Retribuzione e differenze retributive

La retribuzione, generalmente, viene definita come il corrispettivo dovuto dal datore di lavoro al lavoratore per la prestazione fornita da quest’ultimo.

Che cosa si intende per differenze retributive: definizione e tipologie

Con l’espressione differenze retributive si suole far riferimento a quelle somme di denaro che spettano, per legge, al lavoratore in seguito alla sua attività lavorativa, ma che, per qualche motivo, non gli sono state versate e/o riconosciute dal proprio datore di lavoro. Ciò comporta una difformità tra quanto il lavoratore avrebbe diritto a conseguire, a titolo di corrispettivo per l’attività lavorativa prestata, e quanto effettivamente egli riceve in busta paga.

Per tali motivi, sorge il diritto, per il lavoratore, a percepire le “differenze” maturate rispetto a quelle in concreto ricevute. Facciamo un semplice esempio: il sig. Ettore lavora alle dipendenze del datore di lavoro, la Achille S.r.l., la quale gli corrisponde una retribuzione mensile di €. 1.000,00. Arriva il Natale e la società Achille non versa ad Ettore la dovuta 13ma mensilità; dopodiché nel periodo estivo dimentica, altresì, di versargli la 14ma.

Ecco che Ettore avrà delle “differenze” retributive da riscuotere corrispondenti alle mensilità aggiuntive relative alla 13ma e 14ma. Quanto alla tipologia delle differenze retributive, queste somme possono maturare in relazione a diverse circostanze, quali, come abbiamo visto poc’anzi nell’esempio: le c.d. mensilità aggiuntive non corrisposte; ferie non godute; lavoro straordinario non pagato; l’aver svolto mansioni di livello superiore alla retribuzione corrisposta; mancati incrementi di salario per una nuova e superiore qualifica raggiunta; mancato versamento del TFR (trattamento di fine rapporto); scatti d’anzianità non percepiti.

Un altro tipo di esempio, piuttosto ricorrente nella pratica, si ha quando il contratto di assunzione formalmente è part-time, ma nella sostanza è un full-time, e nonostante ciò viene corrisposto un salario da part-time, facendo così maturare il diritto del lavoratore a percepire le differenze per le ore di lavoro svolte; anche il lavoro a nero, cioè senza alcun contratto di lavoro, fa sorgere il diritto a percepire tutte le differenze retributive non ricevute.

Cause delle differenze retributive: discriminazione e altri fattori

Cosa determina il sorgere delle differenze retributive non corrisposte? È la domanda da 1 milione di euro. Non esiste una risposta unica, i motivi sono molteplici.

Indichiamo di seguito quelli principali:

