Si può contestare una lettera di richiamo?

Di fronte a comportamenti scorretti di un lavoratore dipendente, che possono riguardare ritardi, assenze ingiustificate o altro, il datore di lavoro può ammonirlo inviandogli una lettera di richiamo. Lettera alla quale il lavoratore può rispondere per difendersi o scusarsi per le accuse che gli vengono rivolte.

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1. In cosa consiste una lettera di richiamo

La lettera di richiamo è uno dei provvedimenti disciplinari che il datore di lavoro può adottare per far rispettare al proprio dipendente gli accordi contrattuali. Essa consiste in un ammonimento scritto ed è considerata un provvedimento tra i meno gravosi. Infatti, serve a richiamare l’attenzione del lavoratore che non ha rispettato alcune regole o che ha avuto un comportamento sconveniente e a far sì che quest’ultimo ponga immediatamente rimedio alla spiacevole circostanza evitando così che la sua condotta porti conseguenze più gravi, come per esempio il licenziamento.

La lettera di richiamo è, quindi, vista più come un avvertimento utile a fare in modo che il dipendente che ha violato la regola aziendale, possa riconoscere l’irregolarità del comportamento scorretto che ha posto in essere. La lettera è comunque considerata come un documento importante e per questo deve essere redatta con un linguaggio formale, chiaro ed oggettivo, al suo interno devono essere espressi, in modo dettagliato:

  • i comportamenti che hanno indotto il datore di lavoro a scrivere il richiamo;
  • la richiesta al dipendente di modificare il comportamento considerato illegittimo;
  • le eventuali conseguenze giuridiche alle quali potrebbe andare incontro nel caso di persistenza del comportamento scorretto.

Il concetto alla base della lettera in questione è comunque la riconciliazione, quindi la volontà del datore di lavoro di poter mantenere un rapporto di fiducia con il proprio dipendente.

La legge stabilisce che la contestazione al dipendente deve avvenire tempestivamente, per far si che possa essere considerato valido un eventuale e successivo provvedimento disciplinare più intensivo. Essa può essere consegnata a mano oppure inviata con una raccomandata A/r , ed una volta consegnata all’interessato, quest’ultimo avrà la possibilità di rispondere per confermare o contestare quanto addebitatogli. (L. 300/1970 Statuto dei Lavoratori).

I motivi più frequenti che spingono il datore di lavoro a ricorrere ad una lettera di richiamo per ammonire il proprio dipendente sono sicuramente il ritardo e l’assenza ingiustificata, nel dettaglio:

2. Lettera di richiamo per ritardo

Il ritardo si configura quando esiste un orario di lavoro stabilito quindi si ha l’obbligo di rispettarlo, infatti, il mancato rispetto dell’orario di lavoro può incidere negativamente sia sulle prestazioni lavorative che sulle relazioni tra colleghi. Quando il ritardo è episodico può essere tollerato, ma quando diventa una condizione cronica il lavoratore crea un disagio all’azienda. Pertanto in quest’ultimo caso l’ammonimento scritto viene visto come un invito fatto dal datore di lavoro al proprio dipendente volto a far si che questo modifichi il suo comportamento irrispettoso.

3. Lettera di richiamo per assenza ingiustificata

L’assenza si considera ingiustificata quando, come suggerisce il termine. È priva di alcun tipo di giustificazione cioè, quando il dipendente oltre a non aver avvisato che non si sarebbe recato sul posto di lavoro, non è neanche in grado di fornire alcuna documentazione valida che possa motivare l’assenza.

L’assenza ingiustificata legittima il datore di lavoro ad adottare un provvedimento disciplinare, soprattutto nel caso in cui tale condotta si protrae nel tempo o si ripete più volte, quindi con tale lettera il datore inviterà il dipendente oltre che a fornire le sue scuse anche a far si che il comportamento scorretto non si ripeta.

È doveroso ricordare che l’assenza potrebbe anche essere dettata da una situazione grave ed imprevedibile, in tal caso è ammessa la giustificazione tardiva, con la quale il dipendente fornisce le prove a sostegno dell’assoluta impossibilità di presentarsi a lavoro.

Comunque l’assenza ingiustificata è considerata un illecito disciplinare che nei casi più gravi può portare al licenziamento.

4. Contestazione alla lettera disciplinare

Il dipendente, una volta ricevuta la lettera di richiamo, ha cinque giorni per inviare al suo datore di lavoro una lettera di difesa o per essere ascoltato, questo oltre che per dar modo allo stesso di difendersi anche perché è giusto che il datore adotti un criterio di correttezza e di buona fede nell’esercitare il suo potere disciplinare.

Infatti, i provvedimenti disciplinari non possono considerarsi conclusi se non siano trascorsi cinque giorni dalla contestazione dell’addebito e ciò secondo quanto stabilito dal Contratto Collettivo di Lavoro di riferimento.

Pertanto, il lavoratore, ricevuta la lettera di richiamo potrà scegliere se presentare o meno le sue scuse o motivazioni, non c’è per lui alcun obbligo per lui di presentare delle giustificazioni scritte, egli può anche chiedere al suo datore di essere ascoltato.

