L’affidamento in prova al servizio sociale: cos’è e come funziona

L’affidamento in prova al servizio sociale rappresenta una delle principali misure alternative alla detenzione previste dall’ordinamento penale italiano, disciplinata dall’art. 47 della legge 26 luglio 1975, n. 354 (legge sull’ordinamento penitenziario). Essa consente al condannato di scontare la pena detentiva, in tutto o in parte, al di fuori del carcere, sotto la supervisione e l’assistenza dei servizi sociali territoriali. La misura si fonda sull’idea che il reinserimento del reo nel tessuto sociale possa essere più efficace e duraturo se avviene in un contesto non segregato, ma controllato e orientato alla rieducazione. Gli obiettivi dell’affidamento in prova sono molteplici: evitare il ricorso sistematico alla detenzione, favorire il recupero del condannato, prevenire la recidiva e, in ultima analisi, tutelare la sicurezza collettiva. La misura si basa su un programma di trattamento individualizzato, concordato tra il soggetto affidato e l’Ufficio di esecuzione penale esterna (UEPE), che ne monitora l’andamento e riferisce al magistrato di sorveglianza. Si tratta di uno strumento rilevante non solo per la sua funzione deflattiva rispetto alla popolazione carceraria, ma anche perché incarna una concezione moderna della pena, volta al recupero del condannato attraverso la responsabilizzazione e l’impegno sociale. In tale prospettiva, l’affidamento in prova rappresenta una concreta attuazione del principio costituzionale della finalità rieducativa della pena, sancito dall’art. 27, comma 3, della Costituzione italiana.


Quadro normativo di riferimento 

Il sistema penitenziario italiano si fonda su un articolato quadro normativo che ha subito significative evoluzioni nel corso degli anni, orientandosi sempre più verso la finalità rieducativa della pena sancita dall'articolo 27, comma 3, della Costituzione. 

La disciplina giuridica dell'esecuzione penale trova la sua principale fonte nella Legge 26 luglio 1975, n. 354, nota come Ordinamento penitenziario, che ha rappresentato una svolta epocale nell'approccio al trattamento dei detenuti, introducendo il principio della rieducazione come elemento centrale dell'esecuzione penale.

Il sistema normativo penitenziario si articola attraverso una complessa rete di disposizioni che regolano tanto l'esecuzione delle pene quanto l'organizzazione del sistema carcerario. 

L'articolo 41-bis tra le pene detentive rappresenta l’apice tra quelle più rigorose dell'ordinamento penitenziario, in quanto disciplina il regime detentivo speciale applicabile in situazioni di emergenza e per motivi di ordine e sicurezza pubblica. Questa norma, che ha subito numerose modifiche nel corso degli anni, consente la sospensione delle normali regole di trattamento per i detenuti ritenuti capaci di mantenere collegamenti con associazioni criminali, terroristiche o eversive. Il regime prevede restrizioni particolarmente severe, tra cui la limitazione dei colloqui, il controllo della corrispondenza e l'isolamento in sezioni speciali.

Le misure alternative alla detenzione, invece, trovano la loro disciplina principale negli articoli 47 e 47-ter dell'ordinamento penitenziario, che disciplinano rispettivamente l'affidamento in prova al servizio sociale e la detenzione domiciliare

Questi istituti rappresentano strumenti fondamentali per la realizzazione della finalità rieducativa della pena, consentendo l'esecuzione della sanzione penale al di fuori del carcere quando sussistano le condizioni per un positivo reinserimento sociale del condannato.

