La Risoluzione Consensuale del Rapporto di Lavoro

Il rapporto di lavoro può cessare anche per risoluzione consensuale, laddove, datore di lavoro e lavoratore manifestino una concorde volontà di interruzione del contratto

 risoluzione consensuale del rapporto di lavoro

1. Cosa si intende per Risoluzione Consensuale del rapporto di lavoro?

Il rapporto di lavoro può cessare per volontà del datore di lavoro mediante licenziamento del dipendente, del lavoratore qualora questi presenti le dimissioni, o per risoluzione consensuale, che ha luogo nell’ipotesi in cui datore e lavoratore concordano sulla volontà di risolvere il rapporto di lavoro.

Con la risoluzione consensuale disciplinata dall’art. 1372 c.c., entrambe le parti dichiarano, d’intesa tra loro, di voler recedere dall’accordo stipulato a suo tempo, mediante una nuova dichiarazione. Il rapporto si estingue per mutuo consenso dei contraenti, con effetto immediato: a far data dalla sottoscrizione dell’accordo; o differito: le parti convengono che tra il periodo intercorrente tra la sottoscrizione dell’accordo e la data di cessazione, il dipendente lavori regolarmente, oppure si collochi in aspettativa, o goda delle ferie.

Il lavoratore ha la possibilità, entro 7 giorni, a decorrere dalla data di trasmissione, di revocare la dichiarazione di risoluzione consensuale, ossia revocare la propria decisione: in tal caso il contratto di lavoro sarà considerato ancora valido, ma non verranno riconosciute al dipendente le ore non lavorate.

Quanto alla forma va precisato che le recenti riforme, Fornero prima ed il Jobs Act poi, hanno imposto che la suddetta comunicazione avvenga esclusivamente in modalità telematica, attraverso la compilazione di appositi moduli messi a disposizione degli utenti dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.

Generalmente la risoluzione consensuale comporta la rinuncia al periodo di preavviso ed alla relativa indennità sostitutiva, tuttavia prevede l’impegno del datore di lavoro di erogare somme aggiuntive, oltre al TFR ed altre spettanze dovute per effetto della cessazione del rapporto di lavoro, il cd. incentivo all’esodo, liberamente pattuito tra le parti.

2. La risoluzione consensuale è prevista anche per il contratto di lavoro a tempo determinato?

La risposta è affermativa. Il contratto di lavoro a tempo determinato è caratterizzato da una durata prestabilita, come tale le parti si impegnano a rispettare il contratto di lavoro fino alla scadenza del termine previsto, fatta eccezione per un’eventuale proroga.

La succitata tipologia di contratto può estinguersi solo per i seguenti motivi, come disposto dall’ art.2119 c.c.: Giusta causa, causa di gravità tale da non consentire la prosecuzione del rapporto di lavoro; e Risoluzione consensuale tra le parti, non essendo contemplate le ipotesi di Dimissioni volontarie o del Licenziamento per motivi diversi dalla giusta causa (anzi in questi casi la parte lesa può fare causa all’altra e ottenere un rimborso per i danni subiti).

3. “L’incentivazione all’esodo”

L’ incentivazione all’esodo ricomprende tutte le misure che il datore di lavoro intende proporre al lavoratore affinché questi accetti di risolvere il rapporto contrattuale. Come vedremo, alcune di queste misure hanno carattere eminentemente economico, altre sono di sostegno al lavoratore per la ricerca di una nuova occupazione, ed altre ancora finalizzate al prepensionamento dello stesso.

-Incentivazione allesodo a livello individuale di tipo economico: nel momento in cui il datore di lavoro ritiene che il rapporto con un suo lavoratore non sia più compatibile con l’organizzazione aziendale (come nel caso di prevista soppressione di un posto di lavoro), che la sua permanenza in azienda sia ritenuta non più accettabile (come nel caso di comportamenti disciplinarmente rilevanti), o ancora, che vi siano situazioni personali del lavoratore (come ad esempio nel caso di lavoratore assente per malattie od infortuni di lunga durata), propone allo stesso di accettare un’offerta economica, offrendogli una determinata cifra, affinché accetti di risolvere il rapporto di lavoro.

-Incentivazione allesodo a livello individuale di tipo non direttamente economico: in taluni casi l’incentivazione all’esodo può consistere nell’offerta del datore di lavoro di mettere a disposizione del lavoratore un servizio di consulenza alla ricollocazione (“outplacement”) , oppure nella proposta di trasformare il rapporto di lavoro da subordinato in rapporto di lavoro autonomo o imprenditoriale.

-Incentivazione allesodo a livello collettivo di tipo economico: nei casi in cui le aziende ritengano necessario ridurre il costo del personale, ma non intendano attivare le procedure previste dalla legge per i licenziamenti collettivi, vengono poste in essere delle azioni volte ad incentivare le risoluzioni consensuali di significative aliquote di lavoratori.

