Principio di Colpevolezza: Significato e Applicazione
Scopri cos'è il principio di colpevolezza e come si applica nel diritto penale italiano. Leggi la guida completa.
Una condotta umana non può essere considerata doverosa e nemmeno illecita se non sia espressione di libertà, ossia non comprenda una deliberazione soggettiva nel senso della volontà concreta, tale da implicare un possibile addebito di responsabilità.
In questo contesto si inscrive, quindi, la necessità dell’accertamento della colpevolezza, che in gergo tecnico-giuridico può essere utilizzato in una duplice accezione.
Secondo una prima interpretazione deve essere intesa quale sinonimo di reità, come ricavabile dal combinato disposto degli articoli 111 comma quarto della Costituzione e 273 del codice di procedura penale, in cui l’espressione indica la responsabilità di un soggetto nei riguardi della commissione del fatto tipico e punibile.
Nell’altro significato assunto dal concetto di colpevolezza quest’ultima è intesa come il complesso degli elementi soggettivi sui quali si fonda la responsabilità penale. Secondo tale ultima accezione, quindi, essa rappresenta il passaggio dall’ipotesi di pura responsabilità oggettiva a forme di responsabilità incentrate sulla valutazione del rapporto sussistente tra l’autore del fatto e il fatto stesso.
Pur non sussistendo una nozione codificata della colpevolezza, secondo l’interpretazione attuale la colpevolezza richiede quali presupposti, da un lato, la capacità di intendere e di volere, in assenza della quale alcun rimprovero può essere mosso all’autore del reato, e, dall’altro lato, la sussistenza dell’elemento psicologico del reato.
La colpevolezza, quindi, rappresenta un principio fondamentale del sistema penale moderno, dal momento che delimita lo spazio dell’illecito penale, consentendo di punire solo fatti di reato che siano psicologicamente riconducibili ad un determinato soggetto, incidendo anche sulla quantificazione della pena.
Il principio, quindi, consente di ricollegare la responsabilità penale alle sole condotte rientranti nella sfera di possibilità soggettive di controllo, oltre che di commisurare la sanzione in riferimento alle forme psicologiche rilevanti oltre che al disvalore dell’azione e dell’evento nonché di altre circostanze in cui si è formata la determinazione al delitto.
Origine Storica del Principio di Colpevolezza
Dalle radici romane al diritto moderno
L’affermazione del principio di colpevolezza rinviene origini di gran lunga risalenti nel tempo.
Infatti, già nell’epoca romana si veniva a delineare in ambito penale il principio di colpevolezza o di imputabilità secondo il quale si sosteneva che, per aversi responsabilità penale di un soggetto, era necessario, innanzitutto, che sussistesse il nesso di causalità tra la condotta criminosa e l’evento dannoso, ossia che quest’ultimo fosse conseguenza diretta dell’azione posta in essere.
Si richiedeva, tuttavia, in aggiunta anche che sussistesse un elemento soggettivo in capo all’autore del reato, consistente in concreto nella consapevolezza e volontà di commissione del fatto.
Si richiedeva, quindi, per un’affermazione della sua responsabilità in ambito penale che il soggetto agente avesse agito con dolo o con colpa.
In proposito, le nozioni di dolo e di colpa ai sensi della disciplina della normativa vigente all’epoca romana erano leggermente differenti rispetto a quelle vigenti oggi e delle quali si dirà meglio nel paragrafo successiva.
In particolare, si riteneva che per potersi configurare dolo era necessario e sufficiente che l’azione fosse sorretta da intenzionalità (oggi è indispensabile che oltre che voluto l’evento sia anche previsto quale conseguenza possibile dell’azione), mentre la colpa sussisteva se l’azione era compita con negligenza o imprudenza.
Evoluzione nel diritto penale europeo
Per quanto precipuamente attiene al principio di colpevolezza nel diritto penale europeo, invero, deve evidenziarsi come non vi siano norme che in tale campo esplicitino in maniera chiara l’affermazione di tale principio.
