Acquisto di una società indebitata: a chi tocca sanare i debiti?

Chi intende diventare socio di una società già costituita o vuole rilevarla interamente non dovrebbe mai sottovalutare la situazione patrimoniale in cui la stessa versa, in quanto potrebbe vedersi obbligato al pagamento dei debiti sociali sorti anteriormente al suo ingresso.

Acquisto di una società indebitata

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1. Quando una azienda è considerata indebitata

Verificare lo stato di indebitamento di una società rappresenta una questione particolarmente delicata, ma altrettanto di fondamentale importanza, sia per chi intende acquisire le quote o rilevare l’intera azienda e sia nell’interesse della entità sociale medesima, ai fini della sua crescita economico e commerciale.

Una società particolarmente indebitata, difatti, potrebbe trovare ostacoli non indifferenti per ottenere un finanziamento a scopo di investimento in strutture, acquisto di macchinari, ampliamento delle sedi ecc..

Pertanto, come capire se un’azienda è indebitata? La risposta è la verifica dell’indice di indebitamento. Tale indice, indicato secondo la terminologia anglosassone col termine leverage (leva finanziaria), rappresenta una misura del tasso di indebitamento di un’azienda dato dal rapporto tra i mezzi propri e quelli di terzi.

Per capire questo rapporto bisogna innanzitutto chiarire quali sono le fonti di finanziamento di una azienda. Queste ultime, si distinguono in fonti interne ed esterne, ossia: il capitale proprio e il capitale di terzi.

Il capitale proprio, detto anche di rischio, è il valore dei conferimenti dei soci in azienda (capitale di apporto), vi rientrano anche le riserve, ossia gli utili non distribuiti (capitale di risparmio). Viene definito di rischio perché in caso di perdite o peggio ancora di fallimento è un capitale che andrà perduto.

Il capitale di terzi o detto di prestito rappresenta, invece, la principale fonte di finanziamento esterna di una azienda perché si tratta di somme proveniente da soggetti estranei (ad es. dalle banche), ed in sostanza costituiscono i debiti formati per motivi vari, (acquisto macchinari, impianti, merci, unità locali).

Per quanto attiene le modalità di calcolo dell’indice di indebitamento, le stesse mutano in base alle voci di passività che si vogliono indicare. La formula generica per calcolare la leva finanziaria è data nell’indicare al nominatore tutte le passività indistintamente (debiti verso banche, TFR, debiti verso soci e/o fornitori, costi per imprese controllate, debiti di tributi e contributi previdenziali, ratei passivi e risconti attivi ecc.), mentre al denominatore si indica sempre il capitale proprio:

leva finanziaria = tot. passività cap. proprio

  • Se il valore che si ricava dell’indice di indebitamento è pari a 1 vuol dire che l’azienda non ha debiti e, pertanto, tende all’autofinanziamento, una situazione, dunque, di “perfetta” autonomia di risorse;
  • Se il valore dell’indice di indebitamento è compreso tra 1 e 2 significa che l’azienda si trova in una situazione di equilibrio tra risorse proprie ed indebitamento;
  • Se il valore dell’indice di indebitamento è maggiore di 2 significa che il totale dei debiti è maggiori delle risorse proprie e l’azienda è in situazione di indebitamento.

Va detto, in ultimo, che la verifica della leva finanziaria non sempre può considerarsi un valore di riferimento assoluto, ma occorrerà effettuare ulteriori analisi, quali ad esempio il settore in cui opera l’azienda.

Difatti, in molti settori anche una situazione in cui le passività siano maggiori delle risorse non significa necessariamente che ciò debba far ritenere l’azienda medesima in pericolo di deficit ovvero a rischio di insolvenza, dato che in molti casi è quasi fisiologico, in base alla natura delle attività svolte, operare costantemente con il ricorso all’indebitamento(si pensi al settore sanitario, al settore edile).

Ciò che rileva è la verifica globale della struttura aziendale e la sua capacità di rendimento nel tempo ecc., un’analisi che richiede, evidentemente, l’ausilio di esperti revisori contabili.

