Cosa si intende per licenziamento disciplinare?

Il licenziamento disciplinare è la più grave sanzione adottabile dal datore di lavoro. La legittimità del licenziamento è subordinata all'osservanza dei requisiti stabiliti dalla L. 604\1966 e dall'art 7 della L. 300\1970 (il famoso Statuto dei Lavoratori) che disciplina specificatamente le modalità di irrogazione delle sanzioni disciplinari.

1. Cos'è il licenziamento disciplinare?

Con esso si intende, la scelta unilateralmente applicata dal datore di lavoro, di porre fine bruscamente al rapporto di lavoro. Il licenziamento disciplinare si fonda su comportamenti illeciti o comunque non corrispondenti agli obblighi derivanti dall'esercizio dell'attività lavorativa. Le violazioni riguardano le leggi, ma anche i codici disciplinari interni e le previsioni dei contratti collettivi.

1.1 Ambito applicativo del licenziamento disciplinare

La ragion d'essere dell'art 7 L. 300\1970 discende dal fatto che, questa tipologia di licenziamento è di sicuro la sanzione più grave che possa mai essere inflitta ad un lavoratore, poiché espulsiva ed interruttiva del rapporto di lavoro. A seguito di un fondamentale intervento della Corte Costituzionale, il licenziamento disciplinare viene considerato illegittimo se:

- è contemplato nel codice disciplinare: si consideri però che la pubblicità del codice disciplinare non è necessaria qualora il recesso sia intimato per comportamenti che integrino una violazione penale o comunque comportamenti che concretizzino una violazione dei doveri fondamentali strettamente connessi al rapporto di lavoro (si pensi ad un medico che, finendo il suo turno, si rifiuti di operare un paziente d'urgenza), riconoscibili come tali senza che vi debba essere una specifica esplicitazione e\o previsione di essa;

- qualora sia formalmente contestato l'addebito al lavoratore;

- quando sia stata data la possibilità al lavoratore di rendere dichiarazioni in merito, quindi di difendersi;

- quando venga garantita assistenza da parte dei sindacati.

2. Quando il licenziamento disciplinare può essere considerato illegittimo?

Quando infine possiamo considerare un licenziamento disciplinare illegittimo? La risposta la possiamo trovare al comma 4 art 1 Legge 9 del 28 giugno 2012: il dettato di questo articolo , ci dice che sarà il giudice a valutare caso per caso le ipotesi in cui non ricorrano gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa, o se il fatto contestato sia insussistente rispetto a quanto previsto dal CCNL di riferimento, ovvero perché la condotta che ha portato il datore di lavoro a optare per il licenziamento non sia già regolamentata dal contratto collettivo di riferimento e che la conseguenza prevista non sia il licenziamento bensì una sanzione diversa. Nel caso in cui il giudice non riscontrasse i requisiti che legittimano il licenziamento disciplinare, egli annullerà il licenziamento e di conseguenza condannerà il datore di lavoro alla reintegrazione sul posto di lavoro oltre che al pagamento di un'indennità a titolo di risarcimento pari all'ultima retribuzione globale di fatto percepita dal lavoratore a partire dal giorno in cui il soggetto ha subito il provvedimento del datore di lavoro fino al giorno dell'effettiva reintegra di quest'ultimo. Ovviamente, se il lavoratore ha comunque percepito uno stipendio erogato da un altro datore di lavoro durante questo lasso di tempo, tali somme non saranno comprese nell'indennità risarcitoria, così come non saranno ricomprese quelle somme che il lavoratore avrebbe potuto percepire se egli si fosse dedicato con serietà e diligenza alla ricerca di un nuovo impiego. Ad ogni modo, si sottolinea che, l'indennità risarcitoria non potrà mai superare le dodici mensilità dall'ultima retribuzione globale di fatto, ma il datore di lavoro potrà altresì essere condannato a corrispondere anche i contributi assistenziali e previdenziale a partire dal giorno del licenziamento.