Il sistema penitenziario italiano ha conosciuto importanti riforme negli ultimi anni, orientate verso una maggiore umanizzazione delle condizioni detentive e il rafforzamento delle garanzie dei diritti fondamentali dei detenuti. Tra le innovazioni più significative si annovera l'introduzione dell'articolo 35-ter dell'ordinamento penitenziario, che ha istituito un sistema di rimedi risarcitori per le violazioni dell'articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, prevedendo la riduzione della pena detentiva o il risarcimento monetario per i detenuti che abbiano subito condizioni di detenzione contrarie al divieto di trattamenti inumani o degradanti.
Le recenti modifiche all'articolo 4-bis dell'ordinamento penitenziario, introdotte dal decreto-legge 31 ottobre 2022, n. 162, convertito con modificazioni dalla legge 30 dicembre 2022, n. 199, hanno ulteriormente specificato i criteri per la concessione dei benefici penitenziari ai condannati per reati ostativi, introducendo nuove disposizioni sui controlli patrimoniali e sui pareri delle autorità competenti. Queste modifiche hanno rafforzato il sistema di garanzie procedurali, richiedendo una valutazione più approfondita delle condizioni per l'accesso ai benefici.

Il Tribunale di Sorveglianza rappresenta l'organo giurisdizionale centrale nell'architettura del sistema penitenziario italiano, svolgendo funzioni di controllo e garanzia nell'esecuzione delle pene e delle misure di sicurezza. La sua disciplina è contenuta negli articoli 70 e 71 dell'ordinamento penitenziario, che ne definiscono la composizione, le competenze e le procedure.

Il Tribunale di Sorveglianza è competente per l'adozione dei provvedimenti più rilevanti in materia di esecuzione penale, tra cui l'affidamento in prova al servizio sociale, la detenzione domiciliare, la semilibertà e la liberazione condizionale. La sua composizione mista, che prevede la partecipazione di magistrati ordinari ed esperti nelle scienze criminalistiche e penitenziarie, riflette la necessità di coniugare competenze giuridiche e conoscenze specialistiche nel campo del trattamento penitenziario.

Accanto al Tribunale di Sorveglianza opera il magistrato di sorveglianza, figura monocratica che svolge funzioni di vigilanza sull'organizzazione degli istituti penitenziari e decide su una serie di provvedimenti di minore complessità, tra cui i permessi premio, le licenze e le modifiche alle misure alternative. Il magistrato di sorveglianza rappresenta il primo livello di tutela giurisdizionale dei diritti dei detenuti, con competenza sui reclami relativi alle condizioni di detenzione e ai provvedimenti disciplinari.


Quando si può richiedere l’affidamento in prova 

L’affidamento in prova al servizio sociale può essere richiesto in fase esecutiva da soggetti condannati con sentenza definitiva a pena detentiva, purché siano rispettati determinati presupposti di legge. Si tratta di una misura alternativa alla detenzione, disciplinata dall’art. 47 della legge sull’ordinamento penitenziario (l. n. 354/1975), attivabile anche prima dell’ingresso in carcere, a condizione che non vi siano elementi ostativi di natura soggettiva o oggettiva.

Sotto il profilo oggettivo, la misura è applicabile a condanne non superiori a quattro anni di reclusione, anche se residui, ovvero a sei anni in caso di affidamento “in casi particolari” ex art. 94 d.P.R. n. 309/1990 (relativo a soggetti tossicodipendenti o alcolisti che abbiano intrapreso un percorso terapeutico). Il computo riguarda la pena inflitta per uno o più reati, tenuto conto anche di eventuali riduzioni intervenute per cause sopravvenute (es. indulto).

Non possono accedere all’affidamento in prova i condannati per reati ostativi, quali quelli previsti dall’art. 4-bis ord. penit., salvo collaborazione con la giustizia o esclusione della pericolosità sociale. In ogni caso, l’istanza deve essere supportata da un programma di trattamento concordato con l’UEPE, volto alla rieducazione del condannato e al suo reinserimento sociale. La richiesta può essere proposta in via anticipata, al fine di evitare l’ingresso in carcere, oppure successivamente all’inizio dell’espiazione della pena. In entrambi i casi, la decisione spetta al magistrato di sorveglianza, previa istruttoria volta alla verifica dei presupposti soggettivi e oggettivi. L’applicazione della misura richiede l’assenza di pericolosità sociale e la valutazione favorevole circa l’idoneità del percorso proposto a garantire l’effettivo recupero del soggetto.


