Differenza tra dimissioni volontarie e risoluzione consensuale

La cessazione del rapporto di lavoro si concretizza nella conclusione degli effetti di un contratto di lavoro. Un rapporto di lavoro può cessare anche per la volontà di entrambe le parti – il datore di lavoro e il lavoratore – ed è regolamentato dalla legge.

1. Le dimissioni volontarie

Le dimissioni volontarie del lavoratore rappresentano l’esercizio di un diritto soggettivo, attraverso un atto unilaterale che ha come effetto quello di “risolvere il rapporto di lavoro” indipendentemente dalla volontà del datore.

Di primaria importanza dunque è la decisione del lavoratore, che in via unilaterale decide di interrompere il rapporto di lavoro.

Le dimissioni possono essere ricondotte al principio generale della “necessaria temporaneità dei vincoli obbligatori” (e dunque della tutela della libertà personale). Inoltre rispondono, così come stabiliscono i dettami costituzionali, all’esigenza di garantire al lavoratore con un contratto a tempo indeterminato la possibilità di autodeterminare il proprio futuro, nonché di scegliere la controparte contrattuale.

Naturalmente, il lavoratore è tenuto a seguire la prassi fissata dalla legge, riconoscendo al datore di lavoro la facoltà di avvalersi di un lasso di tempo detto preavviso di dimissioni. Il lavoratore deve comunicare al datore di lavoro la propria decisione, rispettando un periodo minimo di preavviso, al fine di consentire al datore di lavoro di riorganizzarsi.

Con la nuova normativa, non è più sufficiente che il lavoratore comunichi al datore le proprie dimissioni. Infatti, le dimissioni saranno efficaci soltanto laddove venga completata anche una nuova procedura telematica, introdotta per consentire al lavoratore di comunicare la propria decisione e tutelarsi da eventuali forzature e costrizioni (questo per evitare “pericoli” come la lettera di dimissioni in bianco). La comunicazione deve avvenire via Web, attraverso l’uso di appositi moduli resi disponibili dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e trasmessi al datore e alla Direzione territoriale del lavoro competente.

In caso di ripensamento, il lavoratore ha facoltà di revocare le dimissioni entro sette giorni dalla data di trasmissione del modulo e con le medesime modalità telematiche.

I tempi di preavviso – per periodo di preavviso si intende quel periodo di tempo successivo alla presentazione delle dimissioni in cui il lavoratore continua a svolgere la propria attività lavorativa –, sono una forma di tutela del datore di lavoro, al quale viene consesso in questo modo un tempo teoricamente sufficiente a individuare, assumere e formare il nuovo dipendente che prenderà posto e mansioni del dimissionario. Spetta in particolare alla normativa vigente stabilire che ciascun contraente di un contratto di lavoro subordinato, anche se a tempo indeterminato, può recedere dal contratto dandone il preavviso entro il “termine e nei modi stabiliti dagli usi o secondo equità”. I termini di preavviso sono normalmente indicati dai CCNL di riferimento e possono dipendere da diversi fattori, tra cui qualifica e anzianità aziendale del dimissionario. Laddove mancasse il periodo di preavviso previsto per legge, il datore di lavoro ha diritto a richiedere un'indennità, il cui importo è normalmente calcolato sulla base delle retribuzioni che sarebbero spettate al dipendente per il periodo di preavviso non lavorato. Si ricorda infine che, a prescindere dalla durata del periodo complessivamente previsto, tra i giorni di preavviso non sono conteggiati eventuali giorni di assenza dovuti a malattia, infortunio, ferie o maternità. 

La disciplina riguardante il preavviso non interessa i lavoratori a tempo determinato, per i quali non è del resto prevista neppure la possibilità delle dimissioni.

2. La risoluzione consensuale

La risoluzione consensuale del rapporto di lavoro si verifica quando sia datore sia lavoratore acconsentono ad interrompere il contratto accettato da entrambe le parti, poiché è venuta meno la convenienza reciproca del rapporto contrattuale.