Esso risulta evincibile solo in maniera indiretta da alcune disposizioni, tra le quali si rammentano:
- l’articolo 6 comma secondo della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, sul "Diritto a un Equo Processo” nella parte in cui si prevede che ogni persona che venga accusata di un reato è presunta innocente fino a quando non venga legalmente accertata la sua colpevolezza;
- l’articolo 7 della CEDU, che lascia intendere che il giudizio di condanna deve essere sorretto dall’accertamento di colpevolezza di un’azione e omissione che al momento della commissione era considerata come crimine;
- gli articoli 48 della Carta di Nizza, che richiedono che per superare la presunzione di innocenza il legale si sia accertato la colpevolezza del soggetto.
Definizione Giuridica del Principio di Colpevolezza
Differenza tra colpevolezza morale e colpevolezza giuridica
Il concetto di colpevolezza secondo l’orientamento interpretativo più risalente nel tempo deve intendersi quale nesso psichico volto a collegare il fatto commesso all’autore dello stesso, richiedendo che sia sorretto da dolo o da colpa. Ne consegue che il fatto è ritenuto colpevole qualora l’autore lo abbia previsto e voluto o, almeno, anche se non lo abbia previsto e voluto, avrebbe dovuto e potuto prevederlo e, quindi, avrebbe potuto evitarlo usando l’ordinaria diligenza.
In senso più recente, invece, è invalsa la teoria normativa, secondo la quale la colpevolezza si concretizza in un contrasto tra il processo psicologico sottoposto all’azione è la ratio sottesa alla norma giuridica incriminatrice.
La colpevolezza, quindi, comprende sia il dolo che la colpa, dal momento che non solo implica la volontà dell’autore contrastante con la disposizione normativa, avendo egli voluto ciò che non avrebbe dovuto volere, e che non si è previsto ciò che si sarebbe dovuto.
Colpevolezza e responsabilità personale
Primo corollario della previsione del principio di colpevolezza risiede nel fatto che si opina nel senso che, affinché possa parlarsi di adesione psicologica al fatto di reato in termini di dolo o quantomeno di colpa, il fatto non può che essere punito a titolo di responsabilità personale.
Ciò implica il divieto che dinnanzi al giudice penale un soggetto sia chiamato a rispondere per il fatto altrui, ossia per un fatto che sia stato commesso da un’altra persona.
Come si avrà modo di evidenziare nel prossimo paragrafo il principio di responsabilità penale trova fondamento nel testo costituzionale all’articolo 27 ed è presupposto indefettibile affinché possa muoversi nei confronti dell’autore del fatto un rimprovero a titolo normativo.
Alcun giusto rimprovero potrebbe, al contrario, muoversi nei confronti di un soggetto qualsiasi per un comportamento commesso da altri e in riferimento al quale non potrebbe in alcun modo incidere con l’esercizio della propria volontà.
Fondamenti Costituzionali in Italia
Articolo 27 della Costituzione Italiana
L’accoglimento da parte dell’ordinamento giuridico italiano del principio di colpevolezza e di responsabilità penale personale ha trovato consacrazione, oltre che a livello di legge ordinaria, anche a livello costituzionale.
Viene in rilievo, in particolare, il disposto dell’articolo 27 della Costituzione Italiana, il quale, come si vedrà nel prosieguo, vuole implicare il deciso ripudio di ogni forma di responsabilità oggettiva, ossia priva di adesione morale al fatto commesso e fondata esclusivamente sul dato della produzione materiale dell’evento collegato alla condotta dell’autore.
In particolare, vengono in rilievo i primi due commi della disposizione da ultimo citata.
Il comma primo sancisce il principio della personalità della responsabilità penale, in tal modo imponendo il divieto generale che qualsiasi soggetto possa rispondere penalmente per la commissione del fatto altrui.
Il fulcro del principio di colpevolezza è, inoltre, specificato dal comma secondo, laddove viene sancito che la dichiarazione di colpevolezza dell’imputato consegue solo all’emissione condanna definitiva.
Interpretazioni della Corte Costituzionale
La norma è stata oggetto di interpretazioni diametralmente opposte.
