Cause di non imputabilità nel diritto penale italiano
Scopri le principali cause di non imputabilità nel diritto penale italiano e come funzionano.
Introduzione al concetto di imputabilità
Ai sensi e per gli effetti dell’articolo 85 del codice penale nessun soggetto può essere assoggettato a pena per un fatto previsto dalla legge come reato se nel momento in cui lo ha commesso non era imputabile, con la specificazione che è imputabile solo colui che abbia la capacità di intendere e di volere.
In proposito non può non evidenziarsi come l’ordinamento giuridico italiano abbia opinato nel senso che la pena, considerata nella sua carica afflittiva e nella sua finalistica tensione alla rieducazione e risocializzazione del colpevole, non può non presupporre in chi deve scontarla la capacità di comprendere a pieno il valore degli atti che compie e di determinarsi in forma del tutto autonoma, così esercitando una scelta consapevole e, quindi, responsabile.
Importanza delle cause di non imputabilità nel diritto penale
Il particolare rilievo delle cause di non imputabilità nel diritto penale risiede, quindi, nell’escludere in radice che il soggetto che versa in uno stato di incapacità di intendere e di volere, conseguente a uno qualsiasi dei motivi dettati dalla legge, possa essere in qualche modo sanzionato penalmente.
Nella trattazione si tenterà di fornire un quadro il più completo possibile dell’istituto, a prendere le mosse dalla definizione per poi procedere con l’analisi delle casistiche e della relativa disciplina.
Definizione di imputabilità e non imputabilità
Cosa significa essere imputabili
Essere imputabili significa, quindi, essere in possesso della capacità di intendere e di volere.
Si tratta di un concetto che sintetizza l’insieme delle condizioni psico-fisiche che, rientrando nella norma, consentono di attribuire all’autore di un fatto corrispondente ad una previsione normativa, rendono l’agente meritevole della comminazione di una sanzione penale.
In proposito, si ritiene che la capacità di intendere corrisponda all’attitudine del soggetto di comprendere il significato del proprio comportamento, a rendersi conto del valore sociale delle proprie azioni nel contesto sociale in cui si inseriti.
La capacità di volere, invece, si identifica con il potere di controllare i propri stimoli e impulsi ad agire, ossia di attivare i meccanismi psicologici di impulso o di inibizione secondo il motivo che appare più ragionevole in relazione al contesto.
Sembra opportuno sottolineare come la capacità di intendere e di volere nell’ordinamento giuridico interno si presume. Si tratta di una di quelle presunzioni che sono definite in gergo tecnico “iuris tantum”, ossia l’imputabilità si presume fino a che non venga fornita la prova contraria.
In linea generale, in specie, si considera normalmente sussistente l’imputabilità di un soggetto quando questi abbia compiuto la maggiore età, fissata in Italia al compimento del diciottesimo anno di età.
Quando si parla di non imputabilità
Da quanto evidenziato al paragrafo precedente emerge quale conseguenza che la non imputabilità è definibile in termini di difetto delle condizioni che consentono di parlare di imputabilità.
Non è, quindi, imputabile il soggetto che difetti della capacità di intendere o di volere per una qualsiasi delle motivazioni poste dall’ordinamento e che vengono riepilogate in quelle di seguito elencate:
- la minore età;
- l’infermità di mente;
- gli stati emotivi e passionali;
- l’ubriachezza e l’intossicazione da sostanze stupefacenti;
- il sordomutismo,
qualora ricorrano per ciascuna di esse le condizioni di volta in volta espressamente dettate dal codice penale.
Fondamento normativo delle cause di non imputabilità
Articoli 85-96 del Codice Penale
Il fondamento normativo delle cause di esclusione dell’imputabilità o cause di non imputabilità deve essere individuato nelle disposizioni contenute negli articoli compresi tra l’85 e il 96 del codice penale compresi, i quali prescrivono puntualmente tutte le regole e l’operatività delle cause di esclusione dell’imputabilità, ossia le cause in presenza delle quali l’ordinamento giuridico ritiene che non possa ritenersi sussistente in capo al soggetto che commette il fatto illecito la capacità di intendere e di volere.
