Invenzioni del lavoratore dipendente: chi è il proprietario?

Il Legislatore, consapevole della grande importanza dell’apporto inventivo del lavoratore per il buon andamento di un’impresa, si è preoccupato di individuare in modo dettagliato la disciplina delle invenzioni del lavoratore subordinato.

1. Le invenzioni del lavoratore subordinato

La disciplina di tali invenzioni si trova nel combinato disposto degli articoli 62, 63 e 64, D.Lgs. n.30/2005 (c.d. “Codice della Proprietà Industriale”) con l’art. 2529, Codice Civile che hanno l’obiettivo di contemperare le esigenze imprenditoriali ed i diritti del prestatore inventore. Tali disposizioni non individuano, in modo chiaro, cosa si intenda per invenzione, lasciando un ruolo importante all’interpretazione giurisprudenziale. Generalmente si ritiene che l’autore di un’invenzione sia il soggetto che individui la soluzione ad un problema tecnico irrisolto, ovvero qualifichi la stessa in modo innovativo, realizzando semplificazioni o nuovi accorgimenti a processi e strumenti preesistenti.

L’art. 64, D.Lgs. 30/2005 individua e disciplina tre differenti categorie di invenzioni:

  • “invenzione di servizio” (comma I);
  • “invenzione di azienda” (comma II);
  • “invenzione occasionale” (comma III).

Si ha invenzione di servizio qualora l’attività inventiva venga compiuta in adempimento di un contratto/rapporto di lavoro, prevista quale oggetto dello stesso, che, conseguentemente statuisca una specifica retribuzione per l’attività posta in essere. In questo caso i diritti derivanti dall’invenzione appartengono al datore di lavoro, salvo il diritto spettante al dipendente di esserne riconosciuto autore.

Per invenzione di azienda si intente, invece, l’ipotesi il contratto stipulato tra le parti non disponga un compenso a fronte di un’eventuale attività creativa. In tale ipotesi, il datore ha diritto all’utilizzazione esclusiva dell’invenzione, ma all’inventore viene riconosciuto equo premio. Per la sua quantificazione, l’art. 64, comma 2, CPI individua alcuni fattori potenzialmente in grado di incidere su detto calcolo, quali: importanza dell’invenzione; mansioni svolte dal dipendente inventore; contributo ricevuto dall’organizzazione del datore di lavoro; retribuzione percepita dal dipendente. Ciò nonostante, all’atto pratico le modalità di calcolo sono risultate alquanto complesse.

Al fine di risolvere le criticità emerse, la giurisprudenza maggioritaria ha deciso di adottare la c.d. “formula tedesca” con i dovuti adattamenti. Così facendo, i Giudici di merito hanno ritenuto il calcolo del premio, basato sui parametri previsti dalla normativa speciale tedesca, conforme alla normativa in oggetto, salvo personalizzazioni ed adattamenti da valutare caso per caso. Tale normativa, infatti, individua parametri più rigorosi che permetteremmo di individuare un equo premio tenendo conto dell’importanza dell’invenzione stessa.

La c.d. invenzione occasionale, infine, si realizza qualora l’invenzione stessa non riguardi in alcun modo le mansioni svolte dal lavoratore, ma rientri nel campo di attività dell’impresa. Solo in questo caso, al prestatore di lavoro spetteranno tutti i diritti, morali e patrimoniali derivanti dalla scoperta, residuando in capo al datore di lavoro un diritto di opzioneper lo sfruttamento industriale della stessa. Per esercitare tale diritto il datore di lavoro deve versare il prezzo stabilito, entro tre mesi dalla comunicazione dell’avvenuto deposito della domanda di brevetto.

Nella pratica, il discrimine tra invenzione di azienda ed invenzione di servizio risulta vago ed ambiguo: l’intervento della giurisprudenza è stato fondamentale per stabilire che il discrimen risieda nella mancata previsione all’interno del contratto di lavoro di una specifica retribuzione quale compenso dell’attività inventiva. Dal punto di vista probatorio, incombe sul datore di lavoro l’onere di dimostrare che l’azienda ha versato ai lavoratori un corrispettivo in denaro per l’attività inventiva.

