Cause di non punibilità: Cosa sono?

Nel diritto penale italiano, le cause di non punibilità costituiscono una categoria giuridica che interviene a valle della valutazione della sussistenza del reato. Esse si distinguono per la loro funzione di escludere, in presenza di specifiche condizioni normative, l’irrogazione della sanzione penale pur in presenza di una condotta illecita penalmente tipica, antigiuridica e colpevole. Tali cause si fondano su valutazioni di opportunità politico-criminale e su esigenze di economia processuale e deflazione giudiziaria. Occorre differenziare le cause di non punibilità dalle cause di esclusione del reato (artt. 49-54 c.p.), le quali, al contrario, agiscono prima ancora della configurabilità del reato, negandone uno degli elementi costitutivi (tipicità, antigiuridicità o colpevolezza). Le cause di non punibilità presuppongono quindi un reato perfetto in ogni sua componente, ma ne inibiscono la punizione per ragioni extra-penali o di sistema. Tra le principali ipotesi vi sono il perdono giudiziale (art. 169 c.p.), l’irrilevanza del fatto (art. 131-bis c.p.), la particolare tenuità dell’offesa, la remissione di querela e la condotta riparatoria. Il loro riconoscimento comporta spesso il proscioglimento dell’imputato ex art. 530 c.p.p. o l’archiviazione del procedimento. Tali istituti rivestono un’importanza cruciale per garantire una giustizia penale equa e proporzionata, orientata anche alla rieducazione e alla risocializzazione del reo, evitando il ricorso alla sanzione penale quando questa risulti sproporzionata o inutile sotto il profilo preventivo.


Nozione giuridica di Non Punibilità  

La non punibilità, nel sistema penale italiano, rappresenta un istituto giuridico che, pur in presenza di un fatto costituente reato in tutte le sue componenti (tipicità, antigiuridicità e colpevolezza), impedisce l’applicazione della sanzione penale. 

Essa è disciplinata da una pluralità di disposizioni contenute nel Codice penale, tra cui si segnalano, in particolare, gli articoli 131-bis c.p. (particolare tenuità del fatto), 169 c.p. (perdono giudiziale), 462 c.p. (remissione della querela), nonché diverse ipotesi speciali previste da norme settoriali.

Dal punto di vista strutturale, le cause di non punibilità presuppongono l’accertamento della responsabilità penale dell’agente: il fatto è penalmente rilevante, l’autore è colpevole, ma sussistono motivi normativi che rendono inopportuno o superfluo l’esercizio del potere punitivo statale. Ne deriva un effetto estintivo della pretesa punitiva, senza che ciò incida sulla qualificazione giuridica del fatto come reato.

I presupposti variano a seconda della specifica causa: per la particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.), ad esempio, è richiesta la minima offensività della condotta, un grado di colpevolezza contenuto, e l’assenza di abitualità delinquenziale. Altri istituti, come la remissione di querela, implicano un atto volontario ed efficace della persona offesa. In tutti i casi, l’operatività dell’istituto è soggetta a rigorosi limiti normativi e a valutazioni giudiziali discrezionali, soprattutto in relazione al bilanciamento tra esigenze punitive e finalità rieducative.

L’effetto giuridico principale della non punibilità è il proscioglimento dell’imputato (art. 530 c.p.p.) o, in fase preliminare, l’archiviazione del procedimento (art. 411 c.p.p.), pur permanendo la qualificazione del fatto come illecito penale. Non si tratta, dunque, di una declaratoria di innocenza, bensì di una rinuncia, in senso tecnico, all’esercizio della funzione punitiva dello Stato.


Differenza tra Cause di Non Punibilità e Scriminanti  

Nel diritto penale italiano sussiste una distinzione fondamentale tra scriminanti e cause di non punibilità, che operano su piani diversi della struttura del reato e producono effetti giuridici distinti.

Le Scriminanti

Le scriminanti, o cause di giustificazione, sono circostanze che escludono l'antigiuridicità del fatto, rendendolo lecito. Tra le principali figurano la legittima difesa (art. 52 c.p.) e lo stato di necessità (art. 54 c.p.).
La legittima difesa opera quando sussiste un'aggressione ingiusta attuale e una reazione proporzionata, come chiarito dalla Cassazione penale Sez. V n. 1678/2025, che precisa come non sia configurabile quando la reazione sia manifestamente sproporzionata. Lo stato di necessità richiede invece un pericolo attuale per un bene giuridico, come evidenziato dalla Cassazione penale Sez. V n. 38734/2023.