Nel dettaglio le disposizioni appena evocate disciplinano rispettivamente:
- articolo 85: il concetto di capacità di intendere e di volere, presupposto indefettibile dell’imputabilità;
- articolo 86: la determinazione in altri dello stato d'incapacità allo scopo di far commettere un reato;
- articolo 87: le conseguenze derivanti dallo stato preordinato d'incapacità d'intendere o di volere;
- articolo 88: il vizio totale di mente;
- articolo 89: il vizio parziale di mente;
- articolo 90: gli stati emotivi e passionali;
- articolo 91: l’ubriachezza derivata da caso fortuito o da forza maggiore;
- articolo 92: l’ubriachezza volontaria o colposa ovvero preordinata;
- articolo 93: il fatto commesso sotto l'azione di sostanze stupefacenti;
- articolo 94: l’ubriachezza abituale;
- articolo 95: la cronica intossicazione da alcool o da sostanze stupefacenti.
Il ruolo della capacità di intendere e di volere
La capacità di intendere e di volere, quindi, riveste un ruolo fondamentale, risultando essa presupposto indefettibile affinché possa ritenersi che un soggetto agisca in maniera consapevole e, quindi, si determini scientemente alla commissione di un fatto che è previsto dalla legge come reato e conseguentemente possa muoversi nei suoi confronti un rimprovero in termini di colpevolezza.
In linea generale, come si è avuto modo di evidenziare poco sopra la capacità di intendere e di volere si presume nei confronti di tutti i soggetti maggiorenni – che abbiano, quindi, compiuto il diciottesimo anno di età – fino a che non venga fornita la prova contraria della sussistenza di una delle cause di esclusione tassativamente previste.
Perché possa ritenersi non sussistente la capacità di intendere e di volere, quindi, è necessario che venga accertata una qualsiasi delle cause espressamente disciplinate dagli articoli compresi tra l’86 e il 95 del codice penale.
Minore età come causa di non imputabilità
Età minima per l’imputabilità in Italia
L’articolo 97 del codice penale italiano prevede l’esclusione in termini assoluti dell’imputabilità per i soggetti che non abbiano ancora compiuto il quattordicesimo anno di età al momento della commissione del fatto.
In questo caso, la presunzione di non imputabilità del soggetto è assoluta. Ciò in concreto significa che è preclusa la prova contraria che sia volta a dimostrare che, nonostante l’età, il soggetto agente fosse capace di intendere e di volere.
Il momento del compimento del quattordicesimo anno d’età viene riferito dalla normativa di riferimento in riferimento al momento della commissione od omissione che configura il momento della consumazione del fatto di reato.
Al contrario di quanto accade per i soggetti infraquattordicenni, come si è già anticipato, una presunzione di imputabilità vige, invece, per i soggetti che al momento della commissione del fatto di reato abbiano compiuto il diciottesimo anno di età. In tal caso, tuttavia, la presunzione assume il carattere della relatività, potendo essere superata mediante la produzione di prova contraria, consistente nella dimostrazione della circostanza che sussiste una qualsiasi delle cause di esclusione normativamente previste.
Per quanto attiene, invece, ai soggetti che al momento della commissione del fatto abbiano un’età compresa tra i quattordici e i diciotto anni, invece, non opera nessuna presunzione, prevedendo l’ordinamento giuridico italiano che l’accertamento della capacità di intendere e di volere e, quindi, dell’imputabilità debba essere valutata in concreto e, quindi, caso per caso.
In tale ultima evenienza, peraltro, l’accertamento della capacità di intendere e di volere del soggetto minorenne, ma ultraquattordicenne, è molto complesso, in quanto volto a verificare se il minore avesse al momento della commissione del fatto raggiunto un grado di maturità mentale tale da consentirgli di comprendere a pieno il disvalore sociale del fatto criminoso commesso. Devono, quindi, essere indagate la maturità fisica e psichica del minore al momento della commissione del fatto.
Regime speciale per i minori (processo penale minorile)
Alla minore età del soggetto agente è correlato lo svolgimento di un giudizio avanti ad un giudice ad hoc – il tribunale dei minorenni – al quale spetterà il compito di accertare, in concreto se il soggetto infradiciottenne, ma ultraquattordicenne fosse al momento del fatto imputabile e, quindi, capace di intendere e di volere.
Peculiarità del processo penale minorile consiste nella circostanza che, anche ove ritenuto imputabile, la pena in concreto applicabile in esito all’accertamento della sua responsabilità penale sarebbe ridotta di un terzo rispetto a quella che sarebbe stata applicabile nel caso in cui fosse stato maggiorenne.
Infermità mentale
Articolo 88 del Codice Penale
L’articolo 88 del codice penale italiano esclude l’imputabilità di coloro che al momento della commissione del fatto erano, a causa di infermità, in uno stato di mente tale da escludere la sua capacità di intendere e di volere.
