sebbene la giurisprudenza nel corso degli anni sia intervenuta in diverse occasioni. Questo istituto riguarda principalmente le ipotesi di apertura di una propria azienda o di lavoro presso un’altra impresa in concorrenza con quella del precedente datore di lavoro; la ratio è quella di evitare potenziali conflitti di interessi.

Fondamentalmente questo patto vincola l’attività del prestatore di lavoro in riferimento non solo alle proprie mansioni, ma all’ambito lavorativo generale dell’azienda del datore di lavoro. Naturalmente il patto di non concorrenza non può in alcun modo comprimere la libertà di iniziativa economica, costituzionalmente tutelata; per questo motivo presenta una serie di limiti che comportano una precisa definizione dell’ambito di applicazione. Sul punto è intervenuta anche la Cassazione, con la sentenza n. 13282/2003: si ritiene nullo l’accordo che comprometta o annulli qualsiasi potenzialità reddituale ed esplicazione della professionalità del lavoratore.

1.1 Quali sono i limiti del patto di non concorrenza?

Come già anticipato il patto di non concorrenza presenta una serie di limiti, per la precisione di forma, di oggetto, di tempo e di luogo. Come indicato nel paragrafo precedente tale accordo non può comprimere completamente l’iniziativa economica del prestatore di lavoro: si tratta di un contratto a tutti gli effetti, nei quali viene impedito al lavoratore di eseguire attività imprenditoria in diretta concorrenza con il precedente datore di lavoro. Per questioni di tutela e di certezza del diritto, è richiesta tuttavia la forma scritta di tale accordo, pena la nullità.

Il patto di non concorrenza presenta inoltre dei limiti temporali precisi, indicati dallo stesso art. 2125 del codice civile: è prevista dalla legge una durata massima di 3 anni vincolante per tutti i prestatori di lavoro e di 5 anni per i dirigenti a cui è cessato il contratto di lavoro. Qualora il divieto di concorrenza sia stato concepito di una durata superiore, la prescrizione è ridotta al termine previsto dalla legge. L’estensione territoriale di un contratto simile, invece, è lasciata all’autonomia privata: deve essere specificata l’operatività territoriale, che si può estendere dalla singola città, all’intera nazione. Naturalmente la portata di tale divieto deve essere commisurata in base alla grandezza della struttura aziendale del datore di lavoro ed alla territorialità dell’attività imprenditoriale.

Un ulteriore caratteristica del patto di non concorrenza è la configurazione di contratto a prestazioni corrispettive: se da un lato il prestatore di lavoro è obbligato ad evitare la diretta concorrenza del datore di lavoro, dall’altro lato l’imprenditore deve garantire un corrispettivo in denaro a titolo di indennizzo. Qualora questo mancasse o non fosse adeguato all’impegno richiesto, l’accordo viene considerato nullo in automatico.

Su tale tematica è intervenuta spesso la giurisprudenza, che ha provveduto ad illustrare chiaramente questa serie di limiti e le relative nullità. In particolare risulta opportuno richiamare la sentenza n. 7835/2006 della Corte di Cassazione, la quale ribadisce la nullità assoluta del patto di non concorrenza in caso di mancanza di determinazione dell’oggetto, della durata e dell’estensione territoriale di tale accordo. La non presenza di questi elementi configura il contratto come una tutela potenzialmente illimitata a favore del datore di lavoro, andando a comprimere in modo eccessivo la libertà di attività imprenditoriale del prestatore.

1.2 Differenze tra patto di non concorrenza e divieto di concorrenza

Patto di non concorrenza e divieto di non concorrenza possono sembrare il medesimo istituto, ma in realtà presentano una differenza sostanziale. Il primo infatti consiste, come già ribadito, in un vero e proprio contratto (concluso perciò con l’accordo di entrambe le parti) che impone al prestatore di lavoro di non compiere per un periodo massimo di 3 anni un’attività imprenditoriale concorrente a quella del datore, nel periodo immediatamente successivo alla cessazione del contratto lavorativo.

Con divieto di concorrenza invece si fa riferimento alla norma indicata all’art. 2105 del codice civile, il quale prevede il divieto di trattare affari, per conto proprio o di terzi, a discapito degli interessi dell'imprenditore. Si tratta quindi di un’obbligazione accessoria derivante dal contratto di lavoro stesso, che impone al prestatore di tenere un comportamento di fedeltà nei confronti del datore. Viene qui a mancare il requisito dell’autonomia dell’accordo rispetto al contratto di lavoro.

1.3 Come opera il patto di non concorrenza tra le imprese?

Il patto di non concorrenza non solo opera tra datore di lavoro e dipendente, bensì può nascere anche tra le aziende. La ratio di un’eventualità simile deriva dalla volontà di evitare incrementi del costo del lavoro e di creare un mercato stabile. Si tratta di un accordo con le quali le varie imprese si impegnano a non effettuare proposte di assunzioni al lavoratore che si presenta con un impegno di assunzione da parte di una diretta concorrente.

Il patto di non concorrenza tra imprese risulta quindi un accordo che comporta il divieto di assunzione di prestatori di lavoro già formati e qualificati dai competitor. Inoltre questa tipologia di patto viene spesso conclusa per evitare che altre imprese possano tenere comportamenti simili con i propri dipendenti: tuttavia in questo modo si genera un mercato del lavoro poco dinamico. Tale pratica risulta spesso controversa, in quanto creatrice di barriere per l’entrata nel mercato lavorativo, tanto da essere spesso sanzionata in virtù dell’applicazione della disciplina antitrust.

2. Cosa accade in caso di violazione di patto di non concorrenza?

Il patto di non concorrenza tuttavia non è soggetto ad una serie di limiti solamente dalla parte del datore di lavoro: nonostante nei paragrafi precedenti siano state analizzate ipotesi di nullità (ad esempio in caso di mancanza di forma scritta), è opportuno analizzare le conseguenze che possono derivare da una violazione di tale accordo da parte del prestatore di lavoro. È necessario giustificare fin da subito che la successiva stipula di tale patto è vincolata dalla volontà di entrambe le parti: ciò significa che il datore di lavoro non può intimare o provvedere al licenziamento del lavoratore.

La violazione del divieto di concorrenza può tuttavia comportare il licenziamento: come già indicato in precedenza, questo rappresenta una mera obbligazione accessoria al contratto di lavoro. Qualora il lavoratore tenga un atteggiamento contrario a tale obbligo, può derivarne il licenziamento, considerato legittimo (in ipotesi di questo tipo) dalla stessa giurisprudenza.

Il datore di lavoro, inoltre, può usufruire di una serie di tutele e vantaggi derivanti dalla violazione del patto di non concorrenza; principalmente potrà agire nelle seguenti modalità:

- risolvere il patto, chiedendo non solo la ripetizione dell’indennizzo pagato, ma anche un risarcimento per i danni subiti a causa dell’attività imprenditoriale concorrente;

- chiedere l’adempimento del patto. In questo caso il datore di lavoro può procedere dinanzi al giudice e chiedere, con un’azione cautelare d’urgenza, l’interruzione della pratica concorrenziale.

Fonti normative

Art. 2125 codice civile: patto di non concorrenza

Art. 2105 codice civile: divieto di concorrenza

Sentenza n. 7835/2006 Corte di Cassazione

Sentenza n. 13282/2003 Corte di Cassazione

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