  • Per errore: potrà sembrare strano, e forse poco credibile, ma non è assolutamente raro che il mancato pagamento di parte dei compensi ovvero di altre somme dovute in aggiunta a quello che si percepiscono come salario, sia dovuto ad un errore di calcolo ovvero ad una svista. Prova ne è, quando, una volta contestato il mancato pagamento, il datore provveda al versamento delle differenze dovute senza alcuna riserva.
  • Motivi fiscali: se dal punto di vista dell’immaginario collettivo dei dipendenti il datore di lavoro spesso rappresenta l’orco cattivo, indubbiamente la pressione fiscale in Italia assume livelli assurdi e costi insostenibili per molte di essi. Ciò induce maggiormente i datori a trovare degli “espedienti” per aggirare il problema. Tipica è l’assunzione formalmente part-time, ma in concreto è un full-time. Sia chiaro, è una pratica illegittima e non giustificata, ma spesso avallata, giocoforza, dallo stesso lavoratore il quale, essendo la parte debole del rapporto, per l’esigenza di mettere un piatto a tavola, pagare le bollette e la pigione al proprietario di casa, accetta tali condizioni. In alcuni casi i datori provvedono a pagare a “nero” la differenza collegata all’orario effettivo (evitando su quelle spettanze i salassi fiscali). In altri casi, peggio ancora, il datore corrisponde unicamente un salario commisurato al contratto di lavoro formalmente stipulato part-time, e non alle ore effettive svolte dal dipendente.
  • Difficoltà economiche del datore di lavoro: simile alla precedente, se non anche la sua naturale conseguenza, quando per la: pressione fiscale, crisi economica, contrazione delle vendite e del mercato in generale, crisi post-pandemica e post-bellica, le banche che non concedono mutui alle imprese, e chi più ne ha più ne metta, insomma vari fattori spingono il datore di lavoro, pur di sopravvivere, a limitarsi a pagare lo stipendio o parte di esso, facendo così maturare ingenti differenze retributive, che probabilmente diventeranno difficili da recuperare.
  • Discriminazioni sessuali: un’altra piaga del lavoro è rappresentata dal mancato riconoscimento di spettanze dovute al lavoratore per questioni legate alla discriminazione di sessi. Non è raro osservare, ad esempio, una diversità di trattamento tra uomini e donne, con l’idea che quest’ultime siano più accondiscendenti a certe mancanze nelle buste paghe.
  • Per mera volontà del datore: un’altra causa del sorgere di differenze retributive non corrisposte può essere, puramente e semplicemente, l’intenzione del datore di non corrisponderle, pur non avendo alla base problemi di sorta che lo costringano a non pagarle Abbiamo elencato alcune ipotesi e fattori che determinano il sorgere di differenze retributive, senza che esse siano da considerarsi esaustive o complete, potendo i motivi essere i più vari possibili. Ovviamente, dal punto di vista del lavoratore le ragioni contano relativamente, poiché il diritto a percepire tutte le spettanze maturate sorge in connessione all’attività lavorativa prestata, con o senza contratto.

Normative a tutela della parità salariale: l'importanza della legge

Una delle piaghe del mondo del lavoro è sempre stata quella della discriminazione, soprattutto salariale, dovuta alla diversità di sessi o di genere. Per fronteggiare questa situazione, ed ai fini di tutela dei lavoratori, veniva introdotto il Codice della pari opportunità (D.lgs n.198/2006). Le disposizioni di tale codice hanno ad oggetto:

1. le misure volte ad eliminare ogni discriminazione basata sul sesso, che abbia come conseguenza o come scopo di compromettere o di impedire il riconoscimento, il godimento o l'esercizio dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale, culturale e civile o in ogni altro campo;

2. La parità di trattamento e di opportunità tra donne e uomini deve essere assicurata in tutti i campi, compresi quelli dell'occupazione, del lavoro e della retribuzione;

3. Il principio della parità non osta al mantenimento o all'adozione di misure che prevedano vantaggi specifici a favore del sesso sottorappresentato;

4. L'obiettivo della parità di trattamento e di opportunità tra donne e uomini deve essere tenuto presente nella formulazione e attuazione, a tutti i livelli e ad opera di tutti gli attori, di leggi, regolamenti, atti amministrativi, politiche e attività.

Di recente è stata introdotta la Legge 5 novembre 2021, n. 162 c.d. “legge sulla parità salariale”, rivolta a garantire la pari opportunità tra uomo e donna, in particolare con riferimento all’ambito lavorativo, e più precisamente, cerca di ridurre le differenze di retribuzione tra uomo e donna.

Tale legge, prevede una serie d’interventi rivolti ad abbassare il cosiddetto “gender pay gap” (ovvero differenza media che sussiste tra i salari orari lordi percepiti dagli uomini e dalle donne) che, se a livello europeo si attesta sul 36%, in Italia raggiunge il 44%.

La legge sulla parità salariale si muove secondo due direzioni: la prima, consistente negli interventi rivolti a contrastare a monte il gap retributivo di genere, attraverso un sistema premiale per le aziende che rimuovono le discriminazioni. La seconda prevede provvedimenti volti a favorire l’ingresso delle donne al mercato del lavoro. Gli aspetti salienti della normativa sono:

- la certificazione sulla parità di genere

La Legge prevede l’introduzione della certificazione della parità di genere a partire dal 1° gennaio 2022. Esso consiste in documento attestante le politiche e le misure concrete adottate dai datori di lavoro per ridurre il divario di genere circa le opportunità di crescita in azienda, la parità salariale a parità di mansioni, le politiche di gestione delle differenze di genere e la tutela della maternità;

