Come si impugna un licenziamento?

Negli ultimi anni sono molti gli imprenditori che, pur di non chiudere i battenti, licenziano i propri dipendenti senza motivo o preferiscono esternalizzare in luoghi dove la manodopera ha costi bassissimi.

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A priori, bisogna distinguere diverse ipotesi:

  • giustificato motivo oggettivo;
  • giustificato motivo soggettivo;
  • giusta

Dobbiamo quindi comprendere le diverse ipotesi, per rispondere al nostro quesito principale, come impugnare un licenziamento illegittimo?

La nostra attenzione deve rivolgersi immediatamente alla data di assunzione:

i contratti stipulati fino al 7 marzo 2015 infatti godono ancora della tutela normativa prevista per i licenziamenti individuali e dall’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori che tutela i lavoratori licenziati in modo illegittimo; ad essi si è aggiunta la Riforma Fornero che ha modificato la procedura sulle cause di lavoro con cui si vuole impugnare un licenziamento.

I contratti stipulati dopo il 7 marzo 2015 sono regolati dal Renziano Jobs Act.

1. I tipi di licenziamento da impugnare

La procedura per il licenziamento per giustificato motivo oggettivo è stata introdotta dalla Legge Fornero e concerne la chiusura di un rapporto di lavoro per motivi economici dell’azienda.

Il licenziamento per giustificato motivo soggettivo riguarda invece la chiusura del rapporto di lavoro a causa di un’azione disciplinare rilevante commessa dal lavoratore, senza che in tal caso si possa addirittura configurare una giusta causa di licenziamento.

Nel licenziamento per giusta causa, il dipendente ha commesso un’azione di una tale gravità da non consentire la normale prosecuzione del rapporto di lavoro.

2. Come impugnare il licenziamento per giustificato motivo oggettivo?

Il primo passo per impugnare il licenziamento per giustificato motivo oggettivo si fa alla Direzione Territoriale del Lavoro.

La legge ha imposto un tentativo di conciliazione obbligatorio presso la DTL, quando il licenziamento viene fatto da un’azienda con più di 15 dipendenti nella stessa unità produttiva o nell’ambito dello stesso comune (5 dipendenti per le aziende agricole), o più di 60 dipendenti su scala nazionale.

La convocazione deve essere fatta entro 7 gg. dal momento in cui l’azienda ha manifestato la volontà di recedere dal rapporto di lavoro. La procedura deve chiudersi entro 20 gg.

Davanti alla DTL ci si deve presentare con un avvocato e con la lettera di licenziamento. Quest’ultima deve contenere le motivazioni del recesso ed un’eventuale misura di repechage nell’ambito della stessa azienda con una mansione o con uno stipendio diversi. Se la lettera di licenziamento non contiene gli elementi indicati, il licenziamento è invalido.

Se il tentativo di conciliazione va a buon fine vi sono due possibilità previste dalla Legge Fornero:

  • il datore revoca il licenziamento entro 15 gg dall’impugnazione; in tal caso, il lavoratore percepirà la retribuzione maturata e la situazione tornerà come prima;
  • si giunge alla risoluzione consensuale del rapporto; in tal caso, il lavoratore avrà diritto di percepire l’indennità di preavviso prevista dal contratto nazionale di categoria, oltre alle mensilità stabilite dai mediatori per il risarcimento.

Se il tentativo di conciliazione non va buon fine, il lavoratore può impugnare il licenziamento.

3. Come si impugna il licenziamento?

Il dipendente tramite il Suo Avvocato o il Sindacato deve inviare al proprio datore di lavoro una comunicazione scritta entro 60 gg. dalla data in cui ha ricevuto la lettera di licenziamento, in cui dia atto della volontà di impugnare.

Inviata la comunicazione, il lavoratore può procedere in via amministrativa, chiedendo al datore di lavoro un ulteriore tentativo di conciliazione entro 180 gg. dall’impugnazione.

Se il datore di lavoro rifiuta o non si conclude l’accordo, il lavoratore può procedere all’impugnativa giudiziaria entro 60 gg. dal rifiuto del datore di lavoro o dal mancato accordo.

In alternativa, il lavoratore può procedere direttamente in via giudiziaria entro 180 gg dall’impugnazione.

4. Impugnazione per via giudiziaria

Quando il dipendente sceglie la via giudiziaria, il Giudice del Tribunale del Lavoro competente cita le parti davanti a se, con la prospettiva di esperire un ulteriore tentativo di conciliazione.

Se al termine dell’istruttoria, non si giunge ad un accordo, il Giudice emette un’ordinanza con la quale si esprime sulla legittimità del licenziamento.

Chi soccombe può proporre opposizione all’ordinanza. A questo punto il giudice cita di nuovo le parti e se svanisce l’ipotesi di accordo, emette una sentenza di primo grado, cui può far seguito l’appello e la Cassazione.

5. In quali casi vi è una pronuncia di illegittimità?

  • per motivi discriminatori;
  • per vizio di forma;
  • licenziamento valido ma per motivo

In tal caso, il datore è condannato alla reintegra del lavoratore nel posto di lavoro e ad un risarcimento: un’indennità pari alle mensilità maturate dal lavoratore dal licenziamento all’effettivo reintegro sulla base della retribuzione globale di fatto (non meno di cinque), detratto l’aliunde perceptum, eventuali retribuzioni percepite altrove; in ogni devono essere riconosciuti i contributi previdenziali dal licenziamento al reintegro.