Secondo la prima l’articolo 27 della Costituzione sarebbe da intendere come previsione intesa a vietare in via esclusiva ogni forma di responsabilità penale per fatto altrui. Ne consegue che la responsabilità penale richiederebbe esclusivamente che venga fornita la prova della produzione sul piano materiale del fatto illecito da parte dell’autore.
Di contro, altro orientamento opina nel senso di ritenere che l’articolo 27 della Costituzione debba essere interpretato non solo come divieto di responsabilità per fatto altrui, bensì anche di ogni forma di responsabilità oggettiva, ossia non sorretta da adesione psicologica alcuna rispetto al fatto commesso.
Alla base del principio di responsabilità penale personale si pone la previsione della funzione retributiva della pena, richiedendo la volontà colpevole dell’autore, oltre che la finalità rieducativa della pena, essendo illogico rieducare un soggetto al quale non può muoversi alcun rimprovero, nemmeno a titolo di colpa.
Il Principio di Colpevolezza nel Processo Penale
Presunzione di innocenza e onere della prova
Come anticipato poco sopra, il principio della presunzione di innocenza è consacrato nel secondo comma dell’articolo 27 della Costituzione, laddove è prescritto che l’imputato, ossia il soggetto nei confronti del quale il giudizio è stato avviato il processo penale a seguito della formulazione del capo di imputazione, non possa essere ritenuto colpevole fino alla pronuncia di sentenza definitiva di condanna.
Ciò sta a significare che fino a che non siano stati conclusi tutti i possibili gradi di giudizio entro i termini fissati dalla legge e fino a quando, quindi, non siano più rimasti strumenti di impugnazione esperibili avverso la sentenza di condanna l’imputato deve essere considerato innocente.
Ebbene, la colpevolezza deve essere provata nel corso del giudizio, seguendo il canonico criterio di ripartizione dell’onere della prova, secondo il quale compete:
- alla pubblica accusa (ossia il Pubblico Ministero) provare in giudizio la colpevolezza dell’imputato, producendo tutti gli elementi utili a supportare la richiesta di emissione di una pronuncia di condanna;
- alla difesa dell’imputato spetta, invece, dimostrare nel corso del giudizio la sua innocenza, mediante la produzione e/o la richiesta di elementi probatori o istanze istruttorie volti a smontare l’accusa formulata dal Pubblico Ministero nella richiesta di rinvio a giudizio.
Il ruolo della difesa nel garantire il principio
Da quanto appena evocato deve concludersi che compito precipuo del difensore dell’imputato fornire nel corso del giudizio fornire la dimostrazione che non sussistono i presupposti per la pronuncia di una sentenza di condanna.
Per procedere in tal senso è necessario, quindi, che l’avvocato dimostri che difettano uno o più degli elementi costitutivi del fatto tipico, ossia:
- tipicità: riconducibilità del fatto commesso a quello dettagliatamente descritto dalla norma incriminatrice;
- antigiuridicità: commissione del fatto in contrasto con le previsioni incriminatrici e, comunque, in assenza di cause di giustificazione;
- colpevolezza: l’avvocato deve dimostrare che il fatto di reato sia stato commesso dal soggetto con dolo o colpa o, nei casi previsti dalla legge, preterintenzionalmente e salvo che l’ordinamento non abbia istituito una particolare ed eccezionale forma di responsabilità oggettiva;
- punibilità: secondo una teoria (c.d. quadripartita) si tratta di elemento costitutivo del reato, in aggiunta a quelli sopra enucleati, e sussiste qualora l’ordinamento giuridico non abbia inteso introdurre cause specificamente individuate che escludono l’applicazione della pena nel caso concreto.
Quanto, in particolare, alla prova della mancanza di colpevolezza è, quindi, necessario che il difensore provi che il soggetto abbia agito senza aver voluto o previsto l’evento conseguente al fatto commesso.