- tavolo di lavoro sulla certificazione di genere delle imprese

Si tratta di uno strumento previsto dalla stessa Legge sulla parità salariale, rivolto al monitoraggio continuo delle attività necessarie alla riduzione del gap; concorre al funzionamento del sistema della certificazione della parità di genere; valutazione delle medesime attività svolte in altri Paesi europei e/o Organizzazioni internazionali, al fine di armonizzare e coordinare la normativa; attività di supporto all’Autorità politica e al Dipartimento per le pari opportunità per la valutazione dei risultati del sistema della certificazione della parità di genere alle imprese; fornire informazioni all’Osservatorio nazionale per l’integrazione delle politiche per la parità di genere.

- concessione di sgravi fiscali per le aziende che rispettano la parità salariale

- Sistema con punteggio di premialità nei bandi per le aziende in possesso di certificazione della parità di genere;

- obblighi per le aziende con più di 50 dipendenti

La legge sulla parità salariale introduce l’obbligo per le aziende pubbliche e private con “oltre 50” dipendenti (anziché “100” come prevede la normativa vigente) di redigere un rapporto ogni due anni sulla situazione del personale maschile e femminile in ognuna delle professioni e in relazione allo stato di assunzioni.

“DISCRIMINAZIONE DIRETTA E INDIRETTA”

La legge sulla parità salariale integra la nozione di discriminazione diretta e indiretta, di cui all’articolo 25 del Codice per le pari opportunità, modificato proprio dalla L. 5 novembre 2021, n. 162. Pertanto si considera discriminazione diretta: “qualsiasi disposizione, criterio, prassi, atto, patto o comportamento, nonché l'ordine di porre in essere un atto o un comportamento, che produca un effetto pregiudizievole discriminando le candidate e i candidati, in fase di selezione del personale, le lavoratrici o i lavoratori in ragione del loro sesso e, comunque, il trattamento meno favorevole rispetto a quello di un'altra lavoratrice o di un altro lavoratore in situazione analoga”;

Si ha discriminazione indiretta, invece: “quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento, compresi quelli di natura organizzativa o incidenti sull'orario di lavoro, apparentemente neutri mettono o possono mettere i candidati in fase di selezione e i lavoratori di un determinato sesso in una posizione di particolare svantaggio rispetto a lavoratori dell'altro sesso, salvo che riguardino requisiti essenziali allo svolgimento dell'attività lavorativa, purché l'obiettivo sia legittimo e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari”

Infine, ai sensi del comma 2bis del Codice sulla pari opportunità, introdotto dalla Legge sulla parità salariale, costituisce discriminazione, ogni trattamento o modifica dell'organizzazione delle condizioni e dei tempi di lavoro che, in ragione del sesso, dell'età anagrafica, delle esigenze di cura personale o familiare, dello stato di gravidanza nonché di maternità o paternità, anche adottive, ovvero in ragione della titolarità e dell'esercizio dei relativi diritti, pone o può porre il lavoratore in almeno una delle seguenti condizioni:

  • posizione di svantaggio rispetto alla generalità degli altri lavoratori;
  • limitazione delle opportunità di partecipazione alla vita o alle scelte aziendali;
  • limitazione dell'accesso ai meccanismi di avanzamento e di progressione nella carriera.

Non va tralasciato di menzionare, tra le altre, l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL). Si tratta di un’agenzia specializzata delle Nazioni Unite sui temi del lavoro e della politica sociale.

Istituita nel 1919 con il Trattato di Versailles, l’OIL adotta norme internazionali del lavoro, promuove i principi fondamentali e i diritti sul lavoro, opportunità di lavoro dignitose, il rafforzamento della protezione sociale e il dialogo sociale sulle questioni inerenti al lavoro.

Come rilevare le differenze retributive: strumenti e metodologie

Le differenze retributive sono ricavabili principalmente dalla busta paga o cedolini. In esso sono indicate tutte le informazioni inerenti il tipo di contratto di lavoro, la data di inizio, il livello di inquadramento e la qualifica. Da queste informazioni è già possibile ricavare alcune informazioni per risalire al tipo di Ccnl (Contratto collettivo nazionale di lavoro) applicabile alla fattispecie, e dunque alla misura dello stipendio e tutte le spettanze dovute.

