Reati contro l’onore e reputazione
Nel sistema giuridico italiano, l’onore e la reputazione sono beni giuridici di rilievo costituzionale, tutelati non solo in ambito civile ma anche, con specifiche incriminazioni, nel Codice Penale. Tali reati si collocano nel Titolo XII del Libro II del codice, rubricato “Dei delitti contro la persona”, e più precisamente nel Capo III, che disciplina i delitti contro l’onore. L’onore, in senso giuridico, può essere inteso come la dignità personale, il sentimento della propria integrità morale, mentre la reputazione attiene alla considerazione che gli altri hanno del soggetto nell’ambito della vita sociale. La tutela penale si esplica principalmente attraverso le fattispecie di ingiuria (oggi depenalizzata e sanzionata in via civilistica), diffamazione e calunnia. La diffamazione (art. 595 c.p.) protegge la reputazione dall’offesa comunicata a più persone, mentre la calunnia (art. 368 c.p.) punisce chi incolpa falsamente un innocente di un reato. La rilevanza della tutela della reputazione si riflette anche nel bilanciamento con altri diritti fondamentali, come la libertà di manifestazione del pensiero (art. 21 Cost.), cui l’interprete è chiamato a dare concreta attuazione, specie nei contesti mediatici e digitali. L’analisi dei reati contro l’onore implica dunque una costante attenzione all’evoluzione sociale e giurisprudenziale, al fine di garantire l’effettività della protezione dei diritti della persona.
Cosa si intende per Reati contro l’Onore
Nel diritto penale italiano, i reati contro l’onore comprendono quelle condotte che ledono la dignità personale e la considerazione sociale di un individuo.
Si tratta di reati di natura personale, incentrati sulla protezione del bene giuridico “onore”, inteso in senso ampio come insieme della dignità morale (onore soggettivo) e della reputazione (onore oggettivo o sociale). Questi reati sono disciplinati nel Titolo XII, Capo III, del Codice Penale, con particolare rilievo agli articoli 594 (oggi abrogato), 595 e 368 c.p.
L’onore soggettivo è la percezione che l’individuo ha di sé, il sentimento della propria dignità personale.
La sua lesione comporta un’offesa alla sfera intima e morale della persona, a prescindere dalla percezione esterna. Per tale ragione, la giurisprudenza tende a riconoscere all’onore soggettivo una tutela anche laddove l’offesa sia rivolta direttamente alla vittima.
La reputazione o onore oggettivo è invece il valore sociale attribuito a una persona all’interno della comunità. Viene lesa quando l’autore della condotta offensiva comunica a più persone fatti o giudizi atti a screditare l’altrui immagine pubblica.
Il diritto all’onore, in entrambe le accezioni, si configura come diritto soggettivo assoluto e inviolabile, trovando fondamento negli articoli 2 e 3 della Costituzione e nella tutela della personalità prevista dall’ordinamento. Esso si affianca al diritto all’immagine, che ne costituisce una proiezione visiva, ed è tutelato anche in ambito civile ai sensi dell’art. 2059 c.c.
Tra i principali reati riconducibili a tale categoria figurano la diffamazione (art. 595 c.p.), la calunnia (art. 368 c.p.) e l’ingiuria (oggi depenalizzata). Tali fattispecie mirano a reprimere le condotte lesive della dignità, prevedendo pene che variano in funzione della gravità dell’offesa e delle modalità con cui essa è perpetrata (es. mediante stampa o mezzi informatici).
Ingiuria: reato depenalizzato ma ancora rilevante
L'ingiuria, precedentemente disciplinata dall'art. 594 del Codice penale, consisteva nell'offesa all'onore o al decoro di una persona presente. Si distingueva dalla diffamazione per la presenza della persona offesa al momento della condotta lesiva. Gli elementi costitutivi del reato erano l'offesa diretta all'onore e al decoro, la presenza della vittima e il dolo specifico di ledere la reputazione altrui.