Forme di Colpevolezza: Dolo, Colpa e Preterintenzione
Dolo: volontà e consapevolezza dell'azione
Il dolo rappresenta la forma più grave di colpevolezza nonché il criterio normale di imputazione soggettiva, essendo dal codice penale previsto che nessun soggetto possa essere punito per un fatto previsto dalla legge come delitto se non lo ha commesso con dolo, salvi i casi eccezionali in cui sono espressamente previsti delitti preterintenzionali o colposi.
Il dolo, in particolare, richiede non solo che l’evento conseguente alla condotta sia non solo previsto, ma anche voluto dall’agente.
Ciò significa che il soggetto agente deve aver previsto l’evento quale conseguenza possibile della condotta posta in essere e contrastante con la normativa penale. Inoltre, è necessario che vi sia la massima adesione da parte del soggetto riguardo l’evento, nel senso che l’agente deve volere quell’evento come conseguenza della propria azione criminosa.
In linea di massima, quindi, in assenza di contestuale riscontro di volontà e di colpevolezza dell’azione l’elemento soggettivo del dolo non sarebbe integrato.
Colpa: negligenza, imprudenza, imperizia
Il codice penale dispone che il delitto è considerato colposo, o contro l’intenzione, se l’evento conseguente all’azione, anche se preveduto, non è in alcun modo voluto dall’agente e si verifica per negligenza, imprudenza, imperizia o inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline.
Qualche specificazione deve essere formulata, in particolare, a chiarimento dei concetti di negligenza, imprudenza e imperizia, che connotano la colpa cosiddetta generica.
La negligenza si sostanzia nell’inosservanza di una regola di condotta che abbia una finalità preventiva, prescrivendo un comportamento attivo e, quindi, consistendo nell’omissione di una ritenuta cautela doverosa a causa di un difetto di attenzione.
L’imprudenza, invece, richiama un contegno avventato, contrastante con una norma sociale che suggerisca di astenersi dal compimento di una determinata azione o richieda, comunque, di compierla secondo determinate modalità.
L’imperizia, infine, viene definita come l’inettitudine dimostrata rispetto alle regole tecniche determinate dalle regole dell’arte valide nei singoli settori disciplinari di riferimento.
Preterintenzione: conseguenze non volute
Il delitto è preterintenzionale o contro l’intenzione se dal comportamento attivo od omissivo dell’agente consegue la realizzazione di un evento dannoso o pericoloso che sia più grave di quello voluto dall’agente.
Si richiedono, quindi, per la sussistenza della preterintenzione:
- la volizione di un evento;
- la realizzazione di un evento più grave, causalmente collegato alla volontà dell’evento meno grave.
Allo stato attuale, peraltro, la normativa in materia penale prevede solo due fattispecie espressamente definite come preterintenzionali. Si tratta delle seguenti figure:
- l’omicidio preterintenzionale, (articolo 584 codice penale);
- l’aborto preterintenzionale, (articolo 18 comma secondo legge 22 maggio 1978).
Limiti e Critiche al Principio di Colpevolezza
Problemi applicativi nella prassi giudiziaria
Il principio di colpevolezza solleva questioni di non poco momento in riferimento all’accertamento in corso di causa.
Infatti, nonostante le disposizioni normative vigenti in materia di elemento soggettivo del reato e, quindi, di dolo, colpa e preterintenzione è spesso molto difficile sondare ed accertare quale sia stato l’elemento psicologico che abbia sorretto l’azione criminosa.
Si tratta sostanzialmente di vagliare e indagare la sfera psichica e psicologica interna del soggetto agente, auspicando di comprendere quali possano essere state le spinte psicologiche che ne lo abbiano determinato all’azione.
Indagare le spinte psicologiche interne è tutt’altro che semplice, a meno che esse non si siano esteriorizzate mediante modalità peculiari della condotta ovvero il ricorso a particolari strumenti.
L’organo giudicante, quindi, dovrà basarsi su una valutazione complessiva di tutta la vicenda concreta al fine di ricavare tutti gli elementi utili dai quali desumere il grado di adesione psicologica da parte dell’autore all’evento concretamente verificatosi.
