Maltrattamenti in famiglia: quando c’è reato?

Quando si configura il reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi?

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1. La condotta e i soggetti passivi del reato

Il delitto di maltrattamenti contro familiari e conviventi è previsto e punito dall’art. 572 c.p. con la pena della reclusione da due a sei anni e consiste in una serie ripetuta di atti vessatori commessi a danno di familiari o di persone legate da un rapporto di convivenza stabile.

A seguito dell’interpretazione della giurisprudenza e della successiva modifica normativa, il reato non riguarda più esclusivamente i nuclei familiari fondati sul matrimonio, ma più in generale qualunque relazione che comporti vincoli affettivi e legami di assistenza e protezione paragonabili a quelli di una famiglia (quindi ogni coppia stabile o “famiglia di fatto”).

La norma punisce altresì ogni soggetto che maltratti persone sottoposte alla propria autorità o a lui affidate per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia o per l'esercizio di una professione o di un'arte.

Il concetto di “maltrattamenti” ricomprende atti di violenza sia fisica che psicologica compiuti abitualmente a danno della vittima e che abbiano l’effetto di cagionare a quest’ultima sofferenze e imporle un regime di vita insostenibile.

Può considerarsi violenza psicologica, ai fini dell’applicazione della norma, l’umiliazione, denigrazione e mortificazione costante di una persona o l’instaurazione di un rapporto di vita basato sulla paura e prevaricazione.

2. Abitualità

L’elemento costitutivo della fattispecie è l’abitualità della condotta.

Se i singoli episodi di violenza fisica o morale non sono collegati dal nesso dell’abitualità, allora il reato di cui all’art. 572 c.p. non può configurarsi.

La Corte di Cassazione ha chiarito che non possono essere presi in considerazione singoli e sporadici episodi di percosse o lesioni, poiché trattasi di una ipotesi di reato necessariamente abituale, che si caratterizza per la sussistenza di una serie di fatti, per lo più commissivi, ma anche omissivi, i quali, isolatamente considerati, potrebbero anche essere non punibili (atti di infedeltà, di umiliazione generica, etc.), oppure non perseguibili (percosse o minacce lievi, procedibili solo a querela), ma acquistano rilevanza penale per effetto della loro reiterazione nel tempo. [1]

3. Creazione di un regime di vita insostenibile

L’abitualità della condotta deve essere accompagnata da una complessiva gravità dei comportamenti posti in essere nel tempo.

La giurisprudenza ha fatto riferimento ad una serie di “atti lesivi di diritti fondamentali della persona” che siano inquadrabili all'interno di una cornice unitaria caratterizzata dall'imposizione al soggetto passivo di un regime di vita oggettivamente vessatorio ed umiliante. [2]

Ne consegue che i maltrattamenti devono essere valutati da un punto di vista oggettivo e non solo con riferimento alla percezione del soggetto passivo (ad esempio non configura il reato la generica situazione di tensione e litigiosità tra coniugi che può precedere la fine del matrimonio, anche se prolungata nel tempo).

È altresì rilevante dimostrare che il colpevole accetti di compiere i singoli atti di violenza fisica e morale nella consapevolezza di persistere in un’attività illecita, già compiuta altre volte.

4. L’allontanamento dalla casa familiare e l’accesso al patrocinio a spese dello Stato

Le vittime di maltrattamenti compiuti nel contesto familiare sono nella maggior parte dei casi soggetti particolarmente vulnerabili, quali donne e minori.

Una volta denunciato il fatto, l’autorità giudiziaria può garantirne la sicurezza soprattutto tramite il sistema delle misure cautelari personali, al fine di impedire all’autore del reato di reiterare le violenze.

Il Pubblico Ministero potrà richiedere al Giudice di applicare all’indagato la misura cautelare dell’allontanamento dalla casa familiare (art. 282 bis c.p.p.): un provvedimento con cui il Giudice prescrive allo stesso di lasciare immediatamente la casa familiare e di non accedervi senza la sua autorizzazione. L’ordinanza applicativa della misura cautelare può anche prevedere l’obbligo per l’autore del reato di effettuare il pagamento di una somma periodica in favore dei familiari o conviventi che, per effetto della misura, rimangano privi di mezzi economici adeguati.

Nei casi in cui l’incolumità delle vittime sia seriamente a rischio, potrà essere anche disposta la custodia cautelare in carcere (la pena massima di 6 anni di reclusione prevista dall’art. 572 c.p. consente infatti l’applicazione della misura carceraria).

Al fine di agevolare l’accesso alla giustizia da parte delle vittime del reato di maltrattamenti, l’art. 76 comma 4-ter del Testo Unico in materia di Spese di Giustizia (D.P.R. 115/02) stabilisce che le persone offese dal delitto di cui all’art. 572 c.p. possano richiedere l’accesso al Patrocinio a spese dello Stato in deroga al limite di reddito previsto dalla legge (il quale è stabilito in un reddito del nucleo familiare annuo imponibile non superiore ad € 11.493,82).

Il Patrocinio a spese dello Stato garantisce alle vittime dei maltrattamenti di poter partecipare al processo penale e costituirsi parte civile senza dover pagare il compenso professionale dell’Avvocato ed ogni altra spesa di giustizia collegata.

Edoardo Massari

Fonti normative

Art. 572 c.p.

Art. 282 bis c.p.

Art. 76 comma 4-ter D.P.R. 115/02

[1] Cass. Pen, Sez. VI, n. 5258 del 09/02/2016;

[2] Cass. Pen., Sez. VI, n. 45037 del 02/12/2010.

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