Il reato di ingiuria è stato completamente depenalizzato con l'entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 7 del 15 gennaio 2016. Come chiarito dalla Cassazione penale, questa abolitio criminis comporta che il fatto non è più previsto dalla legge come reato, determinando l'annullamento delle condanne penali già pronunciate ma non ancora definitive.
La depenalizzazione ha effetti retroattivi: le sentenze di condanna vengono annullate senza rinvio, con revoca sia degli effetti penali che di quelli civili pronunciati dal giudice penale.
Nonostante la depenalizzazione, l'ingiuria mantiene rilevanza nell'ordinamento civile. Il D.Lgs. n. 7/2016 ha introdotto un sistema di tutela civilistica che prevede:
- Risarcimento del danno: il soggetto leso può promuovere autonoma azione civile per ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali derivanti dall'offesa;
- Sanzioni pecuniarie civili: applicazione di sanzioni da 100 a 8.000 euro a carico dell'autore delle condotte ingiuriose
Come precisato dalla Cassazione, il giudice civile può valutare gli elementi probatori acquisiti nel pregresso processo penale, pur in assenza di efficacia vincolante del giudicato di assoluzione.
Esempi pratici
- Offesa verbale diretta in pubblico: Durante una discussione animata al bar, un soggetto rivolge a un altro presente epiteti volgari e dispregiativi (“sei un incapace, un fallito inutile”), alzando la voce e con intento deliberatamente offensivo. L’offesa avviene in presenza dell’offeso e di altri avventori;
- Gesto ingiurioso durante un confronto privato: Nel corso di un colloquio tra colleghi, uno dei due, irritato, sputa deliberatamente ai piedi dell’altro, accompagnando il gesto con un’espressione di disprezzo. Il comportamento, seppur non verbale, manifesta chiaramente un’intenzione offensiva diretta alla dignità personale.
Tali condotte oggi non sono più penalmente rilevanti, ma possono dar luogo a illiceità civile e risarcimento del danno non patrimoniale ex art. 2043 o 2059 c.c.
Diffamazione: quando si offende non presenti
Definizione La diffamazione, disciplinata dall'art. 595 del Codice penale, si configura quando "chiunque….comunicando con più persone, offende l'altrui reputazione". Il reato tutela l'onore nel suo riflesso sociale, ovvero la reputazione della persona.
Gli elementi costitutivi sono: l'offesa alla reputazione altrui, l'assenza della persona offesa al momento della comunicazione lesiva, e la comunicazione con almeno due persone. Come chiarito dalla Cassazione, il requisito della comunicazione con più persone si considera soddisfatto anche quando si comunica con una sola persona "ma con modalità tali che la notizia venga sicuramente a conoscenza di altri".
L'elemento distintivo rispetto all'ingiuria risiede nella presenza o assenza del soggetto offeso: mentre nell'ingiuria la comunicazione è diretta alla persona presente, nella diffamazione l'offeso è assente al momento dell'atto lesivo.
Mezzo di comunicazione (orale, stampa, online)
La diffamazione può essere commessa attraverso qualsiasi mezzo di comunicazione. La forma più semplice è quella orale, quando si offende la reputazione altrui parlando con più persone in assenza dell'interessato.
Particolare rilevanza assumono i mezzi telematici e i social network. La Cassazione ha stabilito che integra diffamazione la pubblicazione su piattaforme social di espressioni offensive, poiché l'offeso "resta estraneo alla comunicazione lesiva intercorsa con più persone". Anche la presenza virtuale dell'offeso in chat o commenti non esclude la diffamazione, data la "potenziale diffusività del messaggio verso una pluralità indeterminata di persone".
Diffamazione aggravata
L'art. 595 prevede due forme di aggravamento. Il secondo comma stabilisce che "se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni". Per configurare questa aggravante è sufficiente che l'episodio sia "specificato nelle sue linee essenziali" con espressioni che evochino azioni concrete negative.
Il terzo comma prevede l'aggravante quando "l'offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità", punita con reclusione da sei mesi a tre anni. Questa forma aggravata si applica anche ai social network, considerati mezzi di pubblicità per la loro capacità di raggiungere un numero indeterminato di persone.