Sul punto si precisa che non è all’uopo sufficiente che venga accertata una malattia mentale, ma è necessario che venga constatato che, in concreto, tale malattia abbia compromesso, azzerandola, la capacità di intendere e di volere di chi ha commesso il fatto.
Occorre, quindi, innanzitutto, che il vizio di mente consegua ad un’infermità.
Ulteriore requisito, come visto, è quello della constatazione della sussistenza del vizio al momento della commissione del fatto.
Criteri per valutare l’infermità mentale
Ebbene, in riferimento all’articolo 88 del codice penale si è posto, innanzitutto, il problema dell’elaborazione del concetto di infermità.
Esso ha subito, peraltro, nel corso degli anni una significativa evoluzione.
Si è, dunque, delineato un concetto di infermità molto più ampio e non circoscritto ai soli quadri definiti, ma esteso fino a ricomprendere tutte le altre situazioni morbose, anche se prive di una precisa definizione dal punto di vista clinico.
Può essere, quindi, di qualsiasi genere, ordine e tipo, purché idonea a provocare un vizio di mente.
Si è concluso che vanno ricondotte alla nozione di infermità le malattie psichiatriche in senso stretto.
Si tratta delle psicosi, che ricomprendono le situazioni nelle quali i disturbi psichici sono riconducibili ad un processo morboso che agisce a livello anatomico-organico-celebrale, i disturbi psichici non ancora provati nella sperimentazione psichiatrica dovuti ad alterazioni organiche anche se sorrette da una predisposizione o un condizionamento di tipo biologico nonché le anomalie psichiche idonee ad influire sulla capacità di intendere e di volere de soggetto agente come le psicopatie.
Accertamenti psichiatrici e giurisprudenza
Anche in giurisprudenza è da ultimo invalso l’orientamento in considerazione del quale si è ritenuto che, a conferma della maggiore ampiezza della nozione di infermità rispetto a quello di malattia, interessa che il disturbo abbia la concreta attitudine a compromettere gravemente la capacità dell’agente di percepire il disvalore del fatto commesso, oltre a quello di recepire in maniera piena e completa il significato effettivo del trattamento punitivo correlato alla commissione del reato.
In tal senso, è stato concluso che anche i disturbi della personalità possono acquistare rilevanza, purché abbiano consistenza, intensità, rilevanza e gravità tali da concretamente incidere sulla capacità soggettiva di intendere e di volere e limitare grandemente la capacità di autodeterminarsi del soggetto agente.
Intossicazione da alcol o sostanze stupefacenti
Articolo 91 del Codice Penale
Ai sensi e per gli effetti dell’articolo 91 del codice penale l’ubriachezza o l’intossicazione da sostanze stupefacenti sono idonee ad escludere l’imputabilità del soggetto solo nell’eventualità in cui sia accidentale, ossia qualora derivi da caso fortuito o da forza maggiore.
Se l’ubriachezza o l’intossicazione non siano pienamente, ma siano tali da far scemare, comunque, grandemente la capacità di intendere o di volere, senza escluderla, la pena è diminuita.
Tale condizione consiste in un’alterazione che sia solo transitoria e assolutamente reversibile dei processi intellettivi/active eliminata dall’assunzione. Rileva in quanto si traduca in una situazione di esclusione totale della capacità di intendere e di volere.
Differenza tra intossicazione volontaria e involontaria
In considerazione di quanto previsto dalla normativa sul punto, si deve evidenziare per poter escludere l’imputabilità l’assunzione di sostanze alcoliche o stupefacenti devono derivare da caso fortuito o forza maggiore, ossia deve essere causata da un fatto imprevedibile o incalcolabile ovvero da un’energia esterna inevitabile e irresistibile.
L’intossicazione è fortuita e involontaria, quindi, qualora il soggetto non abbia avuto la volontà di intossicarsi, ma cada in tale stato senza sua colpa.
In tal senso, anche l’intossicazione patologica, conseguente ad abnormi e imprevedibili effetti delle sostanze assunte, rientrerà nell’ambito di applicazione della disciplina codicistica di cui all’articolo 91 del codice penale. Tanto in quanto il soggetto non sarà consapevole di esserne affetto.