Le modalità di risposta del lavoratore all’ammonimento possono essere di due tipi:

  • rispondere scusandosi, ammettendo che il proprio comportamento ha violato il regolamento aziendale, spiegando le circostanze che hanno posto in essere il suo comportamento sconveniente;
  • rispondere esponendo il proprio punto di vista, ciò nel caso in cui vuole contestare le accuse che gli sono state addebitate in quanto le ritiene non vere. In questo caso il dipendente dovrà essere preciso nel raccontare tutte le circostanze, e dovrà anche dimostrare la veridicità della sua contestazione, è bene, comunque, che nel farlo non assuma un tono di superiorità ed abbia un linguaggio civile.

Starà al datore di lavoro, tenuto conto della risposta del dipendente, decidere se procedere o meno con una sanzione disciplinare maggiormente incisiva o meno. Nel caso in cui decide di procedere con un’ulteriore sanzione, non ritenendo valide le giustificazioni o le scuse del lavoratore, il datore dovrà, obbligatoriamente, allegare in modo esplicito e dettagliato le ragioni. In caso contrario, trascorsi 10 giorni dalla risposta del dipendente, senza che si proceda con altre sanzioni, si considereranno accettate le giustificazioni e il Rapporto di lavoro continuerà senza ulteriori indugi.

Potrebbe anche verificarsi l’eventualità che il lavoratore non risponda in alcun modo all’ammonimento, in tale circostanza, il datore di lavoro, trascorsi quindici giorni senza essere obbligato a sentirlo, potrà procedere con il provvedimento disciplinare che ritiene più opportuno.

In conclusione, si ricorda che la lettera di richiamo decade dopo due anni, trascorsi i quali non può essere più utilizzata con cumulativa di altre sanzioni disciplinari inflitte successivamente.

5. La scadenza della lettera di richiamo

Come è stato evidenziato nei precedenti paragrafi, non è possibile tenere conto delle sanzioni disciplinari irrogate ad un lavoratore, una volta che siano trascorsi due anni da quando il datore di lavoro ha applicato la precedente sanzione.

E’ quanto afferma l’art. 7 ultimo comma della Legge 300/1970 (Statuto dei Lavoratori), in cui viene espressamente previsto che: “non può tenersi conto ad alcun effetto delle sanzioni disciplinari, decorsi due anni dalla loro applicazione”.

In sostanza, se un lavoratore, che è già stato sanzionato per un determinato comportamento, viene nuovamente richiamato dal datore di lavoro con un’altra lettera in cui viene contestato lo stesso comportamento, affinché il datore di lavoro possa far valere la recidiva del lavoratore, ovvero il fatto che il lavoratore abbia già tenuto lo stesso comportamento, non devono essere trascorsi più di due anni da quando il lavoratore ha ricevuto la prima lettera di richiamo.

Dunque, se nei due anni successivi, il lavoratore commette la stessa infrazione, il datore di lavoro, per poter applicare una sanzione più grave di quella prevista dal codice disciplinare per una determinata condotta o addirittura per poter licenziare il lavoratore, dovrà contestare formalmente la recidiva.

In tal modo, il datore di lavoro potrà dare atto che il comportamento tenuto dal lavoratore, già di per sé grave, è ulteriormente aggravato dal fatto che è stato ripetuto nell'arco di due anni.

Che valore ha, invece, una lettera di richiamo se sono trascorsi più di due anni da quando un fatto è stato contestato?

Supponiamo che nel mese di novembre 2017 il datore di lavoro abbia formalmente richiamato il lavoratore per essersi, quest’ultimo, rifiutato di svolgere una determinata mansione. Supponiamo ancora che nel mese di novembre 2020, il lavoratore, per la seconda volta, si sia rifiutato di eseguire un’altra mansione assegnatagli dal datore di lavoro e che il datore di lavoro abbia deciso di procedere con una nuova lettera di richiamo nei confronti del lavoratore per contestargli il suo rifiuto di adempiere quella determinata mansione.

In questo caso, abbiamo già detto che, ai fini della nuova contestazione, il datore di lavoro non potrà formalmente avvalersi della recidiva del lavoratore per applicare una sanzione più severa al lavoratore o, addirittura, per licenziarlo, in quanto sono trascorsi più di due anni da quando al lavoratore è stato contestato lo stesso fatto.

Tuttavia, sebbene non possa contestare formalmente la recidiva, il datore di lavoro potrà, comunque, utilizzare la precedente lettera di richiamo per confermare, ad esempio, la complessiva gravità del comportamento tenuto dal dipendente o la sua tendenza a non rispettare le regole, nell’ambito di una generale descrizione e valutazione della condotta del lavoratore nel contesto aziendale in cui egli svolge la sua attività lavorativa.

6. Fonti normative

L. 300/1970 Statuto dei Lavoratori

Cassazione Civile sent. n. 1884/2012

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Avvocato Cristina Cichello

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