Sanzioni penali previste
Le sanzioni variano in base alla forma di diffamazione:
- Forma base: reclusione fino a un anno o multa fino a 1.032 euro;
- Con attribuzione di fatto determinato: reclusione fino a due anni o multa fino a 2.065 euro;
- A mezzo stampa o pubblicità: reclusione da sei mesi a tre anni o multa non inferiore a 516 euro;
- Contro corpi politici o autorità: pene aumentate
Il reato è procedibile a querela della persona offesa, che deve essere presentata entro tre mesi dalla notizia del fatto.
Casi frequenti (social network, giornalismo)
I social network rappresentano oggi il principale ambito di diffamazione. La pubblicazione sulla bacheca Facebook integra diffamazione aggravata per la "natura pubblica" che conferisce "potenziale capacità di raggiungere un numero indeterminato di persone".
Anche la rimozione successiva del post non esclude il reato, già consumato con la pubblicazione.
Nel giornalismo, la diffamazione a mezzo stampa è disciplinata anche dall'art. 596-bis, che estende la responsabilità al direttore, editore e stampatore. Il diritto di cronaca può giustificare la pubblicazione solo se sussistono verità della notizia, continenza formale e interesse pubblico all'informazione.
La diffamazione rimane uno dei reati più frequenti nell'era digitale, richiedendo particolare attenzione nell'uso dei mezzi di comunicazione telematici per evitare conseguenze penali e civili significative.
Calunnia: il falso che accusa
La calunnia è disciplinata dall'art. 368 del Codice penale, che punisce "chiunque, con denunzia, querela, richiesta o istanza, anche se anonima o sotto falso nome, diretta all'Autorità giudiziaria o ad un'altra Autorità che a quella abbia obbligo di riferirne o alla Corte penale internazionale, incolpa di un reato taluno che egli sa innocente, ovvero simula a carico di lui le tracce di un reato".
Il reato si configura in due modalità distinte: la calunnia formale o diretta, che consiste nell'accusare direttamente una persona innocente di un reato, e la calunnia materiale o reale, che si realizza simulando le tracce di un reato a carico di un soggetto innocente. Come chiarito dalla giurisprudenza, si tratta di un reato plurioffensivo che tutela sia il corretto funzionamento dell'amministrazione della giustizia sia l'onore e la libertà personale della persona falsamente incolpata.
Gli elementi costitutivi sono: l'incolpazione di un reato a carico di persona che si sa innocente, la comunicazione all'autorità competente e il dolo generico, consistente nella consapevolezza dell'innocenza dell'accusato.
La distinzione fondamentale tra calunnia e simulazione di reato (art. 367 c.p.) risiede nell'identificazione del soggetto accusato. Mentre la simulazione di reato consiste nell'affermare falsamente che è avvenuto un reato senza indicare un responsabile specifico, la calunnia richiede necessariamente l'attribuzione del fatto a una persona determinata o determinabile.
Come precisato dalla Cassazione, per la sussistenza della calunnia non è necessario che l'accusa sia effettuata identificando direttamente il soggetto falsamente incolpato, "essendo sufficiente che l'agente esponga circostanze non vere dalle quali si desuma che l'illecito è stato commesso comunque da persona facilmente identificabile".
La giurisprudenza consolidata stabilisce che ai fini della sussistenza di tale reato non è necessario che la denuncia contenga un'esplicita notizia di reato né una determinata indicazione dell'autore, è sufficiente che in essa siano riportati fatti idonei a determinare l'inizio di un procedimento penale nei confronti di un soggetto che, seppur non specificamente determinato, sia univocamente ed agevolmente individuabile.
La calunnia è punita con reclusione da due a sei anni. La pena è aumentata se si incolpa qualcuno di un reato per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione superiore nel massimo a dieci anni. Sono previste aggravanti significative quando dal fatto deriva una condanna: reclusione da quattro a dodici anni se deriva condanna superiore a cinque anni, da sei a venti anni se deriva condanna all'ergastolo.
Come chiarito dalla Cassazione, la calunnia è un reato di pericolo che si perfeziona con la sola possibilità astratta dell'inizio di un procedimento penale a carico della persona falsamente incolpata, indipendentemente dall'effettivo avvio delle indagini.
