Le procedure alternative al fallimento

Dal 2005 sono state introdotte ben 3 procedure alternative al fallimento, considerando che il fallimento stesso è, comunque, una procedura molto lenta e costosa. Pertanto, può essere davvero preferibile scegliere una soluzione che lo eviti e che possa portare alla conservazione, anche solamente parziale, dell'impresa e, magari, una maggior soddisfazione dei creditori in tempi più rapidi.

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Se per il fallimento ci si limitava a considerare il presupposto oggettivo classico, ovvero, lo stato di insolvenza (situazione irreversibile che portava inevitabilmente a quella conclusione), in riferimento alle procedure alternative che andremo successivamente ad analizzare, il legislatore ha spostato la sua attenzione identificando uno stato precedente a quello di insolvenza ossia, lo stato di crisi o di preinsolvenza.

Dallo stato di crisi si può uscirne, non è una situazione irreversibile e l'obiettivo di queste tre procedure alternative al fallimento, ovvero:

È proprio quello di evitare una procedura fallimentare ordinaria e salvare, in qualche modo, l'impresa.

1. Il concordato preventivo

Il concordato preventivo (articolo 160 e seguenti L.F.) è un mezzo che viene offerto all'azienda debitrice per evitare la procedura fallimentare. Rappresenta di fatto un accordo giudiziale attraverso il quale il debitore e i suoi creditori concordano le modalità di estinzione del debito contratto.

Tale accordo deve essere approvato dai creditori.

Per aderire al concordato preventivo è richiesto che:

  • il richiedente sia un imprenditore commerciale;
  • che versi in stato di crisi o insolvenza.

Da un punto di vista oggettivo è necessario che l'imprenditore in difficoltà proponga ai propri creditori un cosiddetto piano di risanamento attraverso:

  • la ristrutturazione del proprio debito e conseguente soddisfacimento dei propri creditori con qualsiasi forma, anche mediante la cessione dei propri cespiti, l'attribuzione ai creditori di quote societarie, altre operazioni straordinarie o sfruttando strumenti finanziari alternativi e titoli di debito;
  • la delegazione ad un cosiddetto assuntore della gestione e amministrazione di tutte le attività delle imprese interessate alla proposta di concordato;
  • la suddivisione dei creditori in classi a seconda della loro posizione giuridica e degli interessi economici globali;
  • l'attribuzione di trattamenti differenziati ai creditori appartenenti alle diverse classi.

La proposta di concordato può anche prevedere che non vengano soddisfatti integralmente nemmeno i creditori privilegiati, purché il trattamento proposto non alteri l'ordine delle classi e che, anche ai creditori chirografari, venga proposta una percentuale minima per la loro liquidazione.

Per aderire al concordato preventivo, l'imprenditore in crisi, richiede al Tribunale competente la relativa domanda di ammissione.

Il Tribunale valuterà l'ammissibilità della domanda esaminando la situazione patrimoniale del richiedente che dovrà pervenire in allegato alla presentazione della richiesta al tribunale certificata da un professionista.

Riconosciuta ammissibile la richiesta, si apre la procedura di concordato, in caso contrario il tribunale dichiara, con separata sentenza, il fallimento.

Aperta la procedura di concordato, la palla passa ai creditori che dovranno votare sulla proposta del debitore: se la maggioranza degli aventi diritto esprime voto favorevole, il concordato viene approvato e il Tribunale lo omologa con decreto motivato, in caso contrario emette sentenza di fallimento.

L'imprenditore ammesso al concordato preventivo mantiene l'amministrazione dei suoi beni e può continuare l'attività di impresa sotto il controllo del commissario giudiziale per l'intera durata della procedura.

In questo modo l'imprenditore in crisi si affida al tribunale per stilare una proposta soddisfacente per tutti i suoi creditori a saldo e stralcio e, rinviando al giudizio degli stessi, gli esiti della sua richiesta. Saranno i creditori a decidere la sorte del debitore accettando o rifiutando tale proposta che, ovviamente, dovrà essere fatta attraverso basi solide certificate da un professionista e avvallate dal tribunale.

Con l'accettazione dei creditori, la procedura diventa esecutiva e l'imprenditore sarà obbligato ad adempiere alle obbligazioni relative a tale proposta, continuando l'attività di impresa sotto il controllo del commissario giudiziale fino a quando la procedura non sarà terminata.