Le Cause di Non Punibilità

Le cause di non punibilità presuppongono l'esistenza del reato in tutti i suoi elementi costitutivi, ma ne escludono la punibilità per ragioni di opportunità politico-criminale. Esempi significativi sono la causa prevista dall'art. 384 c.p. per chi commette determinati reati per salvare sé o un congiunto, e la non punibilità dell'art. 323-ter c.p. per l'autodenuncia nei reati contro la pubblica amministrazione.

La Cassazione penale Sez. VI n. 7254/2022 ha chiarito che l'art. 384 c.p. opera quando sussiste un rapporto di derivazione immediata tra il fatto e la necessità di evitare un grave pregiudizio.

Differenze Teoriche e Pratiche

La distinzione fondamentale risiede nel fatto che le scriminanti escludono l'illiceità del fatto ab origine, mentre le cause di non punibilità lasciano sussistere l'antigiuridicità ma impediscono l'applicazione della sanzione. 

Questa differenza produce effetti pratici rilevanti: le scriminanti hanno efficacia erga omnes secondo l'art. 119 c.p., mentre le cause di non punibilità operano solo per il soggetto che ne beneficia. Inoltre, la particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.) rappresenta una moderna causa di esclusione della punibilità che valorizza il principio di offensività.


Perdono giudiziale e particolare tenuità del fatto 

Tra le principali cause di non punibilità previste dal Codice penale italiano, assumono particolare rilievo il perdono giudiziale (art. 169 c.p.) e la particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.). Entrambe si fondano su esigenze di deflazione processuale e di equità sostanziale, rispondendo all’idea di un diritto penale “minimo” e proporzionato.

L’art. 131-bis c.p., introdotto dal d.lgs. n. 28/2015, consente al giudice di escludere la punibilità quando il fatto, pur astrattamente configurabile come reato, risulti di particolare tenuità. La norma richiede la sussistenza congiunta di due requisiti fondamentali: la minima offensività del fatto in concreto e la non abitualità del comportamento dell’agente. Si tratta, dunque, di una valutazione eminentemente casistica e discrezionale, rimessa al prudente apprezzamento del giudice, il quale dovrà considerare la modalità della condotta, l’esiguità del danno o del pericolo, il grado di colpevolezza, la personalità dell’autore e l’eventuale reiterazione di condotte analoghe.

L’ambito di applicazione è limitato ai reati puniti con pena edittale detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, sola o congiunta a pena pecuniaria. Sono espressamente esclusi dall’operatività dell’istituto i reati di particolare allarme sociale, quali quelli contro la pubblica amministrazione, la libertà sessuale o commessi con metodo mafioso o finalità di terrorismo.

Un esempio tipico di applicazione dell’art. 131-bis c.p. si riscontra nei procedimenti per furto di modico valore o danneggiamento senza conseguenze rilevanti, specie se l’imputato non ha precedenti penali. In questi casi, pur essendovi reato, il giudice può ritenere sproporzionato l’intervento sanzionatorio e pronunciare sentenza di non doversi procedere.

Il perdono giudiziale (art. 169 c.p.), invece, si applica esclusivamente ai minori e costituisce un’ipotesi eccezionale, fondata su valutazioni di maturità e ravvedimento del reo, operando solo dopo accertamento della responsabilità penale, senza che ciò comporti iscrizione nel casellario giudiziale. È un istituto che coniuga prevenzione speciale positiva e finalità rieducativa.


Riconciliazione tra le parti e condotte riparatorie  

La riconciliazione tra le parti e le condotte riparatorie rappresentano espressioni concrete di giustizia riparativa, modello che integra la giustizia retributiva tradizionale con forme alternative di gestione del conflitto penale, orientate alla riparazione del danno, al recupero del reo e alla centralità della vittima.

Nel sistema penale italiano, varie norme attribuiscono rilievo al comportamento riparatorio dell’imputato. In particolare, l’art. 162-ter c.p. prevede che, nei procedimenti per reati perseguibili d’ufficio puniti con pena pecuniaria o detentiva non superiore a quattro anni, l’imputato possa ottenere l’estinzione del reato mediante condotte riparatorie, consistenti nel risarcimento del danno o nell’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato. Tali comportamenti devono avvenire prima dell’apertura del dibattimento e devono essere giudicati integrali e concreti dal giudice.

Ulteriori previsioni si rinvengono in ambito minorile (D.P.R. 448/1988) e, più recentemente, nel d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 (c.d. riforma Cartabia), che ha introdotto disposizioni organiche sulla giustizia riparativa, istituendo centri dedicati e riconoscendo valore processuale ai percorsi di mediazione penale.