Non sono considerate, invece, idonee a diminuire o eliminare l’imputabilità lo stato di intossicazione da sostanze stupefacenti o l’ubriachezza volontaria, ossia quello stato nel quale il soggetto si ponga deliberatamente. In tale ultimo caso, la colpevolezza del soggetto deve essere accertata in giudizio caso per caso secondo i normali criteri.
Effetti sulla imputabilità
L’imputabilità, come premesso, può essere esclusa solo qualora l’ubriachezza o l’intossicazione da sostanze stupefacenti discenda da caso fortuito o forza maggiore. Se tale stato non è pieno l’imputabilità è scemata e la pena è diminuita.
Di contro, deve ritenersi che se l’ubriachezza o lo stato di intossicazione da sostanze sono preordinate il soggetto va incontro ad aggravamento di pena.
Se l’ubriachezza o l’intossicazione sono, invece, abituali comportano l’applicazione di un aumento di pena e l’eventuale applicazione di una misura di sicurezza al reo.
Sordomutismo come causa di non imputabilità
Articolo 96 del Codice Penale
Ulterore causa di non imputabilità prevista dall’ordinamento giuridico italiano è quella che dichiara non imputabile il soggetto sordomuto che al momento della commissione del fatto non abbia la capacità di intendere e di volere a causa della sua infermità.
La disposizione di riferimento, ossia l’articolo 96 del codice penale, in un ulteriore comma prevede una circostanza attenuante per il caso in cui in ragione del sordomutismo di cui è affetto, la capacità di intendere e di volere era al momento del fatto grandemente scemata, ma non totalmente esclusa.
La legge, in questo caso, non fissa alcuna presunzione, ma chiama il giudicante a procedere ad un accertamento caso per caso della circostanza che il sordomutismo abbia o meno avuto l’effetto di compromettere la capacità di intendere o di volere del soggetto al momento della commissione del fatto in misura equiparabile a quanto accade per il minorenne ultraquattordicenne.
Condizioni per l’applicazione della non imputabilità
Una parte della dottrina opina nel senso che la norma sia applicabile solo ai soggetti sordomuti dalla nascita o dalla primissima infanzia, non anche ai casi in cui alle situazioni in cui il sordomutismo sia sopraggiunto, opinandosi che in tale ultimo caso la patologia non abbia avuto efficacia tale da far scemare o elidere la capacità di intendere e di volere del soggetto che ne sia affetto.
Si esclude, inoltre, che possa farsi applicazione della disciplina di cui all’articolo 96 del codice penale qualora il soggetto sia affetto solo da sordità o solo da mutismo e non da entrambe le patologie appena evocate contemporaneamente.
Esempi di casi pratici
Si pensi all’ipotesi di un soggetto affetto da sordomutismo sin dalla nascita ovvero che lo sia divenuto all’età di pochissimi mesi, tale per cui abbia avuto l’effetto di far scemare fortemente o elidere o, comunque, impedire al soggetto stesso di raggiungere lo sviluppo della propria personalità nonché della capacità di comprendere cosa sia giusto o sbagliato e quale sia il disvalore delle proprie azioni.
In tal caso, il giudice dovrà accertare se in concreto la condizione di sordomutismo abbia avuto l’efficacia di compromettere la capacità di intendere e di volere e in caso di risposta affermativa assolvere il soggetto agente.
Stati emotivi e passionali
Articolo 90 del Codice Penale
L’articolo 90 del codice penale esclude in via totale che ai fini della formulazione del giudizio di imputabilità di un soggetto ai fini della determinazione della responsabilità penale dello stesso.
Tanto in quanto la disposizione deve essere letta in combinato disposto con il concetto di infermità mentale accolto dal legislatore del 1930 – intesa, quindi, come malattia mentale in senso stretto – e la volontà di sollecitare e stimolare in un soggetto la capacità di governare i propri impulsi emotivi.
Non è mancato sul punto un orientamento che ha sottolineato l’eccessiva categoricità della disposizione, la quale, dichiarando l’assoluta ininfluenza degli stati emotivi e passionali sull’imputabilità, equivale a dire che essi non influiscono per nulla sulla rimproverabilità del fatto al suo autore e, quindi, sulla colpevolezza.
Quanto detto in spregio alla coerenza del codice penale italiano stesso che in determinate situazioni, disciplinate in normative ad hoc, riconosce rilievo attenuante ovvero scusante della colpevolezza.
Quando non escludono l’imputabilità
Alla luce di quanto sin qui detto si evince che in linea generale non è possibile attribuire rilievo escludente dell’imputabilità agli stati emotivi e passionali, salvo che nei casi previsti dalla legge.