2. Accordo di ristrutturazione dei debiti

Altra procedura alternativa al fallimento è il cosiddetto "accordo di ristrutturazione dei debiti", uno strumento flessibile disciplinato dalla legge fallimentare (art. 182 bis) che mira al risanamento dell'impresa in stato di crisi.

Tale strumento viene utilizzato quando l'impresa ha intenzione di ridurre la propria posizione debitoria e si basa su accordi presi con almeno il 60% dei creditori, e può cominciare soltanto mediante la relazione di un professionista che ne attesti la fattibilità.

Gli accordi con i creditori aderenti non devono sottostare a regole predeterminate, discorso analogo per quanto riguarda i debiti tributari e previdenziali, ma ai creditori non adempienti sarà necessario assicurare l'integrale pagamento del debito entro i termini di legge.

La natura di questo accordo è per lo più privatistica: trattasi di un vero e proprio accordo tra privati supervisionato dal tribunale fallimentare che si impegna soltanto a garantire il rispetto di determinate regole di procedimento.

Le motivazioni per cui possiamo parlare di accordo privato sono le seguenti:

  • la procedura non determina l'apertura del concorso dei creditori sul patrimonio dell'impresa;
  • non vi è alcun obbligo di rispetto della par condicio per la soddisfazione dei creditori;
  • non ha efficacia nei confronti di tutti i creditori ma solo di quelli aderenti.

La procedura inizia con il ricorso del debitore in stato di crisi al tribunale fallimentare competente che deposita un piano di ristrutturazione dei propri debiti con almeno il 60% dei crediti risolto mediante accordi già presi con le controparti, il totale delle attività, l'elenco dei creditori personali dell'imprenditore a responsabilità illimitata e la certificazione di un revisore contabile circa la fattibilità di tali accordi e la capacità di soddisfare i creditori non adempienti al 100%.

Sarà il tribunale ad accordare tale richiesta che si concluderà con l'omologa che darà il via alla fase esecutiva della procedura solo dopo la pubblicazione del decreto nel Registro Imprese.

Durante la fase di trattativa, ovvero mentre la procedura è aperta, è fatto divieto ai creditori di intraprendere azioni esecutive e cautelari individuali fino a 60 giorni dopo la chiusura del procedimento stesso.

La procedura non seguirà un iter predeterminato in quanto viene lasciata alle norme di diritto privato in materia di contratti, e ai singoli accordi con gli adempienti. Tuttavia, è lasciata facoltà, al termine della procedura, ai creditori inadempienti di fare istanza di fallimento.

Gli aderenti agli accordi potranno invece chiedere la risoluzione della procedura qualora il debitore risultasse inadempiente o non rispettasse completamente gli accordi, da lui stesso, proposti.

La risoluzione del concordato già omologato comunque, anche in caso di fallimento successivo, non prevede azione revocatoria sui pagamenti e le garanzie già effettuati in esecuzione all'accordo.

3. Piano di risanamento

Il terzo ed ultimo istituto giuridico alternativo al fallimento è il cosiddetto "piano di risanamento" introdotto dall'articolo 67, terzo comma, lett. d, della legge fallimentare.

Il piano di risanamento è uno strumento nelle mani dell'imprenditore in via esclusiva che ha la finalità di risanare la sua impresa da un punto di vista economico e finanziario con la messa in atto di azioni strategiche, in assenza di qualsiasi ingerenza e controllo da parte del Tribunale a differenza delle altre due procedure sopra descritte.

L'assenza del Tribunale fa propendere per non considerare il piano di risanamento come una vera e propria procedura concorsuale.

La finalità di tale istituto è quella di salvaguardare gli atti posti in essere all'interno di un piano attendibile di risanamento aziendale nel caso in cui questo non dovesse avere successo e si apra successivamente il fallimento.

È previsto infatti dall'art. 67 terzo comma, lett. d, della legge fallimentare, sopracitato:

che non sono soggetti ad azione revocatoria […] gli atti, i pagamenti e le garanzie concesse su beni del debitore purché posti in essere in esecuzione di un piano che appaia idoneo a consentire il risanamento della esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria; un professionista indipendente designato dal debitore, iscritto nel registro dei revisori legali deve attestare la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano […]

Questo per tutelare chi ha confidato nella bontà del piano dalle conseguenze di una eventuale azione revocatoria fallimentare successiva al fallimento del piano e dell'impresa stessa.