Requisiti per ottenere l’affidamento in prova  

L'affidamento in prova al servizio sociale rappresenta la principale misura alternativa alla detenzione nell'ordinamento penitenziario italiano, finalizzata all'attuazione del principio costituzionale della funzione rieducativa della pena. La concessione di questo beneficio è subordinata alla sussistenza di specifici requisiti che il Tribunale di Sorveglianza deve attentamente valutare attraverso un'analisi multidimensionale della personalità del condannato e delle sue prospettive di reinserimento sociale.

Il comportamento del detenuto costituisce un elemento fondamentale nella valutazione per la concessione dell'affidamento in prova. L'articolo 47 dell'ordinamento penitenziario stabilisce che il provvedimento può essere adottato quando il soggetto "ha serbato comportamento tale da consentire il giudizio" di idoneità della misura alla rieducazione e alla prevenzione della recidiva.
La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che la valutazione del comportamento deve concentrarsi sull'evoluzione della personalità successiva al reato, come evidenziato dalla Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 35835 del 24 settembre 2024, secondo cui "ciò che assume rilievo, rispetto all'affidamento, è l'evoluzione della personalità registratasi successivamente al fatto-reato, nella prospettiva di un ottimale reinserimento sociale".

Non è richiesta la mancata ammissione degli addebiti, purché emerga l'accettazione della sentenza e della sanzione irrogata. Come precisato dalla Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 1907 del 16 gennaio 2024, è necessario che risulti "l'accettazione della sentenza e della sanzione irrogata da parte del condannato, nonché una concreta evoluzione della personalità in epoca successiva al reato nella prospettiva del reinserimento sociale".
Ulteriori elementi sono: la regolare fruizione di permessi premio senza infrazioni, la buona condotta carceraria, l'impegno lavorativo durante la detenzione e l'assenza di collegamenti attuali con la criminalità organizzata. 

Tuttavia, comportamenti che denotino la persistenza di legami con ambienti criminali o il coinvolgimento in nuove attività delittuose vengono valutati negativamente, anche se non definitivamente accertati.

Il percorso rieducativo rappresenta il cuore della valutazione per l'affidamento in prova, dovendo dimostrare un processo di emenda significativamente avviato. L'articolo 1 dell'ordinamento penitenziario stabilisce che "il trattamento tende, anche attraverso i contatti con l'ambiente esterno, al reinserimento sociale ed è attuato secondo un criterio di individualizzazione in rapporto alle specifiche condizioni degli interessati".

La giurisprudenza ha precisato che non è necessario il completo ravvedimento, come chiarito dalla Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 26854 del 8 luglio 2024, "non è necessario il completo ravvedimento, richiesto invece per la liberazione condizionale, ma deve essere significativamente avviato un processo di emenda".
Il percorso rieducativo deve manifestarsi attraverso la partecipazione alle attività trattamentali previste dall'articolo 15 dell'ordinamento penitenziario, che include "l'istruzione, della formazione professionale, del lavoro, della partecipazione a progetti di pubblica utilità, della religione, delle attività culturali, ricreative e sportive". 

Il supporto familiare e lavorativo costituisce un elemento essenziale per la valutazione delle prospettive di reinserimento sociale. L'articolo 45 dell'ordinamento penitenziario prevede che "il trattamento dei detenuti e degli internati è integrato da un'azione di assistenza alle loro famiglie" e che tale azione è "rivolta anche a conservare e migliorare le relazioni dei soggetti con i familiari e a rimuovere le difficoltà che possono ostacolarne il reinserimento sociale".

Per quanto riguarda l'aspetto lavorativo, l'articolo 47, comma 2-bis prevede che "il condannato, qualora non sia in grado di offrire valide occasioni di reinserimento esterno tramite attività di lavoro, autonomo o dipendente, può essere ammesso, in sostituzione, a un idoneo servizio di volontariato oppure ad attività di pubblica utilità, senza remunerazione".