Sull’ammontare del cd. incentivo all’esodo, tanto l’azienda quanto il dipendente, non pagano i contributi INPS, e dal punto di vista fiscale si applica la cd. “tassazione separata”.

4. Differenza tra Risoluzione Consensuale e Dimissioni volontarie

Mentre in caso di risoluzione consensuale datore e lavoratore manifestano una concorde volontà di estinguere il contratto di lavoro, stipulando un accordo regolato nei minimi dettagli, con le Dimissioni volontarie è il solo lavoratore, unilateralmente, a decidere di porre fine al rapporto in essere. In tal caso il lavoratore è tenuto a rispettare i termini di preavviso contrattuali, in modo da non creare disagio al datore di lavoro con un abbandono improvviso, viceversa deve rinunciare all’indennità di preavviso.

La legge intende le dimissioni come facoltà del lavoratore di recedere dal contratto che lo vincola al datore di lavoro, rappresentano un atto unilaterale recettizio, espressione di un diritto potestativo del lavoratore, da poter esperire in qualsiasi momento, salvo l’obbligo di rispettare il termine di preavviso fissato dai contratti collettivi di lavoro, che varia a seconda dell’inquadramento e dell’anzianità di servizio del lavoratore. E’ l’articolo 2118 c.c. a stabilirlo, statuendo che ciascun contraente può recedere dal contratto di lavoro subordinato purché ne dia il preavviso entro il “termine e nei modi stabiliti dagli usi o secondo equità".

A partire dal 12 marzo 2016, le dimissioni volontarie, proprio come la risoluzione consensuale del contratto di lavoro, vanno effettuate esclusivamente per via telematica.

Nel caso in cui il lavoratore non rispetti il periodo di preavviso il datore di lavoro ha diritto a richiedere un’indennità di mancato preavviso pari all’importo delle retribuzioni che sarebbero spettate per il periodo di preavviso non lavorato, come stabilito dall’articolo 2118 c.c.

L’unica ipotesi in cui il lavoratore è esonerato dal predetto obbligo si ha nel caso in cui presenti dimissioni per giusta causa: secondo quanto disposto dall’art. 2119 c.c. il dipendente può interrompere immediatamente il rapporto.

Le dimissioni per giusta causa ricorrono in presenza di un’inosservanza del datore rispetto ai suoi obblighi contrattuali, talmente grave da non consentire la prosecuzione del lavoro, neanche durante il periodo di preavviso, es. mancato pagamento dello stipendio (o in taluni casi ritardato pagamento delle retribuzioni); omesso versamento dei contributi previdenziali; mobbing; ecc.

Per la loro gravità, questo tipo di dimissioni hanno effetti particolari sia dal punto di vista economico (con il riconoscimento di una specifica indennità) che di sostegno al reddito (il dipendente potrà richiedere il trattamento di disoccupazione o NASPI).

A partire dal 12 marzo 2016, le dimissioni volontarie, proprio come la risoluzione consensuale del contratto di lavoro, vanno effettuate esclusivamente per via telematica.

5. La differenza tra la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro e licenziamento

Un rapporto di lavoro può essere sciolto per volontà unilaterale di una delle due parti oppure di comune accordo: in questa seconda ipotesi si avrà la cosiddetta risoluzione consensuale, mentre nella prima l'intenzione può essere manifestata dal datore di lavoro, e allora si tratterà di licenziamento, o dal dipendente, il quale procederà con le dimissioni.

Si precisa fin da subito che se le dichiarazioni unilaterali hanno efficacia anche in assenza del consenso di una delle parti, la risoluzione consensuale è valida solo se entrambi i soggetti trovano un accordo.

Da quest'ultimo derivano vantaggi sia per l'uno che per l'altro, poiché il lavoratore può concordare una data di interruzione precedente a quella prevista ed una liquidazione maggiore, mentre il datore può evitare le limitazioni poste dal contratto e soprattutto dalla disciplina sul licenziamento. L'accordo verterà, dunque, in primo luogo sulla data di decorrenza della cessazione del rapporto di lavoro, la quale potrà essere immediata o differita: nel primo caso la risoluzione avrà effetto dalla sottoscrizione del documento, nel secondo invece si potrà concordare che il dipendente continui a lavorare fino allo scioglimento del contratto oppure che il medesimo usufruisca dell'aspettativa o delle ferie rimanenti.

Inoltre, le parti potranno stabilire la misura di una eventuale ulteriore somma aggiuntiva di denaro che il datore corrisponderà al dipendente, per la quale non sarà necessario (per entrambi) il versamento di alcun contributo nei confronti dell'Inps.