2. Le modalità d’ingresso in società

Lo strumento che consente di diventare socio di una società già esistente è l’acquisto di partecipazioni sociali.

Per partecipazione sociale si intende la misura in cui ciascun socio prende parte alla vita della società in termini di diritti e doveri: essa viene rappresentata come una frazione del capitale sociale ed è inizialmente determinata, per ciascun socio, nell’atto costitutivo e sulla base dei conferimenti effettuati.

Tuttavia, la compagine sociale originaria non è destinata a rimanere immutata nel tempo, potendo infatti ampliarsi grazie all’ingresso di nuovi soci o mutare, in tutto o in parte, mediante la sostituzione dei soci originari con nuovi membri.

Nel primo caso, si rende necessaria un’operazione di aumento di capitale, in modo tale da rendere disponibile un’ulteriore “porzione” da assegnare al nuovo partecipante; nel secondo caso, invece, è sufficiente che il socio ceda la sua partecipazione a colui che vuole subentrare.

Con il termine «cessione» si intende ogni negozio che comporta il trasferimento della partecipazione, ragion per cui non farà differenza se le parti dovessero ricorrere ad una compravendita, piuttosto che ad una donazione, ad una permuta o ad altri schemi contrattuali.

Ciò che invece è importante chiarire è che, secondo l’interpretazione prevalente, con la cessione della partecipazione sociale non si realizza il trasferimento dei beni sociali da un soggetto all’altro, ma si verifica una vera e propria “successione” del nuovo socio in tutti i diritti e in tutti i doveri riconducibili alla partecipazione sociale ceduta.

Di conseguenza, diventa di interesse primario, soprattutto per il cessionario, informarsi sulle reali condizioni finanziarie della società, prendere atto degli ultimi bilanci sulla base dei dati fruibili dalla Camera di commercio, richiedere al socio cedente informazioni sull’eventuale morosità dei debitori o sulla redditività della partecipazione stessa, il tutto al fine di compiere un acquisto ponderato e consapevole.

Tuttavia, ciò non basta.

Occorre prima di tutto considerare la disciplina legale, tenendo presente che il legislatore detta regole diverse a seconda che si tratti di partecipazioni in società di persone o in società di capitali.

3. La cessione della quota sociale nelle società di persone: la posizione del cessionario e quella del cedente

Le società di persone sono quelle società (semplice, in nome collettivo e in accomandita semplice) in cui l’elemento personale, ossia il complesso dei soci, è prevalente rispetto all’elemento patrimoniale, tanto che cedere la propria partecipazione sociale significa modificare il contratto sociale e ciò può essere realizzato soltanto se consta il consenso di tutti gli altri soci.

Inoltre, nelle società a base personale vige il principio della “responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali” per cui i creditori sociali, dopo aver provato a soddisfarsi con la ricchezza della società, potranno in via subordinata aggredire il patrimonio personale dei singoli soci che saranno costretti a rispondere dei debiti sociali con tutti i propri beni presenti e futuri, fatta eccezione per i soli soci accomandanti di s.a.s. che risponderanno invece limitatamente alla quota conferita.

Questa regola ha portata generale ed è destinata a valere anche nei confronti di coloro che diventano soci in un momento successivo al sorgere del debito, in quanto si presume che l’adesione alla società comporti l’approvazione di tutto il precedente operato, ivi incluse le operazioni che hanno determinato l’indebitamento.

Il codice civile, infatti, dispone testualmente che “chi entra a far parte di una società già costituita risponde con gli altri soci per le obbligazioni sociali anteriori all’acquisto della qualità di socio”.

Pertanto, nel caso di cessione di quota sociale, il cessionario verserà nella stessa situazione in cui si sarebbe trovato se avesse partecipato alla società fin dall’origine e sarà obbligato a pagare tutti i debiti della società in misura proporzionale alla quota di cui è titolare.