Il supporto familiare viene valutato in termini di stabilità delle relazioni affettive e della capacità del nucleo familiare di sostenere il percorso di reinserimento. 

La relazione dell'équipe socio-educativa rappresenta uno strumento fondamentale per la valutazione dell'affidamento in prova, fornendo al Tribunale di Sorveglianza elementi concreti per formulare il giudizio prognostico. L'articolo 47, comma 2 stabilisce che il provvedimento è adottato "sulla base dei risultati della osservazione della personalità, condotta collegialmente per almeno un mese in istituto, se il soggetto è recluso, e mediante l'intervento dell'ufficio di esecuzione penale esterna, se l'istanza è proposta da soggetto in libertà".

La relazione deve contenere una valutazione multidisciplinare che analizzi gli aspetti psicologici, sociali, educativi e criminologici della personalità del condannato.

La relazione deve valutare l'adeguatezza del contesto in cui l'affidamento dovrebbe svolgersi rispetto al contenimento della pericolosità specifica del condannato. Il servizio sociale, come previsto dall'articolo 47, comma 9, "controlla la condotta del soggetto e lo aiuta a superare le difficoltà di adattamento alla vita sociale, anche mettendosi in relazione con la sua famiglia e con gli altri suoi ambienti di vita".

La valutazione dell'équipe deve essere comprensiva e non limitarsi agli aspetti formali, dovendo fornire elementi concreti per una prognosi di positivo reinserimento sociale. 


Procedura per la concessione dell’affidamento in prova  

La procedura per la concessione dell'affidamento in prova al servizio sociale è disciplinata da un articolato sistema normativo che garantisce il rispetto delle garanzie processuali e la corretta valutazione dei presupposti per l'accesso alla misura alternativa. 

Il procedimento si caratterizza per la sua specificità rispetto al processo penale ordinario, essendo finalizzato alla valutazione della personalità del condannato e delle sue prospettive di reinserimento sociale.

L'istanza di affidamento in prova al servizio sociale è disciplinata dall'articolo 47, comma 4, dell'ordinamento penitenziario, che stabilisce che "l'istanza di affidamento in prova al servizio sociale è proposta, dopo che ha avuto inizio l'esecuzione della pena, al tribunale di sorveglianza competente in relazione al luogo dell'esecuzione". La domanda può essere presentata dal condannato, dal suo difensore o da altri soggetti legittimati secondo le disposizioni del codice di procedura penale.

La documentazione necessaria varia a seconda che il richiedente si trovi in stato di detenzione o in libertà. Per i soggetti detenuti, l'articolo 47, comma 2 prevede che il provvedimento sia adottato "sulla base dei risultati della osservazione della personalità, condotta collegialmente per almeno un mese in istituto". Questa osservazione deve essere svolta dall'équipe multidisciplinare dell'istituto penitenziario e deve produrre una relazione dettagliata sulla personalità del condannato, sui progressi nel percorso trattamentale e sulle prospettive di reinserimento sociale.

Per i soggetti in libertà, la valutazione avviene "mediante l'intervento dell'ufficio di esecuzione penale esterna", che deve redigere un'indagine socio-familiare comprensiva della situazione personale, familiare, lavorativa e sociale del richiedente. 

Come precisato dalla Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 3587 del 1 febbraio 2022, "quando la richiesta proviene da persona in stato di libertà, non disponendo dei risultati dell'osservazione personologica di istituto, deve valutare la condotta del condannato nel periodo precedente e successivo alla condanna".

L'istanza deve essere corredata dalla documentazione necessaria per la valutazione, come previsto dall'articolo 656, comma 6, del codice di procedura penale, che stabilisce che "se l'istanza non è corredata dalla documentazione utile questa, salvi i casi di inammissibilità può essere depositata nella cancelleria del tribunale di sorveglianza fino a cinque giorni prima dell'udienza".