L'elemento soggettivo richiede la piena consapevolezza dell'innocenza dell'incolpato, che deve essere fondata su elementi seri e concreti e non su mere congetture o supposizioni, come precisato dalla giurisprudenza di merito.
Esempi giudiziari
Un caso frequente è la falsa denuncia di smarrimento di assegni. La giurisprudenza ha stabilito che integra il reato di calunnia, e non quello di simulazione di reato, la condotta di chi denunci il furto o lo smarrimento di assegni in realtà incassati, così simulando, ai danni di chi riceve il titolo, il reato di furto o di ricettazione.
Altro esempio significativo riguarda la calunnia reale attraverso simulazione di tracce. La Cassazione ha confermato che il reato si configura anche attraverso la predisposizione materiale di una situazione simulata di commissione di un reato a carico di una persona innocente, come nel caso di chi nasconde sostanze stupefacenti nell'abitazione altrui per far accusare l'occupante.
La giurisprudenza più recente ha chiarito che integra il reato la condotta di chi predisponga maliziosamente quanto necessario affinché un soggetto possa essere incriminato per un determinato reato, qualora a seguito di tale comportamento venga sporta denuncia all'autorità giudiziaria da un altro soggetto tenuto a farlo.
La calunnia rappresenta uno dei reati più gravi contro l'amministrazione della giustizia, richiedendo particolare attenzione nella valutazione delle denunce per evitare conseguenze penali severe sia per l'autore della falsa accusa sia per la vittima innocente (fonti citate: Tribunale penale Bari sentenza n. 3132 del 5 ottobre 2015, Tribunale penale Taranto sentenza n. 2482 del 14 ottobre 2016)
Reati commessi online e reputazione digitale
Offese sui social media
I social network rappresentano oggi il principale teatro di reati contro l'onore e la reputazione. La Cassazione ha chiarito che integra diffamazione aggravata la pubblicazione su piattaforme social di espressioni offensive, poiché l'offeso resta estraneo alla comunicazione lesiva intercorsa con più persone.
La diffamazione online (art. 595 c.p.) si configura nella forma aggravata quando commessa "con qualsiasi mezzo di pubblicità", categoria che include i social network per la loro capacità di raggiungere un numero indeterminato di persone. Come precisato dalla giurisprudenza di merito, "la particolare potenzialità lesiva della condotta deriva proprio dalla possibilità di connessione in ogni luogo e tempo tipica dei social network".
Responsabilità per commenti e condivisioni
La responsabilità penale si estende oltre la mera pubblicazione diretta. La Cassazione ha stabilito che il gestore del blog risponde del delitto nella forma aggravata anche per gli scritti di carattere denigratorio pubblicati da terzi quando, venutone a conoscenza, non provveda tempestivamente alla loro rimozione.
Particolare attenzione merita la distinzione tra diffamazione e ingiuria nelle comunicazioni telematiche. La Suprema Corte ha chiarito che anche la presenza virtuale dell'offeso in chat o commenti non esclude la diffamazione, data la potenziale diffusività del messaggio verso una pluralità indeterminata di persone.
La responsabilità può configurarsi anche per condotte indirette: la giurisprudenza ha precisato che l'intento diffamatorio può essere raggiunto anche mediante allusioni e insinuazioni indirette, purché il contenuto allusivo sia immediatamente e inequivocabilmente percepibile.
Rimozione dei contenuti e diritto all'oblio
Il diritto all'oblio digitale (art. 64-ter d.lgs. 271/1989) consente alle persone proscioglte o archiviate di richiedere la deindicizzazione dei propri dati personali dalla rete internet, ai sensi e nei limiti dell'articolo 17 del regolamento GDPR.
Sul piano civile, la giurisprudenza ha stabilito che in assenza di prova del danno-conseguenza, pur in presenza di una condotta illecita, può essere ordinata la rimozione dei contenuti diffamatori dalle piattaforme social e dal web per prevenire potenziali danni futuri.