Diversa, invece, è la posizione del socio uscente (il cedente) che, secondo la legge, è responsabile nei confronti dei creditori soltanto per le obbligazioni contratte dalla società fino al giorno in cui si verifica lo scioglimento del rapporto sociale, sempreché la fuoriuscita del socio dalla compagine sociale sia stata pubblicata nel Registro delle Imprese o comunque portata a conoscenza dei terzi con mezzi idonei.

Se questo è il regime legale che si attiva in assenza di accordi tra cedente e cessionario, è frequente nella prassi il ricorso alla cosiddetta “clausola di esonero di responsabilità”, con la quale il socio uscente si obbliga a tenere indenne il cessionario dai debiti pregressi che, almeno dal punto di vista temporale, non gli competerebbero.

Una simile clausola, però, non costituisce una deroga al regime generale stabilito dal codice civile, in quanto essa non esclude la possibilità che i creditori sociali si rivolgano al nuovo socio per il soddisfacimento delle proprie pretese, ma determina soltanto il riconoscimento di un diritto di rivalsa in suo favore: se il nuovo socio paga un debito sorto prima del suo ingresso in società, potrà poi chiedere al cedente la restituzione di quanto pagato.

4. La responsabilità limitata del socio nelle società di capitali

Diversamente da quanto appena visto per le società personali, nelle società di capitali (per azioni, a responsabilità limitata, in accomandita per azioni) vige il principio della responsabilità limitata, per cui tutti i soci, presenti e futuri, non dovranno attingere al proprio patrimonio personale per pagare i creditori sociali, visto che per le obbligazioni sociali risponderà soltanto la società con il suo patrimonio e nei limiti di questo, con l’unica eccezione per i soci accomandatari di s.a.p.a., che saranno invece responsabili solidalmente e illimitatamente per i debiti sociali.

Ne deriva che, nel caso di cessione di partecipazione sociale, l’unico rischio che nella peggiore delle ipotesi può correre il nuovo socio di una società di capitali è rappresentato dalla perdita dell’investimento effettuato.

Coerentemente, chi acquista non potrà invocare alcuna tutela in ordine alla consistenza patrimoniale della società o alla presenza di debiti taciuti da chi cede, anche se a tale ultimo riguardo la giurisprudenza ha in più occasioni chiarito che la differenza tra l’effettiva consistenza quantitativa del patrimonio sociale, rispetto a quella indicata nel contratto, incidendo sulla solidità economica e sulla produttività della società e quindi sul valore delle azioni o delle quote può dare vita alla mancanza di qualità essenziali della cosa ceduta che legittimerebbe il cessionario ad agire in giudizio per chiedere la risoluzione del contratto.

Ciononostante, nella contrattazione privata le parti sono libere di dare rilevanza alle eventuali passività, attraverso il ricorso a specifiche “clausole di garanzia”, con le quali il cedente potrebbe impegnarsi verso il cessionario e garantire la sussistenza di un certo netto patrimoniale oppure l’esistenza o la consistenza di singole poste dell’attivo e del passivo.

5. L’acquisto dell’intera partecipazione societaria: aspetti generali e peculiarità

Occorre infine considerare un’ulteriore ipotesi, molto frequente nella prassi.

Può capitare, infatti, che tutti i soci decidano di uscire dalla società e cedere le proprie partecipazioni ad un unico soggetto: si darebbe vita così ad un processo di rilevazione societario da non confondere con il fenomeno dell’acquisto di azienda (sul punto cfr. “Rilevare un’azienda: i rischi connessi e gli accorgimenti da prestare”) che porterebbe l’acquirente a diventare l’unico socio della società.

A tal proposito, è essenziale innanzitutto precisare che l’eventualità di una società unipersonale è possibile soltanto nell’ambito delle società di capitali e più precisamente nell’ambito delle s.p.a. e delle s.r.l., dal momento che non è invece ammissibile se non in via transitoria e nei casi previsti dalla legge una società di persone dotata di unico socio.