La risoluzione consensuale può avvenire in due diversi modi:

a) Con una esplicita manifestazione di volontà

b) Attraverso comportamenti concludenti da cui si manifesta la volontà di non proseguire nel rapporto

Un esempio, è dato dalla proposta del datore di erogare un contributo economico per tutti i lavoratori che presentino le dimissioni entro un periodo di tempo indicato dal datore stesso. La semplice adesione del lavoratore alla proposta del datore di lavoro rappresenta una risoluzione consensuale.

È sempre necessario trasmettere un'apposita dichiarazione del lavoratore apposta in calce alla ricevuta di trasmissione della comunicazione di cessazione del rapporto di lavoro.

Tale documentazione deve essere trasmessa alla Direzione Territoriale del Lavoro (DTL) o al Centro Servizi per il Lavoro (CSL) della Provincia di competenza, alle sedi stabilite dai Contratto Collettivo Nazionale (CCNL). In alternativa, possono essere individuate altre forme semplificate di accertamento dell’autenticità della manifestazione di volontà del lavoratore.

Tali adempimenti devono essere conclusi entro 30 giorni dalla data di risoluzione consensuale del rapporto, che altrimenti sarà del tutto inefficace.

Il lavoratore può anche decidere di revocare la sua decisione con una dichiarazione scritta entro 7 giorni dalla convalida della risoluzione. Quindi, il rapporto di lavoro persisterà, ma senza che il datore di lavoro riconosca alcuna retribuzione al lavoratore per le ore non lavorate.

Anche in questo caso, è meglio evitare la prassi diffusa di far firmare in bianco una dichiarazione al lavoratore che simuli la risoluzione del contratto, poiché oltre a rappresentare un reato, è colpita con sanzioni amministrative particolarmente alte (fino a 30.000 €).

Vi sono alcuni periodi in cui il lavoratore deve convalidare la richiesta di risoluzione consensuale direttamente presso la Direzione Territoriale del Lavoro, e sono durante:

- la gravidanza da parte della lavoratrice;

- i primi tre anni di vita del bambino;

- i primi tre anni di accoglienza del minore adottato;

- i primi tre anni che decorrono dalla comunicazione dell’invito a porre in essere l’adozione internazionale.

3. L’applicazione della normativa

La norma non trova applicazione per i seguenti rapporti di lavoro:

a) Per i rapporti di lavoro domestico (dimissioni)

b) Durante il periodo di prova (dimissioni)

c) In caso di dimissioni o risoluzioni consensuali del rapporto di lavoro presentate dalla lavoratrice madre nel periodo di gravidanza, o dai genitori lavoratori durante i primi tre anni di vita del bambino

d) Per i rapporti di lavoro marittimo (dimissioni regolate dal Codice della Navigazione)

e) Per le risoluzioni consensuali e dimissioni disposte nelle sedi conciliative

Per il Ministero del Lavoro la normativa non torva applicazione anche nel caso di:

a) Risoluzioni di contratti di lavoro parasubordinato

b) Risoluzione di rapporti di lavoro domestico

c) Risoluzione avvenute nell’arco temporale che va dalla gravidanza fino al terzo anno della vita del bambino

d) Risoluzioni avvenute durante il periodo di prova

e) Risoluzioni di rapporti di lavoro marittimo

f) Risoluzioni di rapporti di lavoro nella PA

In questi ultimi casi, trovandosi in presenza di un “parere” del Ministero del Lavoro supportato solo in parte dalla normativa, è necessario, nei casi più controversi, affidarsi alla consulenza o all’assistenza legale.

Fonti Normative

Costituzione Italiana: art. 4

Codice Civile: artt. 2096 - 2113 – 2118 – 2119

D.Lgs. n. 151/2015

Legge n. 92/2012

D.Lgs. n. 151/2001

Cassazione civile sent. n. 14321/2017

Cassazione civile sent. n 12128/2015

Cassazione civile sent. n. 5638/2009

Cassazione civile sent. n. 171/2009

Cassazione civile sent. n. 18285/2009

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