La falsa testimonianza

La falsa testimonianza è un reato per cui si può essere puniti con la reclusione in carcere da due a sei anni.

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1. Cosa si intende per falsa testimonianza?

Il reato di falsa testimonianza è il reato che viene commesso da chi renda false dichiarazioni o ometta di rendere informazioni fondamentali in sede di deposizione testimoniale. Questa tipologia di delitto, viene considerato quale reato contro l’amministrazione della giustizia: infatti l’interesse tutelato dalla norma codicistica è quello del corretto funzionamento della giustizia e della procedura giudiziaria.

Per i motivi sopra citati, il reato di falsa testimonianza può essere perpetrato da chiunque ricopra il ruolo di testimone, potendosi quindi giustamente qualificare questo reato nella più ampia categoria di reato proprio. Come si evince dal contenuto stesso della norma, l’elemento oggettivo del reato consiste sia nel rendere falsa testimonianza che omettendo di dichiarare quanto è a conoscenza di colui che riveste il ruolo di testimone in un processo, essendo poi l’ufficio di testimone obbligatorio per legge.

L’elemento soggettivo invece consiste in un semplice dolo generico, vale a dire nell’avere la volontà e la consapevolezza che in quel dato momento si sta dichiarando il falso o omettendo informazioni che sono fondamentali ai fini dell’istruttoria in un processo. Il reato oggetto dell’odierna trattazione viene considerato sia appunto come reato proprio che come reato di pericolo, intendendosi per tale un reato che mette in pericolo il corretto sviluppo delle indagini, nonché dell’istruttoria processuale.

2. Quali sono le conseguenze della falsa testimonianza?

La pena prevista per coloro che dichiarano il falso od omettono di rendere giusta testimonianza va da 2 a 6 anni di reclusione. Per tutelare però la parte offesa, il codice prevede specifiche e più gravi conseguenze qualora per effetto della falsa testimonianza derivi una condanna di una certa afflittività. Per capire quali siano le conseguenze sanzionatorie derivanti dalla falsa testimonianza, si deve analizzare il contenuto dell’art 375 c.p., che saranno di seguito brevemente elencate:

  • se dalla commissione del reato ne deriva da parte dell’autorità procedente una condanna non superiore nel massimo della pena a 5 anni, la condanna per falsa testimonianza prevede un minimo di 3 fino a un massimo di 8 anni di reclusione;
  • se dalla condanna deriva una condanna superiore a 5 anni nel massimo della pena, la relativa condanna per il reato di falsa testimonianza andrà da 4 a 12 anni di reclusione;
  • se dalla condanna deriva la pena dell’ergastolo, la relativa condanna per aver reso falsa testimonianza sarà la reclusione fino a 20 anni.

3. Quando è possibile invocare una causa di non punibilità o una causa di giustificazione?

La punibilità può essere esclusa del soggetto attivo dal momento in cui egli ritratti la falsa testimonianza e dichiari il vero prima della chiusura della fase dibattimentale, dimostrando in questo modo pieno risentimento in relazione alla condotta tenuta fino a quel momento.

Per citare poi la causa di giustificazione più popolare e conosciuta, si citi quella di cui all’art 384 c.p. qualora il soggetto:

  • sia stato costretto a rendere falsa testimonianza a seguito di minaccia o stato di pericolo per sé o per un prossimo congiunto, ovvero da chi per legge non avrebbe potuto rivestire la carica di testimone in quel determinato processo;
  • non sia stato messo al corrente della facoltà di non deporre (si pensi ad una madre che è chiamata a deporre contro il figlio);
  • non sia stato avvertito della facoltà di non rispondere o perché incapace di intendere e di volere.

In questi casi opera nei loro confronti il meccanismo delle cause di giustificazione che non li rende perseguibili per legge.

4. Chi sono i soggetti lesi e come si realizza

Il reato di falsa testimonianza è previsto dall’articolo 372 del codice penale, il quale recita che: “Chiunque, deponendo come testimone innanzi all’Autorità giudiziaria o alla Corte penale internazionale, afferma il falso o nega il vero, ovvero tace, in tutto o in parte ciò che sa intorno ai fatti sui quali è interrogato, è punito con la reclusione da due a sei anni”.

Analizzando la norma si possono desumere tutti gli elementi identificativi del reato; esso viene realizzato da chiunque rivesta la qualità di testimone dinanzi a qualsiasi autorità giudiziaria del nostro ordinamento nonché alla corte penale internazionale, dando peraltro rilevanza al reato anche in sede extranazionale. La condotta realizzata può essere di tipologia differente:

  • affermare il falso (quindi la condotta si realizza mediante commissione);
  • negare il vero;
  • tacere, in tutto o in parte, ciò di cui si è a conoscenza (la condotta si realizza mediante omissione o reticenza).

