WhatsApp e la valenza documentale di una chat

Alzi la mano chi non si è mai sfogato con un collega sui problemi riguardanti l’ufficio. I motivi, lo sappiamo, sono molteplici: insoddisfazione, mansioni troppo numerose e/o poco gratificanti, stipendio troppo basso e così via.

Sebbene tale pratica possa aiutare il lavoratore a liberarsi di una buona dose di stress, il rapporto con i colleghi è da prendere con le pinze. Si può entrare in confidenza, certo, ma nell’ambiente di lavoro sono presenti troppi elementi in grado di cambiare le persone: dalla convenienza personale alla semplice perfidia, sarebbe inutile stilare un elenco dei casi in cui il capoufficio, in seguito allo sfogo di un dipendente, ha poi ricevuto una soffiata che lo informasse della situazione.

1. La valenza di prova nella messaggistica istantanea

La moderna giurisprudenza, in questi termini, ha rivolto la sua attenzione soprattutto su WhatsApp, applicazione diventata lo strumento principale per lo sfogo online e privato durante le ore di ufficio. Secondo gli ultimi giudizi espressi a riguardo, i messaggi hanno valenza di prova e questo vale sempre.

Che si tratti di un esempio utile all’avvio di un provvedimento disciplinare o che riguardi la semplice comunicazione di un’assenza per malattia. I messaggi di WhatsApp, ricordano i giudici, sono prove documentali che possono essere prodotte anche nel momento in cui il capoufficio non è presente fra i destinatari della conversazione.

2. Esempi delle prove documentali nella messaggistica istantanea

Secondo il Tribunale di Fermo (decreto n. 1973/2017), per giustificare un licenziamento, basta un messaggio che dimostri l’atteggiamento ostile nei confronti di un’azienda inviato da un dirigente alla moglie dell’amministratore unico di una società.

Oppure, come giudicato dal Tribunale di Vicenza con sentenza n. 778/2017, per far scattare la sanzione disciplinare basta che uno dei destinatari decida di svelare il contenuto della chat al dirigente. Tutto ciò in piena legittimità. Un’indicazione non da poco viene dal Tribunale di Roma, il quale ha ritenuto illegittimo il licenziamento di una dipendente colpevole solo di aver utilizzato un tono di sfida in una chat nella quale era presente anche il datore di lavoro (sentenza n. 3478/2018).

Ciò che conta risiede nelle parole, non certo nelle intenzioni facilmente travisabili. Nel caso in esame, infatti, la trascrizione del file audio non presentava nulla che valesse una qualsiasi sanzione.

3. Messaggistica istantanea e diritto alla riservatezza

Se è vero che una chat può avere valore di prova, però, bisogna porre la giusta attenzione alle modalità e ai motivi del suo utilizzo. La questione, come è facile intuire, è molto delicata e tira in ballo sia la valutazione del diritto di difesa che può far valere chi decide di utilizzare un tale documento sia il diritto alla riservatezza della controparte.

Una conversazione di WhatsApp è totalmente ascrivibile a corrispondenza privata, la quale inviolabilità viene protetta dall’art. 616 del Codice penale. La sua rivelazione può avvenire solo nel caso in cui sussista una giusta causa. La giurisprudenza italiana, però, è andata oltre.

La conversazione privata via chat viene considerata un aspetto della vita utile all’inquadramento delle parti coinvolte. La vita online, perciò, è un elemento che può aiutare a comprendere la persona nella sua vita offline. In questo caso, l’interesse di causa viene comprovato e non serve a nulla appellarsi al diritto alla privacy.

Emanuele Secco, Giuridica.net

Fonte

IlSole24Ore