Il magistrato di sorveglianza svolge un ruolo cruciale nel procedimento, può "disporre la liberazione del condannato e l'applicazione provvisoria dell'affidamento in prova con ordinanza", purché siano offerte "concrete indicazioni in ordine alla sussistenza dei presupposti per l'ammissione all'affidamento in prova" e "non vi sia pericolo di fuga".

L'ordinanza di applicazione provvisoria conserva efficacia fino alla decisione del tribunale di sorveglianza, cui il magistrato trasmette immediatamente gli atti, che decide entro sessanta giorni. Questo meccanismo garantisce una tutela immediata nei casi di particolare urgenza, evitando che la protrazione della detenzione possa compromettere le finalità rieducative della misura.

Il sistema normativo prevede termini specifici per garantire la tempestività del procedimento. L'articolo 656, comma 6, del codice di procedura penale stabilisce che "il tribunale di sorveglianza decide non prima del trentesimo e non oltre il quarantacinquesimo giorno dalla ricezione della richiesta". Questo termine garantisce un equilibrio tra l'esigenza di una valutazione approfondita e la necessità di evitare dilazioni eccessive.


Obblighi del condannato durante l’affidamento  

Durante il periodo di affidamento in prova al servizio sociale, il condannato è tenuto a rispettare un programma di trattamento dettagliato, predisposto con l’ausilio dell’Ufficio di esecuzione penale esterna (UEPE) e approvato dal magistrato di sorveglianza. Il contenuto di tale programma deve essere conforme agli obiettivi rieducativi della pena e calibrato sulla specifica situazione del soggetto.

Le principali restrizioni alla libertà personale consistono nell’obbligo di non allontanarsi dal territorio autorizzato, di rispettare determinati orari (ad esempio il rientro serale) e di evitare frequentazioni ritenute incompatibili con il percorso di reinserimento. In alcune ipotesi, il magistrato di sorveglianza può imporre limitazioni più incisive, come il divieto di accedere a determinati luoghi o l’obbligo di permanere in domicilio in orari prestabiliti.

Tra gli obblighi specifici, il condannato deve mantenere la residenza o il domicilio in un luogo previamente indicato, salvo autorizzazione espressa per eventuali cambiamenti. Può inoltre essere obbligato a svolgere un’attività lavorativa, anche presso enti o imprese convenzionati, o a partecipare a programmi terapeutici o formativi, specie nei casi di affidamento “in casi particolari” (ex art. 94 d.P.R. 309/1990). Ulteriori obblighi riguardano la presentazione periodica presso gli operatori sociali incaricati della sorveglianza (c.d. “obbligo di firma”), nonché la disponibilità ad essere sottoposto a visite, colloqui, accertamenti.

L’UEPE svolge un ruolo centrale nel monitoraggio dell’affidamento: attraverso relazioni periodiche, comunica al magistrato di sorveglianza l’andamento della misura, segnalando tempestivamente eventuali violazioni. In caso di gravi o reiterate trasgressioni, il giudice può disporre la revoca dell’affidamento e l’immediata esecuzione della pena in regime carcerario, ai sensi dell’art. 47, comma 11, ord. penit.


Violazione delle prescrizioni e revoca dell’affidamento 

La revoca dell'affidamento in prova non consegue automaticamente dalla mera violazione delle prescrizioni o della legge penale, ma richiede una valutazione discrezionale del Tribunale di Sorveglianza. Come chiarito dalla Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 11942 del 26 marzo 2025, "la valutazione del Tribunale di Sorveglianza non è automaticamente correlata alla mera violazione della legge penale o delle prescrizioni, ma richiede un giudizio discrezionale sulla concreta incompatibilità del comportamento con la prosecuzione della prova".

I casi di revoca possono riguardare diverse tipologie di violazioni. La Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 41563 del 12 novembre 2024 ha individuato tra gli elementi valutabili negativamente: il mancato rispetto delle prescrizioni imposte, la commissione di illeciti amministrativi, la mancata presenza presso il domicilio dichiarato, la frequentazione di ambienti criminogeni, il mancato affrancamento dall'uso di sostanze stupefacenti e la disponibilità di denaro di provenienza non lecita.