Giurisprudenza recente
La giurisprudenza più recente ha consolidato alcuni principi fondamentali. La Cassazione 2025 (n.8341/2025) ha chiarito che "la diffamazione, quale reato di evento, si consuma nel momento e nel luogo in cui i terzi percepiscono l'espressione offensiva" e che "il prolungamento della lesione non incide sulla struttura del reato".
In ambito civile, la Cassazione ha precisato (n.29170/2024) che "il danno all'onore e alla reputazione non è in re ipsa ma richiede specifica allegazione e prova delle conseguenze pregiudizievoli concrete", valutate considerando "la diffusione dello scritto, la rilevanza dell'offesa e la posizione sociale della vittima".
La tutela della reputazione digitale richiede quindi un approccio integrato che consideri sia gli aspetti penali che civili, bilanciando la libertà di espressione con la protezione della dignità personale nell'era digitale.
Differenze tra ingiuria, diffamazione e calunnia
Nel sistema penale italiano, ingiuria, diffamazione e calunnia sono tre fattispecie distinte che tutelano beni giuridici affini ma con elementi costitutivi e sanzioni differenti.
L’ingiuria – oggi depenalizzata (art. 594 c.p. abrogato dal D.Lgs. n. 7/2016) – consisteva nell’offesa alla dignità o al decoro della persona presente, mediante parole, gesti o comportamenti manifestamente offensivi. Non ha più rilevanza penale, ma può essere fonte di responsabilità civile per danno non patrimoniale.
La diffamazione (art. 595 c.p.) punisce chi offende la reputazione altrui comunicando con più persone, in assenza dell’offeso. La lesione riguarda l’onore in senso oggettivo (reputazione) e può avvenire con qualsiasi mezzo, compresi social network e stampa.
La calunnia (art. 368 c.p.) è reato ben più grave e si configura quando taluno incolpa falsamente un soggetto di un reato, dinanzi all’autorità giudiziaria o ad altro organo che abbia obbligo di riferirne. Si tutela non solo la reputazione ma anche l’amministrazione della giustizia.
Sintetizziamo le differenze:
Reato |
Condotta |
Destinatario |
Pena |
---|---|---|---|
Ingiuria |
Offesa alla dignità/decoro con offeso presente |
Persona presente |
Depenalizzata – oggi solo illecito civile |
Diffamazione |
Offesa alla reputazione con comunicazione a terzi |
Offeso assente |
Reclusione fino a 1 anno o multa (aggravata fino a 3 anni) |
Calunnia |
Falsa accusa di reato a carico di innocente |
Autorità giudiziaria |
Reclusione da 2 a 6 anni (fino a 20 anni in casi aggravati) |
Tali fattispecie richiedono l’elemento soggettivo del dolo generico, cioè la consapevolezza e volontà dell’offesa o dell’incolpazione falsa. La calunnia richiede anche la falsità cosciente dell’accusa.
Procedibilità:
- L’ingiuria non è più procedibile penalmente, ma può dare luogo a risarcimento ex art. 2043 o 2059 c.c.;
- La diffamazione è procedibile a querela di parte entro tre mesi, salvo aggravanti;
- La calunnia è procedibile d’ufficio, data la sua lesività per l’amministrazione della giustizia.
In sintesi, le tre figure si distinguono per modalità della condotta, destinatario, grado di offensività e disciplina processuale, ma tutte pongono al centro la tutela della dignità e della reputazione dell’individuo.
Come tutelarsi legalmente
Chi subisce una lesione all’onore o alla reputazione – per esempio a mezzo diffamazione o calunnia – ha a disposizione diversi strumenti giuridici per tutelarsi, sia in sede penale che civile.
1) Presentazione della querela
La querela è l’atto con cui la persona offesa manifesta la volontà che si proceda penalmente contro l’autore del reato. È necessaria per reati come la diffamazione semplice, mentre è superflua per la calunnia, procedibile d’ufficio.