Di conseguenza, se da un lato non possono ravvisarsi i presupposti per applicare le norme relative alla cessione di quote di società personali, dall’altro il legislatore prevede un peculiare regime di responsabilità per la s.p.a. unipersonale, applicabile anche alla s.r.l. unipersonale.

Viene infatti stabilito che il socio unico, in deroga al regime generale, assume la responsabilità illimitata per i debiti sorti nel periodo in cui era titolare dell’intera partecipazione, soltanto quando la società è in stato di insolvenza e sempreché:

  • il capitale sociale non sia stato interamente eseguito;
  • non sia stata eseguita la pubblicità nel Registro delle Imprese prescritta per la presenza del socio unico.

6. Novità legislative

Con il D.L. n. 118/2021, convertito con la legge n. 147/2021, lo scorso 16 maggio 2022 è entrato in vigore il Codice della Crisi e dell’Insolvenza (D.Lgs. n. 14/2019). Questo, in particolare, apporta importanti cambiamenti nella gestione di questa fase della vita di una società prevedendo, in primo luogo, un nuovo obbligo di segnalazione della crisi - da parte dei creditori pubblici qualificati. L’obbligo decorre dal giorno 01.01.2022 ai sensi dell’art. 30 sexies, D.L. n. 152/2021 (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 233/2021).

Sono creditori pubblici qualificati:

  1. l’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS);
  2. l’Agenzia delle entrate;
  3. l’Agenzia delle entrate-Riscossione (ADER).

Questi, invero, dovranno segnalare il superamento di determinate soglie di esposizione debitoria fiscale e/o contributivo all’imprenditore, ove esistente, all’organo di controllo , tramite posta elettronica certificata o, in mancanza, mediante raccomandata con avviso di ricevimento inviata all’indirizzo risultante dall’anagrafe tributaria. La segnalazione ha lo scopo di incentivare i destinatari delle comunicazioni ad attivarsi preventivamente per la verifica del presupposto del “going concern” e assume una connotazione di tipo informativo.

Essa, dunque, non determina alcun obbligo di ricorso all’istituto della composizione negoziata benché sia evidente come, ricevuta la comunicazione, l’eventuale inerzia dell’organo amministrativo e/o del collegio sindacale potrà essere giudicata quale elemento sfavorevole non solo ai fini dell’analisi di “meritevolezza“ per l’accesso alla composizione negoziata e/o alle procedure concorsuali ordinarie, ma anche in ordine ad eventuali future azioni di responsabilità nei confronti degli organi sociali.

L’art. 30 sexies, comma 1, D.L. n. 152/2021, convertito nella legge n. 233/2021, individua le seguenti soglie di indebitamento rilevanti ai fini della segnalazione:

  1. INPS: ritardo di oltre 90 giorni nel versamento di contributi previdenziali di ammontare superiore: 
    a. per le imprese con lavoratori subordinati e parasubordinati, al 30 % di quelli dovuti nell’anno precedente e all’importo di € 15.000,00;  
    b. per le imprese senza lavoratori subordinati e parasubordinati, all’importo di € 5.000,00;
     
  2. Agenzia Entrate: esistenza di un debito scaduto e non versato relativo all’imposta sul valore aggiunto, risultante dalla comunicazione dei dati delle liquidazioni periodiche superiore all’importo di € 5.000,00;
     
  3. ADER: esistenza di crediti affidati per la riscossione, autodichiarati o definitivamente accertati e scaduti da oltre 90 giorni, superiori:
    a. all’importo di € 100.000,00, per le imprese individuali;
    b. all’importo di € 200.000,00 per le società di persone;
    c. all’importo di € 500.000,00 per le altre società;

Le segnalazioni riguarderanno:

  1. per INPS, i debiti accertati a decorrere dal 1° gennaio 2022 per quanto di competenza dell’INPS;
  2. per l’Agenzia Entrate, i debiti risultanti dalle comunicazioni periodiche relative al 1° trimestre 2022;
  3. per l’ADER, i carichi affidati all’agente della riscossione a decorrere dal 1° luglio 2022 per quanto di competenza dell’Agenzia delle entrate-Riscossione.