Anche una singola violazione può determinare la revoca quando sia di particolare gravità. Come precisato dalla Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 43625 del 28 novembre 2024, "la valutazione di tale incompatibilità non richiede necessariamente la presenza di una pluralità di violazioni, potendo anche una singola condotta, se di particolare gravità, determinare la revoca della misura".

La revoca dell'affidamento in prova comporta il ripristino dell'esecuzione della pena detentiva per il periodo residuo. Il Tribunale di Sorveglianza deve determinare la residua pena detentiva da espiare attraverso una valutazione discrezionale che tenga conto del periodo di prova trascorso e della gravità del comportamento che ha causato la revoca.

La revoca può avere efficacia ex nunc (dalla data della violazione) o ex tunc (con effetto retroattivo).

L'articolo 58-quater dell'ordinamento penitenziario stabilisce un divieto di concessione di benefici per tre anni dal momento della revoca, ma tale disposizione non è automatica. 

La possibilità di presentare una nuova istanza per misure alternative deve essere oggetto di valutatazione. 


Affidamento in prova: benefici e finalità rieducativa

L’affidamento in prova al servizio sociale costituisce una misura che coniuga esigenze di sicurezza pubblica con l’attuazione concreta del principio costituzionale della finalità rieducativa della pena (art. 27, comma 3, Cost.). La possibilità di espiare la pena al di fuori del carcere consente al condannato di mantenere o ristabilire legami affettivi, professionali e comunitari, riducendo sensibilmente il rischio di recidiva.

Numerosi studi e dati statistici confermano che i soggetti sottoposti a misure alternative, se adeguatamente assistiti, tendono a reinserirsi più stabilmente nella società rispetto a coloro che hanno scontato l’intera pena in carcere. L’affidamento in prova, proprio per la sua natura semi-libera e per il continuo controllo da parte dell’UEPE, favorisce l’assunzione di responsabilità da parte del soggetto, spingendolo ad attivarsi per la propria rieducazione.

Essenziale in questo percorso è il coinvolgimento della comunità, intesa non solo come ambiente familiare e lavorativo, ma anche come rete sociale più ampia (enti del terzo settore, associazioni, cooperative), che offre opportunità concrete di reinserimento. Il tessuto sociale, infatti, assume un ruolo attivo nell’accompagnamento del condannato, contribuendo alla costruzione di percorsi individualizzati orientati alla legalità e alla dignità personale.

In sintesi, l’affidamento in prova si configura come uno strumento cardine della giustizia penale “rieducativa”, volto non solo ad alleggerire il sistema carcerario, ma soprattutto a favorire un ritorno consapevole e responsabile del condannato alla vita civile.


Differenze tra affidamento in prova e altre misure alternative 

Vediamo le differenze tra l’affidamento in prova e le  seguenti misure alternative alla detenzione.

Detenzione Domiciliare

La detenzione domiciliare, disciplinata dall'articolo 47-ter dell'ordinamento penitenziario, si distingue dall'affidamento in prova per il carattere più marcatamente contenitivo e la maggiore idoneità al controllo della pericolosità sociale residua del condannato. Come chiarito dalla Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 35474 del 23 agosto 2023, "la detenzione domiciliare si distingue dall'affidamento in prova per la maggiore afflittività e la maggiore idoneità al controllo della pericolosità sociale residua del condannato".
La detenzione domiciliare può essere concessa in diverse ipotesi: per specifiche categorie di soggetti (donne incinte, madri, anziani, malati), per pene fino a quattro anni quando non ricorrono i presupposti per l'affidamento in prova, o nei casi di rinvio dell'esecuzione. A differenza dell'affidamento in prova, non richiede un processo di emenda significativamente avviato, essendo sufficiente l'idoneità ad evitare il pericolo di recidiva.