Si pensi ai casi della provocazione riconosciuta nell’ipotesi prevista dal comma secondo dell’articolo 599 del codice penale
Nella fase evolutiva dell’interpretazione dell’articolo 90 del codice penale si è tentato, inoltre, di stemperare l’eccessiva rigorosità, tentando di interpretarlo in maniera sistematica rispetto ai precedenti articoli 88 e 89 del codice penale, asserendo che se gli stati emotivi e passionali non integrano una vera e propria infermità non è, d’altra parte, possibile escludere a priori che in esse non siano ravvisabili indici in senso patologico.
Influenza sul giudizio di responsabilità
In conseguenza di quanto asserito nei punti precedenti è possibile concludere che se deve escludersi, ai fini del giudizio sull’imputabilità, ogni rilevanza agli stati emotivi e passionali in sé e per sé considerati non può negarsi rilievo a quegli stati emotivi o passionali che siano in qualche modo idonee a costituire espressione di quell’infermità tale da escludere l’imputabilità in ossequio a quanto espressamente previsto dagli articoli 88 e 89 del codice penale, che dispongono rispettivamente in materia di vizio totale e vizio parziale di mente.
Effetti delle cause di non imputabilità
Conseguenze sull’azione penale
Sembra lecito a questo punto chiedersi quali conseguenze abbia all’atto pratico l’accertamento dello stato di non imputabilità in capo al soggetto che abbia posto in essere una condotta riconducibile ad una fattispecie di reato.
Si è detto che in linea generale le cause di non imputabilità consistono in quelle situazioni o condizioni in presenza delle quali viene esclusa o fortemente ridotta la capacità di intendere e di volere, ossia sia di quella condizione psico-fisiche che, rientrando nella norma, consente di attribuire all’agente un fatto corrispondente ad una previsione normativa, rendendo l’agente meritevole della comminazione di una sanzione penale.
In proposito, si ritiene che la capacità di intendere corrisponda all’attitudine del soggetto di comprendere il significato del proprio comportamento, a rendersi conto del valore sociale delle proprie azioni nel contesto sociale in cui si inseriti.
ICiò premesso, sembra essere agevolmente intuibile come l’esercizio dell’azione penale nei confronti di un soggetto considerato non imputabile sia destinata a concludersi senza la possibilità che il giudice possa formulare nei confronti di questi un giudizio di colpevolezza e, quindi, possa riconoscerne la penale responsabilità in rapporto al caso concreto.
Il fatto che un soggetto non sia imputabile, in quanto incapace di intendere e di volere, non significa, comunque, che non possa essere riconosciuta alcuna conseguenza, in quanto talvolta non può non emergere la reale sua pericolosità sociale.
Sicché è data la conseguenza che nei confronti di un soggetto non imputabile può, comunque, essere applicata una misura di sicurezza tra quelle puntualmente previste dall’ordinamento giuridico italiano.
Misure di sicurezza applicabili
Tra le misure di sicurezza applicabili ai soggetti non imputabili si devono rammentare:
- la reclusione in riformatorio, struttura detentiva assimilabile al carcere, ma con un regime particolare applicabile ai soggetti minorenni;
- essendo stati chiusi gli ospedali psichiatrici giudiziari allo stato per i soggetti affetti da infermità mentale residua la possibilità che sia assoggettato a specifiche cure predisposte dal servizio sanitario nazionale;
- perto per quanto attiene, invece, ai soggetti dediti all’uso di alcol o stupefacenti, invece, è possibile ricorrere all’affidamento ai servizi sociali.
In proposito, bisogna segnalare che, mentre l’applicazione di una sanzione prevede la commisurazione della stessa entro i limiti edittali prestabiliti, per quanto attiene alle misure di sicurezza la durata delle stesse è, invece variabile, dovendo essa avere una durata concreta parametrata alla necessità effettiva. Sarà infatti necessario valutare in concreto quando venga a cessare lo stato di pericolosità sociale che ne ha reso indispensabile l’applicazione.
Discussioni dottrinali e casi controversi
Le principali opinioni della dottrina giuridica
La principale questione dottrinale concerne l’individuazione dei rapporti tra imputabilità e colpevolezza.
Un primo orientamento, riconducibile alla dottrina tradizionale, opina nel senso che imputabilità e colpevolezza operano, in realtà, su piani distinti, essendo l’imputabilità identificata con la capacità di essere assoggettati a pena nonchché presupposto della capacità giuridica penale. La mancanza di imputabilità, quindi, non fa venir meno il reato, che esiste come tale, non solo come fatto storico materiale, ma anche provvisto dell’elemento della colpevolezza.