Quanto alle modalità di presentazione dell'accordo, alla modulistica ed alle tempistiche di revoca si rimanda alla trattazione di cui al paragrafo 5. Occorre poi evidenziare che per due particolari categorie di soggetti, dipendente in gravidanza e dipendente durante i primi tre anni di vita del bambino o nei primi tre anni di accoglienza del minore adottato o in affidamento, è prevista una differente procedura.

Innanzitutto, la risoluzione consensuale deve essere presentata all'Ispettorato Territoriale del Lavoro della città nella quale il soggetto lavora; successivamente l'ente accerta l'effettiva volontà di interrompere il rapporto da parte della/del dipendente ed entro 45 giorni dalla richiesta emana un provvedimento di convalida. Della natura del licenziamento si è già detto più sopra, esso consiste nel recesso unilaterale del datore di lavoro dal contratto.

Tuttavia, al fine di tutelare la cd. parte debole del rapporto, l'ordinamento italiano predispone numerosi limiti alla possibilità di fruizione di tale strumento, riducendo il campo della libera recedibilità (cd. recesso ad nutum) solo a categorie specifiche quali i dirigenti, i lavoratori in prova e quelli domestici, gli atleti professionisti e i lavoratori ultrasessantacinquenni in possesso dei requisiti pensionistici.

Diversamente dalla consensuale risoluzione del rapporto lavorativo, il licenziamento può dunque essere disposto solo in presenza di alcuni requisiti di carattere sostanziale e formale. Partendo dai primi, il recesso datoriale può essere disposto per tre ordini di ragioni: giusta causa, giustificato motivo soggettivo e giustificato motivo oggettivo.

L'art. 2119 del codice civile definisce come giusta causa quella che non consente la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto di lavoro, ossia qualora il dipendente compia azioni che violano disposizioni normative che regolano l'esecuzione della prestazione poste al fine di garantire la qualità e l'affidabilità del servizio erogato dal datore di lavoro. In tal caso quest'ultimo sarà svincolato dall'obbligo di preavviso.

Il giustificato motivo soggettivo considera invece l'ipotesi di un inadempimento notevole degli obblighi contrattuali da parte del lavoratore, ovverosia di non scarsa importanza rispetto agli interessi datoriali. In questo caso è però necessario che il datore proceda nel rispetto dei termini di preavviso previsti dalla contrattazione collettiva.

Anche il licenziamento per giustificato motivo soggettivo, come quello per giusta causa, soggiace alla procedura prevista dall'art. 7 dello Statuto dei Lavoratori in materia di licenziamento disciplinare, con la conseguenza che prima di procedere il datore di lavoro dovrà fornire una preventiva e specifica contestazione dell'addebito e garantire la difesa del lavoratore. Il giustificato motivo oggettivo differisce dalle precedenti ipotesi poiché trova fondamento nelle esigenze tecnico-produttive e nelle scelte organizzative dell'impresa, tese al regolare ed efficiente funzionamento della medesima.

Il licenziamento così giustificato deve essere in ogni caso preceduto dall'accertamento dell'impossibilità per il datore di lavoro di collocare in altra funzione o mansione il dipendente ed è anch'esso sottoposto alla disciplina prevista per il preavviso.

Quanto ai requisiti formali, l'atto di recesso deve essere comunicato per iscritto al lavoratore e deve contenere la specificazione dei motivi che lo hanno determinato, pena l'inefficacia. Inoltre, è necessario ricordare che il licenziamento può comunque essere impugnato o revocato.

Appurata infine la proroga del blocco dei licenziamenti per giustificato motivo oggettivo a causa dell'emergenza sanitaria in corso, l'art. 14 d.l. 104/2020 consente il superamento di tale divieto tramite un accordo collettivo aziendale stipulato tra datore di lavoro e organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale: si tratterà anche in questo caso di risoluzione consensuale, con l'ulteriore vantaggio per i dipendenti aderenti di poter usufruire della NASpI.

6. L’istituto della Convalida, quale rimedio per contrastare il fenomeno delle Dimissioni in Bianco o Dimissioni Forzate

L’obbligo di comunicare per via telematica le dimissioni volontarie, nonché la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, è stato introdotto con il precipuo intento di porre fine al diffuso fenomeno delle cd. dimissioni in bianco, ovvero alla pratica consistente nel far firmare al lavoratore neoassunto, le proprie dimissioni in anticipo, nella maggior parte dei casi, al momento della stessa assunzione. Il lavoratore viene indotto a firmare un foglio in bianco, sul quale verrà apposta nel momento in cui il datore lo riterrà opportuno, la data delle dimissioni.

Una sorta di ricatto, un abuso perpetrato a danno dei lavoratori, il cui obiettivo era solo quello di camuffare quello che era un licenziamento a tutti gli effetti, con dimissioni fittizie, in modo tale da non corrispondere loro alcuna delle indennità spettanti, previste per legge.