Sul piano procedurale, l’effetto tipico delle condotte riparatorie è l’estinzione del reato o, in alternativa, una significativa attenuazione del trattamento sanzionatorio. Il giudice può infatti valutare tali condotte ai fini della concessione delle attenuanti generiche, della sospensione condizionale della pena, o dell’applicazione di pene sostitutive.

Fondamentale è il ruolo della vittima, la quale non solo beneficia direttamente delle azioni riparatorie, ma può anche essere coinvolta in un percorso di mediazione penale, esprimendo consenso alla riconciliazione o valutando la sincerità dell’impegno risarcitorio. Tuttavia, la partecipazione della persona offesa non ha effetto vincolante: il giudice mantiene un potere autonomo di verifica della reale efficacia della condotta riparatoria.

L’obiettivo è trasformare il processo penale in un’occasione di responsabilizzazione del reo e di riconoscimento del vissuto della vittima, in una logica non meramente retributiva, ma costruttiva e orientata alla ricomposizione sociale del conflitto.


Non punibilità per difetto di querela 

La non punibilità per difetto di querela rappresenta una delle principali cause di improcedibilità dell'azione penale nel sistema processuale penale italiano, operando come condizione necessaria per l'esercizio dell'azione penale nei reati procedibili solo a querela di parte.

I reati procedibili a querela di parte sono quelli per i quali l'ordinamento subordina l'esercizio dell'azione penale alla manifestazione di volontà della persona offesa. Come stabilito dall'art. 120 c.p., ogni persona offesa da un reato per cui non debba procedersi d'ufficio ha diritto di querela.

La querela è proposta mediante dichiarazione (art. 336 c.p.p.) nella quale si manifesta la volontà che si proceda in ordine a un fatto previsto dalla legge come reato. Esempi significativi includono i delitti contro l'onore come la diffamazione, procedibile a querela secondo l'art. 597 c.p., e i delitti sessuali di cui all'art. 609-septies c.p.

Il termine ordinario per proporre querela è stabilito dall'art. 124 c.p. in tre mesi dal giorno della notizia del fatto costituente reato. Tuttavia, la legge prevede termini speciali per specifici reati: ad esempio, per i delitti sessuali l'art. 609-septies c.p. stabilisce un termine di dodici mesi.

La Cassazione penale Sez. VI n. 33758/2023 ha chiarito che, per i reati divenuti procedibili a querela con il D.Lgs. 150/2022, il termine decorre dall'entrata in vigore della riforma senza obbligo di informativa alla persona offesa.

La mancata presentazione della querela nel termine previsto comporta l'improcedibilità dell'azione penale. Come evidenziato dalla Cassazione penale Sez. I n. 31451/2023, decorso il termine senza acquisizione della querela, si impone l'immediata declaratoria di improcedibilità.
La remissione di querela (art. 152 c.p.) estingue il reato e può essere processuale o estraprocessuale, espressa o tacita. La Cassazione penale Sez. IV n. 17206/2023 ha precisato che la remissione validamente presentata determina l'estinzione del reato che deve essere dichiarata anche in sede di legittimità.

Particolare rilevanza assume la distinzione tra denuncia e querela: la Cassazione penale Sez. IV n. 10027/2025 ha stabilito che la mera denuncia orale senza espressa richiesta di punizione non equivale a querela ai fini della procedibilità.


Non punibilità per mancanza di interesse punitivo 

La non punibilità per mancanza di interesse punitivo rappresenta una delle espressioni più significative del principio di proporzionalità dell’intervento penale e della funzione selettiva del processo penale. Essa trova fondamento in una valutazione di opportunità normativa, secondo cui l’ordinamento, pur riconoscendo la sussistenza formale di un reato, rinuncia consapevolmente alla punizione in ragione della modesta rilevanza offensiva del fatto o della scarsa incidenza sul tessuto sociale.

L’art. 131-bis c.p. codifica tale principio nella nozione di “particolare tenuità del fatto”, ma ancor prima, nella prassi, il giudice e il pubblico ministero avevano applicato in via interpretativa criteri di irrilevanza penale sulla base dell’assenza di interesse statuale alla repressione. Tale orientamento è stato avallato dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità, che ha più volte sottolineato la necessità di evitare un uso eccessivo della sanzione penale nei casi di marginalità del fatto.

Esemplari in tal senso sono i decreti di archiviazione ex art. 411 c.p.p., motivati dall’irrilevanza sostanziale del fatto, anche al di fuori dei casi espressamente tipizzati. In giurisprudenza di merito, si rinvengono numerosi precedenti in cui si è ritenuto inopportuno l’esercizio dell’azione penale per offese di minima entità: ad esempio, ingiurie di scarso rilievo, lesioni lievissime con immediata remissione delle conseguenze, danneggiamenti simbolici in contesti di conflittualità familiare o vicinale.