Critiche dottrinali e prospettive di riforma
La previsione e applicazione del principio di colpevolezza, ricavabile, oltre che dall’articolo 27 della Carta Costituzionale dalle disposizioni sull’elemento soggettivo del reato, come attualmente concepito, tuttavia, non è andato esente da critiche, tali da spingere a ipotizzare anche prospettive di riforma.
Tra gli altri spunti presi in considerazione si deve rammentare, innanzitutto, la difficoltà a livello interpretativo del principio di colpevolezza stesso, emendabile mediante circoscrizione più precisa dei confini della nozione di colpa.
Tra l’altro, difficoltoso risulta essere anche comprendere come il principio possa essere applicato in settori determinati, nei quali l’accertamento risulta essere particolarmente complesso (si pensi al settore della responsabilità medica).
Inoltre, ci si chiede se tale principio non potrebbe essere applicato in maniera estensiva in settori connotati da particolare gravità, come quello della criminalità organizzata e, quindi, se possa applicarsi anche a soggetti che, pur non avendo agito personalmente, abbiano, comunque, preso parte all’organizzazione dei piani criminosi.
Applicazioni Concrete: Casi Giurisprudenziali Rilevanti
Sentenze esemplari della Corte di Cassazione
In riferimento all’applicazione del principio di colpevolezza nell’ordinamento interno vengono in rilievo, in particolare, le questioni relative all’accertamento della colpevolezza nelle situazioni, sempre più frequenti, di stato di ubriachezza del soggetto che si sia reso colpevole del fatto.
Di recente, la questione è stata affrontata in merito al reato di violenza o minaccia perpetrata nei confronti del pubblico ufficiale e si è incentrata, in particolare circa l’indagine e l’accertamento del dolo generico richiesto dalla fattispecie legale.
La Suprema Corte di Cassazione è da lungo tempo orientata nel senso che l’accertamento deve essere effettuato in osservanza dei principi generali in materia e, quindi, in ossequio alle disposizioni che concernono le forme di elemento psicologico che possono sorreggere la commissione del reato.
In aggiunta, deve considerarsi come, tra l’altro, l’accertamento della colpevolezza dell’agente deve essere effettuato avendo riguardo al momento della commissione del fatto e non anche a quello della procurata ubriachezza.
Infine, si è ormai da tempo affermato l’orientamento secondo cui, provocando lo stato di ubriachezza una riduzione della capacità di intendere e di volere, è possibile procedere all’accertamento mediante una verifica dell’elemento soggettivo in termini semplificati, sussistendo il dolo qualora il soggetto potesse attivarsi in modo razionalmente concatenato all’evento realizzato.
Impatto sulla giurisprudenza europea
Si è già detto come, in realtà, il principio di colpevolezza non risulti essere normativamente espressamente previsto a livello europeo, essendo solo desumibile da talune norme previste da particolari convenzioni.
Tuttavia, la validità di tale principio non è in alcun modo messa in discussione, così come non lo sono le relative implicazioni circa ulteriori principi che ne fungono da corollari.
Viene, in questo caso, in rilievo, ad esempio, l’impatto sul principio della presunzione di innocenza nell’ambito del processo penale, tale per cui il soggetto imputato non può essere ritenuto colpevole sino al momento in cui sia pronunciata una sentenza definitiva di condanna nei suoi confronti, bensì anche di quello di presenziare al giudizio instaurato nei suoi confronti.
Il fine, quindi, è quello di garantire lo svolgimento di un processo che possa essere ritenuto equo.
Si è giunti, in proposito, a concludere che il principio della presunzione di innocenza nel diritto europeo deve essere valutato in tre accezioni, che si sostanziano:
- nel divieto assoluto di presentare in pubblico indagato o imputato come colpevole;
- nella necessità di fornire la prova, oltre ogni ragionevole dubbio, della relativa colpevolezza;
- nel diritto riconosciuto all’imputato/indagato a restare in silenzio e a non autoincriminarsi.
FAQ sul Principio di Colpevolezza
Che cosa si intende per principio di colpevolezza nel diritto penale?