Questa condotta è stata prevista quale reato in quanto il legislatore ha ritenuto indispensabile tutelare il buon funzionamento dell’attività giudiziaria. Si tenga infatti conto che, laddove una decisone finale fosse basata su una testimonianza non veritiera, potrebbe condurre alla punizione di un soggetto innocente ovvero ad uno sviamento delle indagini delle autorità tale da condurla in errore o in lungaggini inutili. Questo reato è detto di pericolo in quanto basta che influisca in qualche modo sull’esito del processo, senza necessariamente condurre ad una sentenza erronea.

Tuttavia, la particolarità del reato riguarda il soggetto passivo dello stesso, in quanto esso non è il privato a sfavore del quale possa essere deposta la falsa testimonianza, bensì sono lo Stato e la collettività. Questa previsione è in linea con la tutela del buon funzionamento dell’attività giudiziaria in quanto sono proprio questi due soggetti ad avere interesse in ciò.

Per realizzare il reato di falsa testimonianza è sufficiente che il colpevole sia a conoscenza del fatto che ciò che sta dichiarando non corrisponde al vero (il momento della dichiarazione coincide col momento della commissione), e pertanto il legislatore ha ritenuto che fosse sufficiente l’identificazione di un dolo generico.

5. Soggetto passivo del reato di falsa testimonianza

Si è detto che con questo reato si intende tutelare la correttezza della giustizia.

Pertanto, si può essere accusati di falsa testimonianza anche indipendentemente dall’esito del processo penale o del processo civile, e dal fatto che la decisione del giudice possa essere o meno erronea. Basta il comportamento in sè del testimone che abbia voluto dire bugie o omettere la verità, perché la giustizia sia messa in pericolo, e il comportamento sia da considerare passibile di condanna.

Parimenti costituisce però un’aggravante l’ipotesi in cui dalla falsa testimonianza dipenda la condanna, evidentemente erronea, di un altro soggetto. L’aggravante viene calcolata modulandola in base alla gravità della pena inflitta al terzo.

Il soggetto passivo del reato quindi è la collettività, pertanto il privato che ha denunciato la falsa testimonianza non è legittimato ad opporsi all’archiviazione richiesta dal PM o al successivo ricorso per Cassazione contro la declaratoria di inammissibilità dell’opposizione.

6. Circostanze aggravanti del reato

Nel delitto in esame trovano applicazione le circostanze aggravanti previste dall’articolo 383 bis del codice penale, in particolare sono circostanze dette di natura oggettiva in base alle quali si configura un aumento proporzionale della pena, in tre diversi “scaglioni”, in relazione alla gravità della condanna dovuta alla sentenza deviata dalla falsa testimonianza resa. Si prevede pertanto:

  • reclusione da due a sei anni: quando la pena inflitta sia inferiore cinque anni;
  • reclusione da quattro a dieci anni: quando la sentenza di condanna abbia previsto una pena superiore a cinque anni per il soggetto avverso al quale è stata deposta falsa testimonianza;
  • reclusione da otto a vent’anni: quando il soggetto sia stato condannato all’ergastolo.

Per poter condurre ad un aumento della pena è indispensabile che la sentenza di condanna sia passata in giudicato ma anche provare che effettivamente la dichiarazione mendace sia stata determinante per la decisione conclusiva.

7. Cause di non punibilità e ritrattazione

Nel reato in esame è possibile applicare l’articolo 376 del codice penale riguardante la ritrattazione. Questo comportamento consiste nel fatto che, chi ha precedentemente dichiarato il falso o negato il vero, decida invece di manifestare la verità, rendendo noti effettivamente i fatti di cui è a conoscenza. Tuttavia, per poter escludere la punibilità del reato, è necessario che la ritrattazione avvenga:

  • prima della chiusura del dibattimento nel processo penale;
  • prima della sentenza definitiva, anche revocabile, nel processo civile.

Per quanto concerne le cause di non punibilità è qui applicabile l’articolo 384 c.p. ai sensi del quale si prevede la non punibilità di chi abbia reso falsa testimonianza:

  • da chi sia stato costretto per salvare sé stesso o un prossimo congiunto da grave e inevitabile danno di libertà o onore;
  • da chi, per legge, non avrebbe dovuto essere assunto come testimone, non avrebbe potuto essere obbligato o avrebbe dovuto essere avvertito della facoltà di non rispondere.

