Mobbing o Straining sul lavoro: cosa fare?

Mobbing e straining due facce della stessa medaglia ed un unico comun denominatore: lesione dei diritti inviolabili della persona

mobbing straining

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1. Che cos’è il mobbing

Dall’inglese "to mob" che significa assalire, molestare. Questo termine, ormai fa parte della terminologia medico-giuridica, per definire quella serie di:

  • comportamenti molesti e di vessazioni di vario tipo;
  • particolarmente gravi;
  • ripetuti e protratti nel tempo;
  • ed intenzionali.

Comportamenti che generano un vero e proprio terrore psicologico, subiti da una persona non solo sul posto di lavoro. Creando uno stato di profondo disagio della vittima con gravi conseguenze che vanno anche a minare la salute della vittima; ovvero “le molestie o quei comportamenti indesiderati e continuati… aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una persona o di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante od offensivo”. Nello specifico si parla di:

  • mobbing discendente o verticale, c.d. anche bossing, se la persecuzione proviene direttamente dal datore di lavoro o da un superiore gerarchico;
  • mobbing orizzontale o ascendente, se i persecutori sono semplici colleghi;
  • mobbing ascendente, se sono addirittura i sottoposti che si coalizzano per vessare il superiore si parla di.

2. Che cos’è lo straining

Dall’inglese to strainche significa stressare, mettere sotto pressione. Anche questo termine anglofono è entrato da poco, nel nostro vocabolario medico-legale per designare quella situazione di “stress forzato sul posto di lavoro”che incide sull’integrità psicofisica del lavoratore tale da produrre il risarcimento (in misura ridotta rispetto al mobbing) del danno subito.

Lo strainingè una forma più attenuata rispetto al mobbing, infatti affinché si verifichi è sufficiente anche una sola azione con effetti duraturi (si pensi al demansionamento), quindi non vi è la continuità delle azioni vessatorie.

3. Maltrattamenti sul lavoro

Gli atti discriminatori, lesivi della dignità personale e dell’integrità psicofisica posso essere:

  • demansionamento o inattività per lungo periodo;
  • soppressione del riposo settimanale;
  • molestie sessuali o psicologiche;
  • diffamazioni, minacce od offese dirette o indirette;
  • discriminazioni per l’orientamento sessuale, di razza, di religione, per handicap, di età, per convinzioni personali;
  • divieto di utilizzare determinate tecnologie per lo svolgimento dell’attività lavorativa;
  • emarginazione o esclusione dal gruppo di lavoro;
  • subire critiche immotivate.

4. Tutele e risarcimento

Le molestie, soprusi ed aggressioni psicologiche, perpetrate nell’ambito lavorativo, nelle modalità previste dal mobbingo dallo straining, produttive di un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante ed offensivo che vanno a ledere i diritti inviolabili della persona, quali: la dignità, libertà e l’integrità psicofisica della vittima. Questi atti costituiscono un inadempimento dell’obbligo contrattuale del datore di lavoro. Il datore di lavoro ha l’obbligo, infatti, di tutelare non solo la persona fisica, ma anche la personalità morale del dipendente. Tale inadempimento, però, deve essere puntualmente provato dal lavoratore davanti al giudice del lavoro, attraverso testimonianze, perizie mediche e fatti contingenti.

La tutela che più frequentemente viene riconosciuta al lavoratore, in questi casi, è di tipo risarcitorio art 2087 cc. Per danni alla persona e alla personalità, biologici, esistenziali, morali, meglio conosciuti come danno esistenziale.

Altri rimedi possono essere, a seconda del caso:

  • dimissioni per giusta causa;
  • rifiuto della prestazione non dovuta o lesiva;
  • ricorso con provvedimento di urgenza
Elisa Di Giambattista

Fonti normative

Cost. artt. 2, 3, 32, 35, 41

Legge L. 300/1970 art. 15 Statuto dei lavoratori

Codice civile artt. 2103, 2087, 2043

D.Lgs. n. 81/2015 Job Act

D.Lgs. n. 215/2003 e 216/2003 attuativi delle Direttive Comunitarie 2000/43/CE e 2000/78/CE per la parità di trattamento

Corte di Cass. sent. nn. 3291/16, 3977/17 e 18164/18

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