Tale impostazione risponde all’esigenza di deflazione processuale, salvaguardando le risorse del sistema penale per le ipotesi di effettivo allarme sociale. In questo senso, il diritto penale si configura come ultima ratio, da utilizzare solo quando il fatto non possa essere diversamente gestito in sede civile, amministrativa o conciliativa.


Non punibilità in ambito minorile  

La non punibilità in ambito minorile rappresenta uno dei pilastri fondamentali del sistema penale italiano, orientato verso finalità educative e rieducative piuttosto che meramente punitive. Il legislatore ha predisposto una serie di istituti specifici che privilegiano il recupero sociale del minore rispetto alla sanzione penale tradizionale.

Il Perdono Giudiziale (art. 169 c.p.)

Il perdono giudiziale (art. 169 c.p.) costituisce il principale strumento di non punibilità per i minori degli anni diciotto. L'istituto consente al giudice di astenersi dal pronunciare condanna quando, per reati puniti con pena detentiva non superiore a due anni o pecuniaria non superiore a lire diecimila, presume che il colpevole si asterrà dal commettere ulteriori reati.

Come chiarito dalla Cassazione penale Sez. II n. 38195/2022, il perdono giudiziale è subordinato alla prognosi favorevole che l'imputato si asterrà dal commettere ulteriori reati, valutazione da effettuarsi alla luce delle circostanze indicate nell'art. 133 c.p. Tale prognosi deve basarsi non solo sull'eventuale incensuratezza, ma anche su elementi rivelatori della personalità del minore, quali le circostanze e modalità dell'azione, l'intensità del dolo e la condotta di vita successiva al reato.

La Cassazione penale Sez. V n. 21486/2021 ha precisato che il perdono giudiziale non costituisce oggetto di un diritto dell'imputato ma è rimesso al potere discrezionale del giudice, il quale deve motivare la propria scelta evidenziando gli elementi rilevanti per la prognosi circa gli effetti che possono derivare dal beneficio.

Valutazione Educativa

La valutazione educativa rappresenta il fulcro dell'intero sistema penale minorile. L'art. 9 del D.P.R. 448/1988 stabilisce che il pubblico ministero e il giudice acquisiscono elementi circa le condizioni e le risorse personali, familiari, sociali e ambientali del minorenne per accertarne l'imputabilità, valutare la rilevanza sociale del fatto e disporre le adeguate misure penali.

La Cassazione penale Sez. V n. 13020/2023 ha evidenziato che l'ammissione alla messa alla prova è subordinata a un vaglio discrezionale del giudice che deve valutare la concreta possibilità di rieducazione e reinserimento del minore, basandosi su un giudizio prognostico che considera molteplici indicatori relativi sia al reato che alla personalità del reo.

Altri Istituti di Non Punibilità

Il sistema prevede ulteriori strumenti di non punibilità specificamente orientati alla rieducazione. La sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto (art. 27 D.P.R. 448/1988) può essere pronunciata quando risulta la tenuità del fatto e l'occasionalità del comportamento, purché l'ulteriore corso del procedimento pregiudichi le esigenze educative del minorenne.

La Cassazione penale Sez. IV n. 22161/2022 ha chiarito che per l'irrilevanza del fatto devono sussistere congiuntamente tre presupposti: la tenuità dell'offesa, l'occasionalità della condotta e il pregiudizio derivante al minore dalla prosecuzione del procedimento.

Obiettivi di Rieducazione e Reinserimento

La sospensione del processo con messa alla prova (art. 28 D.P.R. 448/1988) rappresenta lo strumento più innovativo, finalizzato alla valutazione della personalità del minorenne attraverso l'affidamento ai servizi minorili per attività di osservazione, trattamento e sostegno.

Come sottolineato dalla Cassazione penale Sez. V n. 1600/1997, la sospensione del processo ha valore aggiunto rispetto al perdono giudiziale, postulando una prognosi di positiva evoluzione della personalità del soggetto senza i limiti previsti per altri istituti.

Il nuovo percorso di rieducazione del minore (art. 27-bis D.P.R. 448/1988) introduce ulteriori possibilità di definizione anticipata del procedimento attraverso programmi rieducativi che prevedono lavori socialmente utili e attività a beneficio della comunità, confermando l'orientamento del sistema verso la rieducazione e il reinserimento sociale del minore.