Secondo una prima interpretazione è intesa quale sinonimo di reità e indica la responsabilità di un soggetto nei riguardi della commissione del fatto tipico e punibile.
Secondo altra accezione è intesa come il complesso degli elementi soggettivi sui quali si fonda la responsabilità penale, rappresentando il fondamento di forme di responsabilità incentrate sulla valutazione del rapporto sussistente tra l’autore del fatto e il fatto stesso.
Pur non sussistendo una nozione codificata della colpevolezza, secondo l’interpretazione attuale la colpevolezza richiede quali presupposti, da un lato, la capacità di intendere e di volere, e, dall’altro lato, la sussistenza dell’elemento psicologico del reato.
Qual è la differenza tra dolo e colpa ai fini della colpevolezza?
L’elemento differenziale sostanziale tra dolo e colpa ai fini dell’accertamento della colpevolezza deve essere identificato nell’aspetto volitivo dell’evento verificatosi in conseguenza all’azione criminosa posta in essere dal soggetto agente.
In proposito, infatti, deve rammentarsi che:
- per aversi dolo è necessario che l’evento conseguente all’azione criminosa commessa sia non solo previsto, ma anche voluto proprio quale conseguenza della condotta;
- al contrario, in ossequio al disposto del codice, la colpa sussiste qualora il fatto sia previsto quale conseguenza della condotta, ma non sia voluto dall’agente e si concretizza nella negligenza, imprudenza, imperizia e inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline.
Come si garantisce il principio di colpevolezza in un processo penale?
La colpevolezza forma oggetto di prova, spettando:
- alla pubblica accusa di provare in giudizio la colpevolezza dell’imputato, producendo tutti gli elementi utili a supportare la richiesta di emissione di una pronuncia di condanna;
- alla difesa dell’imputato, invece, di dimostrare nel corso del giudizio la sua innocenza, mediante la produzione e/o la richiesta di elementi probatori o istanze istruttorie volti a smontare l’accusa formulata dal Pubblico Ministero nella richiesta di rinvio a giudizio. Quanto, in particolare, alla prova della mancanza di colpevolezza è necessario che il soggetto ha agito senza aver voluto o previsto l’evento conseguente al fatto commesso.
Il principio di colpevolezza vale anche per i minori?
La risposta al quesito deve essere positiva, seppur con alcune precisazioni.
Occorre distinguere i minorenni in:
- soggetti infraquattordicenni, per i quali vige il principio di presunzione dell’incapacità di agire, non ritenendosi essi essere in grado di percepire a pieno gli effetti potenziali della condotta posta in essere: ne consegue che in alcun modo essi sono considerati imputabili e, quindi, non possono essere condannati;
- soggetti di età compresa tra i quattordici e i diciotto anni, ritenuti imputabili e la cui emissione di eventuale pronuncia di condanna richiede l’accertamento della colpevolezza, ma la pena concretamente irrogabile deve essere, comunque, diminuita.
In quali casi il principio di colpevolezza può essere limitato?
L’ordinamento giuridico italiano prevede alcune situazioni in cui l’applicazione del principio di colpevolezza deve essere assolutamente escluso. Sono le cosiddette cause di esclusione della colpevolezza, che si concretizzano nelle seguenti:
- errore inevitabile sulla legge penale: l'agente incorre nella trasgressione nonostante si sia debitamente informato e conosca il contenuto dei precetti normativi;
- caso fortuito e forza maggiore: eventi caratterizzati rispettivamente da imprevedibilità e irresistibilità;
- costringimento fisico: posto in essere da altri, elimina completamente il potere di agire del soggetto agente;
- errore sul fatto: consiste, propriamente, nella falsa o nell’inesatta rappresentazione della realtà oggettiva, naturalistica o normativa.

Chiara Biscella
Dopo la laurea in giurisprudenza presso l'Università degli studi dell'Insubria e il conseguimento del diploma presso la Scuola di specializzazione per le professioni legali dell'Università Cattolica del Sacro Cuore, ho intrapreso, ment ...