È preferibile, tuttavia, quando notiamo che la busta paga non corrisponda a quanto effettivamente sia dovuto, rivolgersi a un consulente del lavoro per stabilire la misura esatta delle spettanze mancanti. Quest’ultimo sarà d’ausilio all’eventuale avvocato nominato per il recupero di tutte le differenze retributive mancanti, per poter quantificare la misura esatte delle somme da richiedere al datore di lavoro.

Ancor più necessario risulterà essere l’intervento di un buon consulente del lavoro, allorquando la prestazione lavorativa sia parzialmente o totalmente a nero, per stabilire l’entità precisa di quanto il datore sia inadempiente, anche in relazione ai mancati versamenti previdenziali.

Come affrontare le differenze retributive: azioni e strumenti a disposizione

Abbiamo notato che la busta paga non corrisponda a quanto ci spetti, o che il datore non abbia versato somme di cui abbiamo diritto a percepire (es. 13ma e 14ma, tfr, mensilità mancanti o ultime mensilità prima della chiusura del rapporto di lavoro), come comportarci? La prima mossa da fare è contestare in prima persona, e per iscritto, al datore il mancato versamento del dovuto.

In caso di esito negativo, si potrà optare per un tentativo di conciliazione attraverso l’ausilio di associazioni sindacali o mediante avvocato. In quest’ultimo caso, l’avvocato provvederà prima ad inviare una lettera di contestazione al datore di lavoro per il mancato pagamento delle differenze retributive, con invito a provvedere. In secondo luogo, qualora il datore voglia provvedere al pagamento oppure addivenire ad un accordo, quest’ultimo può essere stipulato in forma privata oppure dinanzi all’Ispettorato del lavoro.

L’accordo innanzi all’Ispettorato del lavoro di regola garantisce maggiormente il datore, poiché una volta raggiunto e sottoscritto tale accordo, le rinunce e le transazioni del lavoratore non sono più impugnabili. Difatti, l’art. 2113 del codice civile, che ogni eventuale rinuncia o transazione del dipendente aventi ad oggetto diritti previsti da norme inderogabili di legge o di contratti collettivi, siano impugnabili nel termine di 6 mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro, se la sottoscrizione è avvenuta in costanza di rapporto, o entro sei mesi dalla sottoscrizione, se successiva alla risoluzione del rapporto di lavoro.

Viceversa, le suddette rinunce e transazioni sono perfettamente valide e non più impugnabili se sottoscritte nelle sedi protette, quali la conciliazione in sede amministrativa – dinanzi all’Ispettorato del lavoro competente – ovvero sindacale o davanti al giudice. La conciliazione, va detto, ha carattere facoltativo, potendo il lavoratore adire direttamente il giudice del lavoro, qualora la richiesta in via bonaria non abbia sortito gli effetti sperati.

Conclusioni

Una delle piaghe del mondo del lavoro è sempre stata quella della discriminazione, soprattutto salariale, dovuta alla diversità di sessi o di genere, cioè la discriminazione basate su preconcetti sessuali. Milioni di persone in tutto il mondo subiscono discriminazioni sul posto di lavoro, o comunque in ambito lavorativo.

Si tratta di un fenomeno pericoloso, perché viola i diritti fondamentali, oltre ad avere conseguenze rilevanti dal punto di vista economico e sociale. Le discriminazioni, difatti, riducono le opportunità di lavoro, sprecano il talento e risorse umane indispensabili per il progresso economico e per lo sviluppo sostenibile. È importante, dunque, combattere ogni forma di discriminazione, sia a livello governativo, sia individuale, denunciando immediatamente ogni forma di discriminazione subita.

Avvocato Marco Mosca

Marco Mosca

Sono l'Avv. Marco Mosca ed opero da 12 anni nel campo giuridico. Ho maturato una significativa esperienza in molti settori del diritto, in particolare nell'ambito della materia societaria e di tutto ciò che ad essa è collegato. Pertan ...