Conseguenze della Non Punibilità sul piano processuale

L’accertamento di una causa di non punibilità produce rilevanti effetti sul piano processuale, incidendo sia sulla prosecuzione del procedimento che sul contenuto della decisione giudiziale. In presenza di una causa di non punibilità — quale la particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.), il perdono giudiziale (art. 169 c.p.), la remissione di querela o le condotte riparatorie (art. 162-ter c.p.) — il procedimento si conclude con un provvedimento di proscioglimento, anche qualora sia stata già accertata la responsabilità penale dell’imputato.

L’effetto principale è la pronuncia di una sentenza di non doversi procedere (detta anche non luogo a procedere) ex art. 469 o 529 c.p.p., oppure di archiviazione nei casi in cui l’irrilevanza emerga nella fase delle indagini preliminari. A differenza dell’assoluzione per insussistenza del fatto, la sentenza di proscioglimento per non punibilità implica il riconoscimento che il fatto costituisce reato e che l’imputato lo ha commesso, ma che lo Stato rinuncia alla pena per motivi di legge.

Sul piano degli effetti giuridici, tali provvedimenti non comportano l'iscrizione nel casellario giudiziale, salvo i casi espressamente previsti dalla legge (es. per particolari precedenti ostativi ai fini della recidiva). Inoltre, in linea generale, non producono effetti pregiudizievoli in sede civile o amministrativa, fatta salva l’eventuale utilizzabilità del provvedimento a fini probatori.

La persona offesa può opporsi alla richiesta di archiviazione (art. 410 c.p.p.) qualora ritenga sussistente l’interesse punitivo, specie nei casi in cui il giudizio di tenuità o di riparazione sia contestato. Tuttavia, tale opposizione è limitata al controllo sulla legittimità e correttezza della valutazione compiuta dal pubblico ministero e non consente l’imposizione del giudizio.

In sintesi, la non punibilità interrompe il corso del processo senza incidere sulla qualificazione giuridica del fatto, producendo un effetto processuale estintivo, distinto dall’assoluzione e coerente con i principi di economia processuale e giustizia sostanziale.


 FAQ – Domande Frequenti per Cause di Non Punibilità 

  • Cosa sono le cause di non punibilità?

Le cause di non punibilità sono istituti giuridici che escludono l’applicazione della pena pur in presenza di un fatto penalmente rilevante e di un soggetto penalmente responsabile. Non incidono sull’esistenza del reato, ma intervengono a valle dell’accertamento della responsabilità, impedendo la sanzione per ragioni di opportunità normativa, deflazione processuale o finalità rieducative. Tra le principali si annoverano la particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.), il perdono giudiziale (art. 169 c.p.), la remissione della querela e le condotte riparatorie (art. 162-ter c.p.);

  • Quando si applica la particolare tenuità del fatto?

L’art. 131-bis c.p. si applica ai reati puniti con pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, sola o congiunta a pena pecuniaria, qualora il fatto risulti di particolare tenuità per modalità della condotta, esiguità del danno o del pericolo e limitata colpevolezza dell’agente. È inoltre necessario che l’autore non abbia tenuto condotte abituali o reiterate. La valutazione è discrezionale e compete esclusivamente al giudice;

  • È possibile contestare una causa di non punibilità?

Sì. La parte offesa può proporre opposizione alla richiesta di archiviazione fondata su una causa di non punibilità (art. 410 c.p.p.), evidenziando elementi che ne escludano i presupposti. In sede di giudizio, le parti possono sollevare eccezioni e contestazioni, chiedendo l’accertamento pieno della responsabilità e l’irrogazione della pena;

  • La non punibilità equivale a innocenza?

No. La non punibilità non comporta una dichiarazione di innocenza, bensì un proscioglimento motivato dalla rinuncia statuale alla sanzione. Il fatto è giuridicamente qualificabile come reato e l’imputato ne è ritenuto responsabile, ma il legislatore ritiene inopportuno procedere per ragioni normative o sociali;

  • Possono esserci più cause di non punibilità nello stesso caso?

Sì. In presenza di più condizioni favorevoli, il giudice può rilevare contestualmente diverse cause di non punibilità, purché ciascuna trovi fondamento in presupposti autonomi e compatibili. Tuttavia, normalmente ne viene applicata una sola, ritenuta assorbente rispetto alle altre, ai fini della decisione.

Avvocato Marco Mosca

Marco Mosca

Sono l'Avv. Marco Mosca ed opero da 12 anni nel campo giuridico. Ho maturato una significativa esperienza in molti settori del diritto, in particolare nell'ambito della materia societaria e di tutto ciò che ad essa è collegato. Pertan ...