E verranno inviate:

1. da parte di INPS e ADER, entro 60 giorni decorrenti dal verificarsi delle condizioni o dal superamento degli importi per l’obbligo di segnalazione entro i seguenti termini:

  • da parte di Agenzia Entrate, entro 60 giorni dal termine di presentazione delle comunicazioni dei dati delle liquidazioni periodiche e, quindi, entro i seguenti termini (salvo proroghe eventuali):
     
  • a. 1° trimestre 2022: invio segnalazione entro il 30.07.2022 (presentazione Lipe 31.05.2022);
  • b. 2° trimestre 2022: invio segnalazione entro il 15.11.2022 (presentazione Lipe 16.09.2022);
  • c. 3° trimestre 2022: invio segnalazione entro il 29.01.2023 (presentazione Lipe 30.11.2022);
  • d. 4° trimestre 2022: invio segnalazione entro il 29.04.2023 (presentazione Lipe 28.02.2023).

La segnalazione inviata, oltre a riportare le informazioni relative al superamento delle soglie di indebitamento prestabilite, contiene altresì l’invito a richiedere l’attivazione dell’istituto della composizione negoziata della crisi (art. 2, D.L. n. 118/2021 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 147/2021), qualora ne ricorrano i presupposti.

Essa, inoltre, assume una connotazione profondamente differente dagli obblighi di segnalazione introdotti dal D.Lgs. n. 14/2019 proprio perché appare evidente la volontà di incentivare i destinatari delle comunicazioni ad attivarsi preventivamente per la verifica del presupposto del “going concern”. Ciò appare confermato non solo dalle linee guida della Direttiva (UE) 2019/1023, ma anche dalle “Note di Avanzamento delle Misure del PNRR” pubblicate dal MIG a dicembre 2021 nelle quali viene espressa l’inadeguatezza delle misure di allerta introdotte dal Codice della Crisi d’Impresa rispetto al contesto economico attuale e, soprattutto, l’eccessiva onerosità del modello di segnalazione OCRI rispetto al nuovo modello di preallarme introdotto con l’istituto della composizione negoziata. In quest’ottica, quindi, come detto, la segnalazione assume connotazione di tipo informativo ed esorta la P.A. a verificare l’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile istituito ai sensi dell’art. 2086 c.c. al fine di cogliere tempestivamente potenziali segnali di crisi.

Stessa considerazione deve essere rivolta anche all’eventuale organo di controllo per il quale la segnalazione deve essere intesa come sollecito all’attività di monitoraggio prevista ai sensi dell’art. 2403 c.c. Il decreto sulla crisi d’impresa ha, inoltre, rinviato al 31.12.2023 l’operatività delle procedure di allerta e di composizione assistita della crisi in esso contenute.

Tale rinvio appare rappresentativo e sintomatico della volontà di procedere ad una profonda revisione della disciplina in materia di crisi d’impresa in ragione delle mutate circostanze derivanti dalla crisi economica provocata dalla pandemia da COVID-19 che, nella pratica, ha fatto emergere anticipatamente l’esigenza di istituire strumenti di allerta precoce anticipatori delle potenziali situazioni di insolvenza, peraltro già individuati nelle linee d'azione contenute nella Direttiva (UE) “Insolvency” 2019/1023, prevedendo l’introduzione di “early warning tools” e privilegiando procedure di risoluzione della crisi d’impresa ispirate alle “Alternative Dispute Resolution – ADR”.

Donato Marinelli - Marco Mantelli

7. Fonti normative

Artt. 2252, 2267, 2269, 2290, 2304, 2313, 2325 Codice Civile

Cass. n. 18181/2004; Cass. n. 24490/2013; Cass. 160604/2014

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Avvocato Marco Mantelli

Marco Mantelli

Sono l'avv. Marco Mantelli, esercito continuativamente la professione da 10 anni. In questo periodo ho trattato diverse questioni, tutte afferenti l'area del diritto civile ed, in particolare, quella della responsabilità contrattuale d ...