Proprio al fine di contrastare il fenomeno delle cd. Dimissioni in bianco, il legislatore ha introdotto l’obbligo di Convalida sia per le dimissioni che per la risoluzione consensuale.

La legge n. 92/2012 (Legge Fornero) ha previsto specifiche disposizioni sia in tema di dimissioni che di risoluzione consensuale, le quali sono sottoposte a convalida da parte del dipendente dimissionario presso la Direzione Territoriale del Lavoro territorialmente competente (DTL), o presso il Centro per l’impiego, o a conferma mediante dichiarazione in calce alla ricevuta di trasmissione della comunicazione di cessazione agli Enti preposti.

Con il D.lgs n.151/2015 art. 26, alla disciplina di cui alla legge n. 92/2012 si è aggiunto che le dimissioni e la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro devono essere fatte, a pena di inefficacia, esclusivamente con modalità telematiche. Il lavoratore deve formalizzare la sua volontà di interrompere il rapporto esclusivamente mediante compilazione di appositi moduli resi disponibili dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali attraverso il sito www.lavoro.gov.it, da inviare all’indirizzo di posta elettronica del datore di lavoro e alla Direzione territoriale del lavoro competente. Da tale momento inizia a decorrere il termine di 7 giorni, entro il quale il lavoratore può revocare la propria decisione.

Restano fuori, dal campo di applicazione della suddetta norma, il lavoro domestico, i casi di risoluzione a seguito di conciliazione stragiudiziale, le ipotesi di convalida presso l'ITL previste dall’art.55 comma 4 del D.lgs. 151/2001 relative ai genitori lavoratori. Il Decreto Legislativo n.185 del 24 settembre 2016 ha confermato l’esclusione della procedura online per i rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni.

7. In caso di risoluzione consensuale si ha diritto alla NASP?

La NASPI o “Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego”, ammortizzatore sociale introdotto dal Job Act, in vigore dal 1/05/2015, rappresenta la nuova indennità di disoccupazione, riconosciuta a tutti i lavoratori che hanno perso involontariamente il proprio impiego, e dunque a seguito di licenziamento o dimissioni per giusta causa, mentre sono escluse le ipotesi di dimissioni o risoluzione consensuale.

Per poter usufruire il lavoratore deve essere il possesso di almeno 13 settimane di contribuzione nei 4 anni precedenti, e deve aver effettuato almeno 30 giorni di lavoro effettivo nei 12 mesi antecedenti.

Come sopra anticipato, il lavoratore che perde il proprio impiego a seguito di risoluzione consensuale non ha diritto alla NASPI, poiché in tal caso non si versa in un’ipotesi di perdita involontaria del rapporto di lavoro, dal momento che è lo stesso lavoratore a prestare il proprio consenso in ordine alla cessazione del rapporto di lavoro. Nonostante ciò sono previste due eccezioni:

-l’ipotesi in cui la risoluzione consensuale è avvenuta difronte all’Ispettorato Nazionale del Lavoro, casi in cui le aziende intendono licenziare il dipendente per giustificato motivo oggettivo, e si cerca di evitare l’ipotesi del licenziamento o comunque di far sì che azienda e dipendente trovino un accordo;

-quando il dipendente rifiuti di trasferirsi presso altra sede aziendale distaccata e dislocata ad almeno 50 Km dalla propria residenza, e/o che comunque non sia raggiungibile in meno di 80 minuti con i mezzi di trasporto pubblico.

8. Novita’ legislative

A seguito del superamento della Cassa Covid e del divieto di licenziamento per motivi economici a partire dal 31.12.2021, si assiste ad uno stop anche del beneficio secondo cui la Naspi poteva essere riconosciuta al lavoratore che avesse deciso di interrompere l’attività lavorativa con risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, dopo aver ricevuto un incentivo all’esodo.

L’INPS con circolare n. 180/2021 del 01.12.2021 chiariva le regole di accesso alla Naspi qualora fosse intercorso un accordo di incentivo all’esodo contestualmente alla risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, facendo distinzioni caso per caso e data per data. In fase di domanda di indennità, i lavoratori alle dipendenze di aziende (per cui vige il divieto di licenziamenti entro il 31 ottobre o il 31 dicembre 2021) devono allegare l’accordo collettivo unitamente alla propria adesione: infatti in questi casi il datore di lavoro è tenuto comunque al pagamento del ticket di licenziamento.

A partire dal 01.01.2022 invece, superata la normativa emergenziale, l’indennità in questione torna ad essere riconosciuta solo in quei casi ordinari di licenziamento: il diritto sarà previsto solo nel caso di perdita involontaria del posto di lavoro, quindi solo se l’interruzione del rapporto di lavoro avviene per licenziamento unilaterale.

9. Fonti normative:

  • art. 2119 del codice civile;
  • art. 7 L. 300/70, Statuto dei Lavoratori;
  • art. 14 D.L. 104/2020.

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