Il ricorso gerarchico

Vediamo nel dettaglio che cos'è il ricorso gerarchico e come funziona.

ricorso gerarchico

1. La nozione di ricorso gerarchico: le tipologie ed i requisiti 

Il ricorso gerarchico è un rimedio accordato a chi vi ha interesse per contestare, innanzi all’autorità sovraordinata, i provvedimenti definitivi dell’autorità inferiore che assuma viziati per ragioni di legittimità o di merito. Distinguiamo due tipologie di ricorsi:

  • Ricorso gerarchico proprio: la peculiarità di questa tipologia è che tra l’autorità che ha emanato l’atto e quella decidente viene in rilievo un vero rapporto gerarchico, ovvero un rapporto di subordinazione. Tale rapporto sussiste solo tra organi individuali; è soltanto esterno e intercorre solo tra organi appartenenti allo stesso ramo di Amministrazioni. Questa tipologia di ricorso è ammesso solo in unico grado ed in esito alla sua definizione si produce in ogni caso la definitività dell’atto amministrativo, anche se il ricorso è stato proposto ad autorità rispetto alla quale sussistono ulteriori organi sovraordinati;
  • Ricorso gerarchico improprio: in questo caso tra l’organo che ha adottato l’atto e quello a cui si ricorre manco un effettivo rapporto di gerarchia ed il potere di decidere il ricorso deriva da una espressa disposizione di legge. Esso ha pertanto carattere eccezionale risultando ammesso nei casi tassativi ammessi dalla legge e caratterizzandosi per una procedura variabile di caso in caso.

2. La non definitività dell’atto come requisito principale del ricorso gerarchico

La non definitività è il requisito principale per esperire un ricorso gerarchico. Infatti contro un atto definitivo non è ipotizzabile l’utilizzo di questo strumento.
Non diventa definitivo, precisamente, l’atto nei confronti del quale non è stato esperito un ricorso gerarchico. In tal caso, nel quale manca l’ultima parola dell’Amministrazione, si potrà esperire il solo ricorso giurisdizionale ma non il ricorso straordinario al Capo dello Stato, per cui continua ad essere requisito necessario la definitività del provvedimento, al fine di evitare che il Consiglio di Stato sia chiamato a pronunciarsi su atti che non costituiscono la parola finale dell’autorità deputata. 

Infine, un atto può anche essere definitivo non perché appartenente alla categoria dei provvedimenti definitivi ma perché, per le modalità con le quali è stato adottato, deve escludersi l’ammissibilità del ricorso all’organo gerarchicamente sovraordinato. In tal caso, la definitività si ricava non dall’analisi dell’atto ma dalla considerazione dello stesso come frutto di una procedura relativa al caso concreto.

3. Rapporti tra ricorso gerarchico e tutela giurisdizionale amministrativa

Il ricorso gerarchico avverso atti non definitivi rimane tuttavia solo un rimedio facoltativo ai fini dell’accesso alla tutela giurisdizionale innanzi al giudice amministrativo, consentita ormai a prescindere dalla definitività dell’atto. 

Oltre alla facoltatività, poi, un altro principio generale che regola i rapporti tra tutela giurisdizionale amministrativa e gerarchica è quello della prevalenza della tutela giurisdizionale rispetto a quella amministrativa. 

Quindi, possiamo sintetizzare: 

  • Il ricorso giurisdizionale può essere proposto anche in pendenza del ricorso gerarchico o prima della sua definizione. È noto infatti che il ricorso giurisdizionale non presuppone più la proposizione e neanche la definizione preventiva del ricorso gerarchico;
  • La successiva proposizione del ricorso gerarchico non comporta rinunzia al precedente ricorso giurisdizionale. Prevale infatti il ricorso giurisdizionale anche se proposto prima di quello gerarchico;
  • Prevalenza del ricorso giurisdizionale proposto dal cointeressato: la prevalenza del ricorso giurisdizionale su quello amministrativo si verifica anche nel caso in cui il ricorso al giudice amministrativo sia proposto da un soggetto diverso rispetto a quello che ha presentato il ricorso gerarchico contro il medesimo atto.

4. La decisione sul ricorso gerarchico

Concludiamo questa breve disamina con l’analisi delle decisioni del ricorso gerarchico. Queste possono essere di due tipi: Di rito e di merito.

  • Le decisioni di rito sono quelle che dichiarano l’inammissibilità o l’improcedibilità del ricorso
  • Le decisioni di merito, invece, possono essere di rigetto del ricorso oppure di accoglimento dello stesso. L’accoglimento può a sua volta comportare l’annullamento o riforma del provvedimento impugnato. Interessante è analizzare le decisioni di riforma. La legge non definisce i limiti di potere di riforma dell’atto nel caso dei ricorsi gerarchici. La norma fissa un criterio solo nell’ipotesi di annullamento per vizio di incompetenza, stabilendo che in tal caso l’autorità che ha emesso la decisione di annullamento è tenuta a restituire gli atti all’autorità competente. Per ogni altro caso, la norma prevede che l’organo decidente annulla o riforma l’atto ove occorra. La decisione sul ricorso può essere impugnata da parte del ricorrente gerarchico o da parte di
    altri soggetti interessati davanti al giudice amministrativo o contestata innanzi a quello ordinario.

5. Il silenzio sul ricorso amministrativo

Particolare attenzione merita il problema delle conseguenze dell’infruttuoso termine di 90 giorni entro il quale il ricorso deve essere deciso. In generale se l’organo adito non comunica la propria decisione, il ricorso si intende respinto. In tal caso l’atto diviene definitivo, per cui l’unica soluzione è quella di impugnarlo con un ricorso straordinario o all’autorità giurisdizionale competente. 

In base alla giurisprudenza del Consiglio di Stato, Adunanza plenaria del 24 novembre 1989, il silenzio non assume valore di rigetto ma di rifiuto annullamento. Da ciò deriva che dopo la scadenza del termine l’autorità procedente mantiene la potestà di esaminare i ricorsi e di assumere le decisioni di merito.
 

Fonti normative

D.P.R. 1199 del 1971

Antonio Cormaci

 

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