Sono due previsioni diverse e la giurisprudenza è intervenuta in particolar modo sull’eventualità che un soggetto renda dichiarazioni mendaci, senza avvalersi della facoltà di non rispondere, al fine di tutelare un prossimo congiunto. Diversi sono stati gli orientamenti a riguardo dell’ipotesi in cui un soggetto abbia reso falsa testimonianza per salvaguardare un prossimo congiunto, nonostante fosse stato avvertito della facoltà di non rispondere. La Corte di Cassazione penale si è espressa nel 2007 sull’argomento, sostenendo una posizione negativa rispetto all’idea di giustificazione di un soggetto che decida di rendere falsa testimonianza per salvare un prossimo congiunto da un nocumento, anche laddove sia stato avvertito della possibilità di non testimoniare. Nonostante sia stata riconosciuta la fondamentale importanza dei vincoli familiari, la Corte ha anche ritenuto necessario ricordare che il legislatore ha accordato al prossimo congiunto la facoltà di astenersi dalla testimonianza (se l’interessato pensi di non poter superare il conflitto tra legame familiare e obbligo di verità). Si deduce quindi che se l’interessato decida, in piena libertà, di deporre ugualmente dichiarando il falso, egli sia punibile. Questo anche perché il rischio sarebbe quello di rendere possibile la creazione di un testimone con la facoltà di mentire e sarebbe quindi del tutto incompatibile col sistema processuale e con la figura stessa del teste.

8. Come si prova la sussistenza della falsa testimonianza?

Provare la sussistenza di questo reato non è sempre facile. Prima di tutto, laddove si pensi di essere stati vittima di questa condotta delittuosa, è necessario assumere tutti gli elementi idonei al fine di provarla. Quindi accedere a tutti i verbali di causa relativi alla deposizione di cui si sospetta la non veridicità, anche tutte quelle dichiarazioni che siano idonee a dimostrare che il teste abbia dichiarato il falso o negato il vero.

Ad esempio, nell’indagine a riguardo, si potrebbe principalmente cercare di capire se il testimone fosse effettivamente dove ha dichiarato di essere o se invece fosse altrove, ovvero cercare di dimostrare che il teste avrebbe potuto avere qualche interesse nel dichiarare una finta verità.

9. Novita’ giurisprudenziali nella falsa testimonianza resa nell’ambito di procedimenti civili

Nell’ambito della causa di non punibilità prevista al secondo comma dell’art. 384 c.p., è importante segnalare un recente pronunciamento della Corte di Cassazione (Cass. Pen. 44697/19), per il quale sarebbe applicabile l’esclusione dalla punibilità dal delitto di falsa testimonianza, qualora la dichiarazione mendace sia stata resa in un procedimento civile, da un soggetto che non poteva assumere la veste di testimone per via dell’interesse nella causa.

Affinché la scriminante possa essere applicata, si deve trattare di un interesse tale da determinare l’incapacità a testimoniare ai sensi dell’art. 246 c.p.c., a rigore del quale:” non possono essere assunte come testimoni le persone aventi nella causa un interesse che potrebbe legittimare la loro partecipazione nel giudizio”.

Sul punto, inoltre, la sentenza in commento ribadisce un principio già concordemente affermato dalla giurisprudenza, secondo cui l’interesse che determina l’incapacità a testimoniare sia solo quello giuridico, personale, concreto ed attuale (Cass. Civ. 8239/12).

Pertanto, come l’interesse ad agire, l’interesse che determina l’incapacità a testimoniare “comporta o una legittimazione principale a proporre l’azione o al contrario di contraddirvi” (Cass. Civ. 10382/2002): pensiamo all’obbligato solidale del convenuto che avrebbe potuto essere citato dall’attore o, al contrario, al soggetto che il convenuto avrebbe potuto chiamare in garanzia.

In questi casi siamo di fronte a soggetti che non possono essere chiamati a testimoniare in un dato giudizio perché titolari di un interesse che potrebbe legittimarli a partecipare nel giudizio medesimo, anche in veste di interventore adesivo indipendente.

Perché il soggetto, che abbia un interesse nel giudizio civile, possa invocare la causa di non punibilità di cui all’art. 384, secondo comma, c.p., non deve avere “un interesse di mero fatto”, ma un diritto sostanziale giuridicamente tutelabile a norma dell’art. 246 c.p.c. Per un interesse di mero fatto dobbiamo intendere quello idoneo ad influire sulla attendibilità del teste, che va tenuta distinta dalla capacità di testimoniare per via dell’esistenza di un interesse sotteso nella causa.

Sara Barbalinardo

10. Fonti normative

Codice penale: artt. 372, 376, 383 bis, 384.

Corte di Cassazione, Sezioni Unite Penali: Sentenza 29 novembre 2007, n. 7208.

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Avvocato Reva Kunze

Reva Kunze

Sono l'avv. Simona De Mauri, mi occupo di diritto penale diritto civile, in particolar modo di procedure esecutive, diritto commerciale, assicurativo e famiglia.