A sostegno di tale indirizzo si pone la consideraazione che deve intendersi la colpevolezza come mera sussistenza di nesso psichico tra l’autore e il fatto commesso.
In tempi più recenti, invece, si è andato affermando l’orientamento che ritiene che l’imputabilità debba essere considerata come primo e indefettibile presupposto della rimprovero di colpevolezza. Da ciò discende la conseguenza che in assenza di capacità di intendere e di volere non è ammissibile un giudizio di colpevolezza.
A sostegno di tale indirizzo si pone l’adesione alla concezione normativa della colpevolezza, intesa come rimprovero o disapprovazione nei confronti del soggetto per aver commesso un fatto che avrebbe potuto e dovuto astenersi dal commettere. La disapprovazione e il rimprovero discendono in concreto dalla possibilità di poter agire diversamente.
Sentenze significative e interpretazioni diverse
Questione controversa affrontata dalla giurisprudenza ha avuto ad oggetto la valutazione della possibilità che il medesimo soggetto possa essere ritenuto imputabile in un determinato giudizio e al contempo non imputabile in un giudizio differente, con conseguenti giudizi di responsabilità diametralmente opposti.
Sono molteplici le sentenze di legittimità che si hanno occupato della questione sin dagli anni ’90 (cfr. in proposito, Cass. 18/12/1996, Cass. 16/11/1992, Cass. Sezione II, 19/06/1997 n. 8038), giungendo ad escludere che esista incompatibilità logico giuridica tra due sentenze emesse nei confronti dello stesso soggetto per fatti diversi in tempi diversi delle quali una lo ritenga incapace e l’altra, invece, capace di intendere e di volere, in quanto l’infermità mentale può non costituire uno stato permanente dell’individuo e l’accertamento dello stato mentale, ai fini della verifica della imputabilità, deve effettuarsi rigorosamente in riferimento al momento in cui viene commesso il fatto.
Secondo la giurisprudenza di legittimità, quindi, la sussistenza dell’infermità mentale idonea ad escludere la capacità di intendere e di volere è ben lungi dal poter essere accertata e determinata una volta per tutte, dovendo, al contrario, essere valutata di volta in volta, prendendo in considerazione le circostanze del caso concreto.
FAQ sulle cause di non imputabilità
Domande:
- Qual è l’età minima per essere imputabile in Italia?
L’età minima per un qualsiasi soggetto per essere considerato imputabile in Italia è individuata nel compimento del quattordicesimo anno di età.
Tuttavia, mentre per i soggetti maggiorenni l’imputabilità, fondata sulla capacità di intendere e di volere, si presume, per i soggetti di età compresa tra i quattordici e i diciotto anni deve essere accertata in concreto in sede giudiziaria. - L’infermità mentale esclude sempre la responsabilità penale?
La risposta al quesito deve essere negativa, nel senso che non è sufficiente affinché l’infermità mentale escluda la responsabilità penale in capo che sia accertata una malattia mentale, ma occorre, altresì, che la predetta constatazione che in concreto abbia compromesso, azzerandola, la capacità di intendere e di volere del soggetto al momento della commissione del fatto. - Che differenza c’è tra intossicazione volontaria e involontaria?
L’intossicazione è involontaria qualora il soggetto non abbia avuto che la volontà di intossicarsi, e che cada in tale stato senza sua colpa.
Non sono invece, idonei, stati idonei a ideare, ossia stati in cui sono stati stati ideati.
- Come si valutano gli stati?
Deve escludersi, ai fini del giudizio di imputabilità, ogni consenso, ai fini del giudizio dell’una imputazione agli stati considerati. - Quali misure di sicurezza possono essere applicate ai non imputabili?
- La reclusione in riformatorio, struttura detentiva assimilabile al carcere, ma con un regime particolare più lieve;
- Per i soggetti affetti da infermi mentali residuali la possibilità che possa essere assoggettato a specifiche cure;
- Per quanto attinente, invece, all’uso di alcol o stupefacenti, è possibile.

Chiara Biscella
Dopo la laurea in giurisprudenza presso l'Università degli studi dell'Insubria e il conseguimento del diploma presso la Scuola di specializzazione per le professioni legali dell'Università Cattolica del Sacro Cuore, ho intrapreso, ment ...