Semilibertà 

La semilibertà, disciplinata dagli articoli 48 e 50 dell'ordinamento penitenziario, rappresenta una forma di decarcerazione parziale che consente al condannato di "trascorrere parte del giorno fuori dell'istituto per partecipare ad attività lavorative, istruttive o comunque utili al reinserimento sociale". Rispetto all'affidamento in prova, la semilibertà mantiene una forte valenza custodiale, richiedendo il rientro nell'istituto penitenziario nelle ore non autorizzate. Come evidenziato dalla Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 7905 del 23 febbraio 2023, "la semilibertà mantiene una forte valenza custodiale, consentendo al condannato di trascorrere parte del giorno fuori dall'istituto per partecipare ad attività lavorative, istruttive o comunque utili al reinserimento sociale".

Sospensione Condizionale della Pena

La sospensione condizionale della pena, disciplinata dall'articolo 163 del codice penale, si distingue nettamente dalle misure alternative in quanto non costituisce una modalità di esecuzione della pena, ma un istituto che sospende l'esecuzione stessa subordinandola al decorso di un periodo di prova senza commissione di nuovi reati. La sospensione condizionale può essere concessa dal giudice della cognizione al momento della pronuncia della sentenza di condanna, per pene detentive non superiori a due anni (tre per i minorenni, due anni e sei mesi per i giovani adulti e gli ultrasettantenni). A differenza delle misure alternative, che presuppongono l'inizio dell'esecuzione della pena, la sospensione condizionale impedisce del tutto l'esecuzione se il condannato non commette reati nel periodo di prova. Le differenze sostanziali tra questi istituti riflettono una gradazione nell'approccio al trattamento penitenziario: dall'affidamento in prova, che richiede i presupposti più rigorosi ma offre la maggiore libertà, alla detenzione domiciliare con carattere più contenitivo, alla semilibertà con mantenimento della custodia parziale, fino alla sospensione condizionale che evita del tutto l'esecuzione. 


FAQ – Domande frequenti su “L’affidamento in prova al servizio sociale”

  • Quanto dura l’affidamento in prova? La durata dell’affidamento corrisponde al residuo della pena da espiare. In caso di affidamento congiunto a misure terapeutiche (ex art. 94 d.P.R. 309/1990), possono essere previste proroghe, fermo restando il limite massimo della pena inflitta;
  • Si può lavorare durante l’affidamento in prova? Sì. L’attività lavorativa è anzi favorita quale strumento di reinserimento sociale. Il condannato può svolgere un lavoro subordinato o autonomo, purché coerente con il programma approvato. L’occupazione deve essere regolarmente comunicata e autorizzata dal magistrato di sorveglianza;
  • Quali sono i reati esclusi? L’accesso è precluso, salvo specifiche condizioni, ai condannati per reati di particolare gravità elencati nell’art. 4-bis ord. penit., come associazione mafiosa, terrorismo, violenza sessuale, tratta di esseri umani. In questi casi, l’affidamento è subordinato a collaborazione con la giustizia o a dimostrata cessazione della pericolosità sociale;
  • È possibile ottenere l’affidamento in prova più volte? Sì. La legge non pone un limite numerico, ma ogni istanza va valutata in relazione al singolo titolo esecutivo e alla condotta pregressa del soggetto, con particolare attenzione all’esito delle misure precedenti;
  • Chi controlla il rispetto delle prescrizioni? Il monitoraggio è affidato all’Ufficio di esecuzione penale esterna (UEPE), che opera in sinergia con il magistrato di sorveglianza. L’UEPE effettua colloqui, verifiche domiciliari, relazioni periodiche, segnalando eventuali violazioni che possono portare alla revoca della misura.
Avvocato Marco Mosca

Marco Mosca

Sono l'Avv. Marco Mosca ed opero da 12 anni nel campo giuridico. Ho maturato una significativa esperienza in molti settori del diritto, in particolare nell'ambito della materia societaria e di tutto ciò che ad essa è collegato. Pertan ...