2.1 Casi in cui il reinserimento del lavoratore è assicurato

La reintegrazione del soggetto licenziato sul posto di lavoro è assicurato nelle seguenti ipotesi:

- se il licenziamento non trova giustificazione poiché vi è insussistenza del fatto contestato: questo accade dal momento in cui la procedura del licenziamento disciplinare sia basata su fatti non concreti o insussistenti o su errori o equivoci che non siano direttamente riportabili al lavoratore, oppure se essi siano imputabili o meno al datore di lavoro;

- se il licenziamento disciplinare abbia finito col ledere la dignità del lavoratore;

- se la condotta tenuta dal lavoratore preveda come conseguenza prevista dal CCNL una sanzione conservativa e non un licenziamento disciplinare

2.2 Casi in cui la legge prevede la risoluzione del rapporto

Il giudice a volte invece, non può ordinare la reintegrazione del lavoratore sul posto di lavoro, ma la risoluzione del rapporto contrattuale accompagnata da un'indennità di risarcimento compreso tra le 12 e le 24 mensilità. I casi previsti dalla legge sono:

- quando la condotta posta in essere non integra (come previsto dal CCNL) una sanzione espulsiva ma una sanzione conservativa, condotta che quindi non è stata tipizzata nel codice disciplinare;

- qualora una condotta censurabile sia stata effettivamente tenuta dal lavoratore;

- se il giudice non ritiene che la condotta del lavoratore possa andare a ledere la fiducia che normalmente si ripone nel lavoratore, e quindi non ritiene che la sanzione espulsiva sia giustificabile.

2.3 Una particolare ipotesi: il licenziamento disciplinare illegittimo senza preavviso

Il licenziamento senza preavviso può essere considerato legittimo nei soli casi in cui questo sia perpetrato per giusta causa, o nei confronti del lavoratore in prova.

Nel primo caso il licenziamento disciplinare senza preavviso ( quindi licenziamento in tronco) avviene a causa di una condotta particolarmente grave da parte del lavoratore, di modo tale che il datore di lavoro perda immediatamente la fiducia riposta nel lavoratore di modo tale che il rapporto non possa proseguire nemmeno per un giorno. Questi fatti possono essere ad esempio: furto sul posto di lavoro, grave insubordinazione, assenza ingiustificata, abuso dei permessi sul lavoro, se il lavoratore commette reati in generale, e comunque ogni qualvolta il comportamento del lavoratore sia così grave ed inaccettabile da non poter proseguire il rapporto lavorativo.

3. Come può proteggersi il lavoratore da un licenziamento disciplinare illegittimo?

Qualora il lavoratore ritenga di aver subito un licenziamento illegittimo, egli può ricorrere contro di esso per mezzo dell'impugnazione entro 60 giorni dal momento in cui il lavoratore riceve la comunicazione del licenziamento (se il licenziamento sia stato contestualmente motivato), oppure dal giorno in cui il lavoratore riceve la comunicazione dei motivi di licenziamento.

Quindi il termine di 60 giorni servono a far sì che il datore di lavoro venga a conoscenza che il lavoratore intende contestare e ricorrere contro quel provvedimento che lui ritiene ingiusto. Una volta avvenuta la comunicazione nel termine successivo di 180 giorni il lavoratore deve:

- proporre ricorso contro il licenziamento innanzi al Giudice del Tribunale in funzione di giudice del lavoro e depositarlo nella cancelleria del Tribunale competente;

- esperire un tentativo di conciliazione con il datore di lavoro prima della data della prima udienza (il giudice farà comunque la stessa cosa in sede di prima udienza) presso la DTL ( direzione territoriale del lavoro) o fare richiesta di arbitrato.

Nel caso in cui i suddetti termini non fossero rispettati, l'impugnazione del licenziamento non potrebbe essere presa in considerazione con la conseguenza che il licenziamento non potrà più essere impugnato ed ogni successiva impugnazione sarebbe colpita da inefficacia.

Fonti normative

- 604\1966

- 300\1960

- 9\2012

- n. 10814 dell'otto maggio 2013

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