La querela deve essere presentata entro tre mesi dalla notizia del fatto (termine ordinario ex art. 124 c.p.) presso un ufficio di Polizia Giudiziaria, una Procura della Repubblica o il proprio legale di fiducia. Deve contenere i dati del querelante, una descrizione del fatto, eventuali prove, e indicare se si desidera essere informati sull’eventuale archiviazione.
2) Risarcimento dei danni morali
Accanto al profilo penale, la persona offesa può agire in sede civile per ottenere il risarcimento del danno non patrimoniale (art. 2059 c.c.), soprattutto quando la condotta ha provocato sofferenza morale, discredito sociale o danno alla vita relazionale. L’azione può essere proposta in via autonoma o nel processo penale come costituzione di parte civile. La prova del danno spetta all’attore, anche mediante presunzioni o valutazioni equitative del giudice.
3) Mediazione e conciliazione
Per alcune ipotesi, è possibile ricorrere a strumenti alternativi di risoluzione delle controversie. La mediazione civile (obbligatoria per le controversie sul risarcimento da diffamazione a mezzo stampa ex art. 5, d.lgs. 28/2010) può offrire una soluzione extragiudiziale più rapida e meno conflittuale. Anche la conciliazione giudiziale può essere tentata nel corso del processo civile o penale, con esiti favorevoli in termini di riduzione delle spese e deflazione del contenzioso.
La tutela dell’onore, dunque, può essere perseguita con più strumenti, da scegliere in base alla gravità del fatto, all’urgenza della reazione e agli interessi da proteggere.
FAQ – Reati contro l’Onore e la Reputazione
Qual è la differenza tra diffamazione e ingiuria?
La diffamazione (art. 595 c.p.) si verifica quando si offende la reputazione di una persona in sua assenza, comunicando l’offesa a più persone. È un reato ancora previsto dal Codice penale;
L’ingiuria, invece, era l’offesa alla dignità o al decoro rivolta direttamente alla persona presente. Non è più reato dal 2016 ed è oggi un illecito civile. La tutela è possibile solo mediante azione risarcitoria ex art. 2043 o 2059 c.c.;
Offendere qualcuno sui social è un reato?
Sì. L’offesa alla reputazione su piattaforme come Facebook, Instagram o Twitter può integrare il reato di diffamazione aggravata, in quanto i social network sono considerati mezzi di pubblicità. La Corte di Cassazione ha chiarito che anche un singolo post pubblico può raggiungere una pluralità di destinatari e integrare il reato. Rileva la potenzialità di diffusione, non il numero effettivo di lettori;
Serve sempre una querela per procedere?
Non sempre. La diffamazione semplice è perseguibile solo a querela di parte, da presentarsi entro 3 mesi dalla notizia del fatto. Tuttavia, la calunnia (art. 368 c.p.) è perseguibile d’ufficio, poiché offende l’amministrazione della giustizia.
In caso di aggravanti (es. diffamazione a mezzo stampa), può essere ammessa la procedibilità d’ufficio, ma va valutata caso per caso;
La calunnia si può ritirare?
No. Essendo reato procedibile d’ufficio, non è possibile “ritirare” la calunnia una volta denunciata. Se l’autore dell’incolpazione falsa si pente, potrà semmai collaborare con l’autorità giudiziaria, ma ciò non estingue automaticamente il reato. Resta punibile chi consapevolmente attribuisce un reato a un innocente, anche se successivamente nega o revoca l’accusa;
Come posso dimostrare un reato contro la mia reputazione?
È fondamentale raccogliere prove della condotta offensiva: screenshot, registrazioni, testimoni, documenti. Nei procedimenti penali o civili, la parte offesa deve provare l’esistenza dell’offesa, la sua riferibilità all’autore e il contenuto lesivo della dichiarazione. Anche gli indizi gravi, precisi e concordanti possono supportare l’accusa o la richiesta risarcitoria. La consulenza tecnica può aiutare nei casi di danno all’immagine o alla vita relazionale.

Marco Mosca
Sono l'Avv. Marco Mosca ed opero da 12 anni nel campo giuridico. Ho maturato una significativa esperienza in molti settori del diritto, in particolare nell'ambito della materia societaria e di tutto ciò che ad essa è collegato. Pertan ...