Il piano di risanamento è una soluzione completamente stragiudiziale con ampia flessibilità di contenuti che coinvolge solo una parte dei creditori e che mira al risanamento dell’impresa, sia per quel che riguarda la propria posizione debitoria, sia relativamente alla situazione finanziaria.

Perché sia valido, il piano di risanamento deve essere attestato da un professionista estraneo all'impresa che dovrebbe accertare la veridicità dei dati e la fattibilità del piano.

Un piano di risanamento deve avere i seguenti requisiti:

  • deve comportare la riduzione dei debiti;
  • deve rideterminare e rinegoziare le scadenze;
  • rinegoziare le condizioni, gli interessi e l'ammontare stesso dei debiti coi creditori.

Grazie a queste operazioni si mira a riportare l'azienda ad una situazione di equilibrio finanziario rimodulando i flussi di cassa e a riequilibrare la struttura economica.

Tra le operazioni che si possono effettuare per la realizzazione di un piano di risanamento possiamo elencare:

  • la ricapitalizzazione societaria;
  • la rinuncia totale o parziale ai debiti;
  • rinegoziazione di finanziamenti;
  • richiesta di nuovi finanziamenti;
  • vendita di cespiti non strategici;
  • miglioramento dell'efficienza del processo produttivo.

Un piano di risanamento può avere un tempo realizzativo di 3-5 anni, non maggiore per evitare che le previsioni siano troppo incerte proprio perchè a lungo termine.

Come detto relativamente al piano di risanamento, il soggetto escluso rispetto alle precedenti soluzioni alternative alla procedura fallimentare, e al fallimento stesso, è proprio il Tribunale, essendo quest'ultima una procedura completamente stragiudiziale.

I soggetti che vengono coinvolti in questa procedura sono i seguenti:

  • il professionista che predispone il piano di risanamento, lo descrive e lo propone ai soggetti coinvolti come banche e creditori. Questo soggetto deve essere esterno alla compagine societaria e non deve essere di parte quindi, non già un consulente dell'impresa;
  • il consulente legale che si preoccupa di rendere i termini dell'accordo compatibili con le norme vigenti;
  • i consulenti di parte, ovvero il commercialista e il consulente del lavoro dell'impresa che saranno di supporto alle due figure già citate per la redazione del piano e per fornire ai primi due una fotografia veritiera dell'impresa in fase di preparazione del piano di risanamento;
  • l'attestatore è la figura fondamentale di questa procedura, l'unica vera e propria figura di garanzia che, in assenza del Tribunale ha il compito di valutare il piano di risanamento proposto dai consulenti e attestarne la veridicità dei dati e la fattibilità, controllando e certificando bilanci e lo stato patrimoniale dell'azienda. Deve essere iscritto all'albo dei revisori contabili.

Il piano di risanamento certificato e garantito dalla figura dell'attestatore è un documento che definisce le strategie future dell'impresa che serviranno alla stessa per invertire la rotta e deve dare le indicazioni e la direzione da seguire per risanare l'impresa definendo il piano industriale, le strategie e gli accordi coi creditori per regolarizzare il debito in essere.

La realizzazione di un piano di risanamento comporta la stesura di due documenti chiave che tracceranno la vita futura dell'impresa stessa:

  • il piano industriale;
  • il piano economico finanziario.

Una nota per concludere, è stato stabilito attraverso il cosiddetto “Decreto Crescita” (D.L. n. 83/2012) che il professionista che sceglierà il debitore per predisporre il piano di risanamento dovrà necessariamente essere esterno all'impresa per non compromettere l'imparzialità e l'obiettività di giudizio circa le reali situazioni dell'impresa.

Senza questa precisazione ci sarebbe stato il rischio che fosse nelle mani di chi aveva causato la crisi, l'onere del risanamento.

Solo un giudizio obiettivo da persona esterna alla compagine societaria e senza rapporti precedenti con l'impresa può fornire un giudizio veritiero sulla situazione e sulla fattibilità del piano anche in funzione dell'esonero da revocatoria fallimentare di tutte le operazioni ivi contenute e poste in essere

Fonti normative

Art, 160 e seguenti, L.F.

Art. 182 bis, L.F.

Art. 67 terzo comma lett. d, L.F

Decreto Crescita” - D.L. n. 83/2012

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