Accertamenti bancari: quando il fisco deve comunicare il controllo?

L’Agenzia delle Entrate e Guardia di Finanza possono eseguire accertamenti sui movimenti bancari del contribuente, ma non sempre queste Autorità sono obbligate a comunicare al contribuente tali controlli.

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1. Accertamenti bancari e l’avviso al contribuente

Le Autorità Fiscali possono avvalersi degli accertamenti bancari ogni qual volta, sulla base delle comunicazioni effettuate da intermediari finanziari e banche all’Anagrafe tributaria, riscontrano un’anomalia sintomatica di evasione in relazione ai movimenti bancari effettuati dai contribuenti. Con la recente ordinanza n. 8266/2018 i giudici della Sezione Tributaria della Corte di Cassazione hanno sancito che tali indagini sono giustificate anche in assenza di elementi gravi, precisi e concordanti di evasione fiscale. Impostazione, questa, che indebolisce ulteriormente la posizione del contribuente già sottoposto all’inversione dell’onere della prova.

Il contribuente, in aggiunta al fatto che deve abituarsi a una vigilanza sempre più invasiva da parte del fisco sui fini per i quali dispone del proprio denaro, non deve neanche essere avvertito di quando sono effettuati questi controlli. Le Autorità di Vigilanza non sono obbligate a comunicare agli interessati l’avvenuto accertamento bancario, poiché la legge prevede una semplice facoltà e non un dovere nei loro confronti. Tale impostazione è confermata dal dato normativo di riferimento e dalla recente sentenza n. 25911/2017 della Corte di Cass. Sez. Tributaria.

2. Cos’è un accertamento bancario e al verificarsi di quali circostanze è consentito?

Guardia di Finanza e Agenzia delle Entrate utilizzano l’accertamento bancario con la finalità di determinare correttamente la base imponibile. Ma in che cosa consiste un accertamento bancario? Le suddette Autorità hanno il potere di richiedere a intermediari finanziari e banche le notizie, i dati e i documenti che si riferiscono a specifici rapporti intrattenuti e operazioni effettuate dai loro clienti, per verificare se vi sia stata un’evasione fiscale e valutare, eventualmente, l’emissione di un avviso di accertamento.

L’uso di questo strumento investigativo, molto invasivo, non è lasciato alla completa discrezionalità dell’Autorità fiscale che non può quindi applicarlo in maniera casuale, ma deve:

  • attenersi a una procedura per ottenere l’autorizzazione;
  • avvalersene solo quando si riscontrano anomalie sintomatiche di evasione. Solo in questo caso è giustificabile ottenere nuove informazioni sensibili e privilegiate.

Sul primo punto, per procedere a un’analisi della movimentazione bancaria, l’Agenzia delle Entrate deve procurarsi un’autorizzazione dal Direttore centrale dell’accertamento o dal Direttore regionale, mentre la Guardia di Finanza dal Comandante regionale, da funzionari con qualifica non inferiore a quella di funzionario tributario e da ufficiali della Guardia di finanza di grado non inferiore a capitano.

Sul secondo punto, L’Agenzia delle Entrate attraverso l’Anagrafe dei conti correnti raccoglie regolarmente dati e informazioni inerenti ai rapporti intrattenuti da banche e intermediari finanziari con i loro clienti, con riguardo a: estratti conto, operazioni di versamento e prelievo e persino cassette di sicurezza (anche se ovviamente non sul loro contenuto). Se dall’analisi di queste informazioni risultano irregolarità, anomalie, o incoerenze rispetto ai dati del Redditometro o ai dati già in loro possesso, tali da far anche solo presumere un’evasione fiscale, si procede con un accertamento più approfondito. Cosa s’intende per anomalia o incongruenze? Si possono menzionare a titolo di esempio alcune situazioni:

  • sul fronte versamenti, un versamento superiore a 3000 euro è potenzialmente soggetto a verifiche se non adeguatamente giustificato. Allo stesso modo, un versamento da parte del correntista o di un terzo che sia aggiuntivo rispetto al regolare stipendio percepito può essere soggetto a controlli più approfonditi e ipoteticamente dare luogo a una maggiore base imponibile;
  • sul fronte prelievi, per gli imprenditori sono considerati ricavi i prelievi “non giustificati” (senza l’indicazione del nome del beneficiario in contabilità o senza la sua comunicazione alle Entrate in caso di controllo) per importi superiori a 1000 euro giornalieri e 5000 euro mensili. Un’operazione di questo genere è in grado di destare l’attenzione del fisco poiché il denaro potrebbe essere utilizzato per pagare lavoro in nero;
  • per prelievi superiori a 3000 euro utilizzati per pagare un unico bene o servizio sono motivo di sospetto;
  • da un semplice disinvestimento titoli potrebbe scaturire un accertamento. Tuttavia, in questo caso il contribuente potrebbe agevolmente fornire un’idonea giustificazione;
  • quando sussistono sospetti di evasione in seguito alle indagini eseguite con il redditometro, qualora queste rilevino una ricchezza maggiore di quella annualmente dichiarata dal contribuente nella dichiarazione dei redditi.

Da ultimo, si segnala che l’ordinanza della Cassazione n. 8266/2018 ha facilitato ulteriormente il compito del Fisco. Poiché ogni accertamento deve essere motivato ai fini dell’ottenimento dell’autorizzazione, prevedendo che si possa procedere a un accertamento bancario anche in assenza di elementi gravi, precisi e concordanti di evasione fiscale, si è ampliato il potere discrezionale delle Autorità fiscale, tutto a discapito del vecchio principio della segretezza bancaria.

3. L’inversione dell’onere della prova

Se in seguito alle indagini effettuate dall’Agenzia delle Entrate sui movimenti bancari, la base imponibile è rideterminata perché le operazioni sono ritenute, o meglio presunte, avere carattere evasivo, il contribuente subisce anche l’inversione dell’onere della prova.

È cioè chiamato a giustificare in modo analitico la provenienza o la causa di ogni singolo versamento o addebito, con il fine di dimostrare che tali movimenti sono estranei a fatti imponibili o irrilevanti a fini fiscali.

4. Il contribuente deve essere informato dell’accertamento bancario?  

Su questo tema è opportuno fare subito una distinzione tra la comunicazione da parte della banca e la comunicazione da parte delle Autorità Fiscali. Le banche che forniscono le informazioni e dati sensibili sulla movimentazione bancaria alle Autorità ai fini dell’accertamento sono tenute a darne notizia al cliente.

Tuttavia, la normativa di riferimento non prevede alcuna sanzione per il mancato adempimento di questo dovere e, di fatto, la disposizione può essere disattesa dalle banche senza conseguenza alcuna. Per quanto riguarda la comunicazione dell’Agenzia delle Entrate al contribuente, questa rivestirebbe un ruolo molto più importante perché offrirebbe l’opportunità a quest’ultimo di istaurare una fase di precontenzioso, in cui provare a giustificare i movimenti ritenuti evasivi e quindi evitare l’avviso di accertamento.

In questo caso, non è previsto in capo all’Autorità un dovere, ma una semplice facoltà di avvisare il contribuente delle operazioni di controllo sul conto e sui movimenti. Sostanzialmente, è negato l’obbligo e la possibilità di istaurare un vero e proprio “contraddittorio preventivo”. Tale orientamento emerge, oltre che dal dettato normativo dell’art. 37, c 1, n. 2, Dpr 600/1973, anche da un recente orientamento della Corte di Cass. sent. n. 25911/2017.

Fonti normative

Cassazione civile, sez. Tributaria, ordinanza n. 8266, 4/04/ 2018.

Cassazione civile, sez. Tributaria, sentenza n. 25911, 31/10/2017.

Cassazione civile, sez. Tributaria, ordinanza n. 10249/17.

Art. 32, Dpr n. 600/73 (per le imposte sui redditi).

Art. 51, Dpr 633/72 (per le imposte su IVA).

Art. 37, c. 1, n. 2, D.P.R. 600/1973.

Cass. sent. n. 16697/2016.

Cass. sent. n. 26018/2014.

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