In tal senso, la c.d. invenzione di aziendaè caratterizzata da due elementi: realizzazione della stessa nell’esecuzione delle obbligazioni derivanti da un contratto di lavoro ed assenza di qualsivoglia retribuzione quale corrispettivo causalmente connesso. Sulla base di tali premesse, il datore di lavoro può discrezionalmente decidere di corrispondere ex ante ai dipendenti una somma quale corrispettivo delle attività inventive, accettando il rischio che non si realizzi alcuna invenzione, oppure versare al prestatore di lavoro un “equo premio” successivamente, ove ne sussistano i requisiti.

2. Diritti morali ed economici

L’art. 63 del Codice della Proprietà Industrialedispone che “il diritto al brevetto per invenzione industriale spetta all’autore dell’invenzione”. L’autore è il soggetto indicato come tale al momento della registrazione del brevetto, esso consente al soggetto indicato quale inventore, l’utilizzazione esclusiva dell’invenzione per un determinato lasso di tempo, attribuendogli anche i diritti patrimoniali e morali.

Nel caso in cui l’invenzione venisse realizzata nell’ambito di un rapporto di lavoro, il Legislatore ha statuito, a mezzo del combinato disposto degli art. 64 CPI e 2590 c.c., un’espressa eccezione alla regola generale, che comporta una scissione tra il c.d. “profilo morale” e quello “economico”, con l’obiettivo di realizzare un sistema di bilanciamento, tra il diritto morale del dipendente ad essere riconosciuto come autore dell’invenzione, ed il diritto del datore di lavoro allo sfruttamento economico dello stesso, salvo “equo premio” da corrispondere al prestatore inventore. Il CPI specifica, inoltre, che “si considera fatta durante l’esecuzione del contratto o del rapporto di lavoro o di impiego la invenzione industriale per la quale sia stato chiesto il brevetto entro un anno da quando l’inventore ha lasciato l’azienda”.

Il diritto morale ad essere riconosciuto quale autore di una scoperta è inalienabile, infatti, al momento della brevettazione il prestatore di lavoro interessato deve essere indicato quale autore dello stesso, in caso contrario, il datore incorrerebbe in una violazione dei diritti morali del lavoratore subordinato.

Il successivo D.Lgs. n. 131/2010 ha modificato l’art. 64 CPI: ad oggi, il diritto all’equo premio sorge contestualmente allo sfruttamento dell’invenzione da parte dell’azienda, a prescindere dalle modalità di utilizzo. Nonostante tale recente intervento del Legislatore, persistono dei dubbi in merito alla riconoscibilità di un compenso al lavoratore autore di una scoperta non brevettabile ex art. 2585 c.c., ma che apporti comunque maggiore utilità all’azienda, in tali ipotesi negare al dipendente qualsivoglia compenso non sembra la soluzione corretta.

3. L’evoluzione giurisprudenziale

La giurisprudenza, inoltre, è sempre stata costante nell’affermare che perché possa ricorrere l’ipotesi di cui al comma 1 dell’art. 64 CPI occorrono necessariamente entrambi i presupposti previsti dalla norma che, in tal senso, devono intendersi cumulativi: a) che l’attività inventiva sia prevista come oggetto del contratto; b) che detta attività sia “a tale scopo retribuita”. Ammesso che il contratto preveda che nelle mansioni del dipendente rientri l’attività inventiva, il punto critico è proprio la retribuzione specifica. In diverse decisioni si legge che “l’elemento distintivo tra le due ipotesi risiede principalmente nella presenza o meno di un’esplicita previsione contrattuale di una speciale retribuzione costituente corrispettivo dell’attività inventiva”.

Tuttavia una recente sentenza della Corte di Cassazione offre una soluzione diversa e sembra dare un valore preminente alla pattuizione contrattuale in quanto tale.La Corte ha rilevato, infatti, che alla luce del contenuto del contratto e tenendo in considerazione il trattamento economico del dipendente, si doveva interpretare l’accordo tra le parti come includente anche l’attività inventiva. I giudici si sono basati, quindi, sull’interpretazionedella volontà contrattuale che, nonostante l’assenza di esplicite affermazioni in senso favorevole all’azienda, lasciava trasparire in modo evidente che le parti avevano inteso l’attività inventiva nell’oggetto del contratto anche se non espressamente nominata.

Alice Gottani

Fonti normative

Codice della Proprietà intellettuale, artt. 62 e ss.

Codice Civile, artt. 2589 e ss.

Corte di Cassazione n.1285/2006 e Corte diCassazione Civile, 6 maggio 2014

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