Se il giudice rileva carenza nella motivazione o assenza della medesima o difetto nella procedura seguita, il datore di lavoro viene condannato alla reintegra del dipendente ed al pagamento dalle sei alle dodici mensilità, dedotto sempre l’aliunde perceptum.

Se il giudice dichiara l’illegittimità per mancata giustificazione per sopravvenuta inabilità fisica o psichica del lavoratore assunto grazie al collocamento previsto dalla legge sui disabili oppure per il superamento dei limiti temporali per la conservazione del posto di lavoro in caso di malattia e infortunio, annulla il licenziamento, condanna il datore di lavoro alla reintegra ed al versamento di un’indennità non superiore alle 12 mensilità, oltre ai contributi previdenziali, dedotto l’aliunde perceptum.

Che cosa succede quindi se viene riconosciuta l’insussistenza del licenziamento per motivo oggettivo?

Se c’è una pronuncia manifesta, il giudice annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione del dipendente ed al versamento di un’indennità non superiore alle 12 mensilità, oltre ai contributi previdenziali e dedotto l’aliunde perceptum.

L’indennità può essere elevata a 24 mensilità se si accerta l’inesistenza del giustificato motivo oggettivo, unitamente alla reintegrazione nell’azienda.

Il lavoratore non è obbligato al reintegro, pertanto, deve dare comunicazione entro 30 gg. dall’ordinanza del giudice: o rientra nell’azienda o riceve un’indennità di 15 mensilità ed un risarcimento.

In relazione agli altri casi di licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo, sarà sempre il giudice a doversi esprimere, rimanendo invariata la procedura già descritta.

6. Come impugnare il licenziamento per motivo soggettivo

Bisogna osservare quale sia la data dell’assunzione ed il numero dei dipendenti dall’azienda.

Se l’assunzione è intervenuta prima del 7 marzo 2015, si esperisce egualmente il tentativo di conciliazione e se questo fallisce, si passa all’impugnazione giudiziaria.

Infatti, il licenziamento del lavoratore prima della data sopraindicata nella quale è entrato in vigore il Job Acts e’ regolamente sempre dal vecchio art. 18 dello Stat dei Lav, modificato dalla Legge Fornero e succ. mod.

Bisogna distinguere le varie ipotesi:

  • licenziamento illegittimo in azienda con al massimo 15 dipendenti: il datore di lavoro è condannato alla reintegra entro 3gg. oppure ad un risarcimento tra le 2,5 e le 6 mensilità;
  • licenziamento illegittimo con più di 15 dipendenti: se non ci sono gli estremi per il licenziamento per insussistenza dei fatti o per fatti punibili con sanzione conservativa, il giudice condanna il datore di lavoro secondo il regime della tutela reale, alla reintegra oltre al pagamento di un indennizzo fino a 12 mensilità sulla retribuzione legale di fatto, oltre ai contributi previdenziali, fino all’effettivo rientro in azienda;
  • licenziamento illegittimo con più di 15 dipendenti: se sussistono fattispecie diverse da quelle contestate, il giudice condanna con la tutela obbligatoria, al pagamento di un’indennità tra le 12 e le 24 mensilità sulla base della retribuzione legale di fatto;
  • licenziamento illegittimo con più di 15 dipendenti: se non sono rispettate le norme procedurali per il licenziamento disciplinare, il giudice dichiara inefficace il licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità tra le 6 e le 12 mensilità, secondo il regime della tutela obbligatoria.

7. Contratti firmati dopo il 7 marzo 2015

  • azienda con più di 15 dipendenti: solo se viene dimostrata l’insussistenza del fatto contestato al lavoratore, il giudice condanna il datore di lavoro alla reintegrazione nel posto di lavoro ed al versamento di un’indennità pari alle retribuzioni globali di fatto dalla data del licenziamento fino all’effettivo reintegro, ma non più di 12 mensilità. In tal caso verrà sotratto l’aliunde
  • perceptum ma anche ciò che avrebbe potuto percepire se il lavoratore avesse accettato altre chances lavorative;
  • azienda con più di 15 dipendenti: se invece viene dimostrato solo che il licenziamento è illegittimo, il rapporto di lavoro si estingue ed il datore dovrà corrispondere un’indennità compresa fra le 4 e le 24 mensilità, senza i contributi previdenziali, oppure due mensilità per ogni anno di servizio (da un minimo di 4 ad un massimo di 24 mensilità)
  • azienda fino a 15 dipendenti: il giudice seguirà la stessa procedura ma non è prevista la reintegrazione nel posto di lavoro e l’indennità verrà diminuita.

8. Come impugnare un licenziamento per giusta causa

È la più grave forma di licenziamento. Sono previste norme e procedura severi.

  • la contestazione deve avvenire in forma scritta;
  • la contestazione dovrà intervenire nell’immediatezza del fatto;
  • la medesima dovrà essere provata ed

Il lavoratore è tutelato avanti il tribunale del Lavoro.

Otterrà la reintegra nel posto di lavoro ed un’indennità di 12 mensilità, se il giudice decreta che il fatto non è stato commesso o se è punibile con sanzione diversa di natura conservativa.

Avv. Tiziana Fabbrica

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