Che cosa succede quando un soggetto subisce l’interdizione giudiziale?

Un soggetto dichiarato interdetto perde la capacità di agire, ossia la capacità di porre in essere atti e negozi giuridici attraverso cui disporre del proprio patrimonio, acquistando o alienando diritti e assumendo doveri.

1. Interdizione

Una persona fisica, maggiore d’età o minore emancipato, può essere interdetta quando versi in condizione di abituale infermità mentale che lo renda incapace di provvedere ai propri interessi (art. 414 c.c.).

Dottrina e giurisprudenza considerano unanimemente l’infermità mentale come un serio disturbo psichico relativo a facoltà intellettive o volitive. Sicchè, non è necessario che le alterazioni si manifestino in forme patologiche definite clinicamente.

La condizione di infermità dev’essere

attuale

con riferimento al momento in cui il Tribunale è chiamato a pronunciarsi.

Inoltre, essa dev’essere abituale, quindi si escludono le ipotesi di infermità mentale occasionale che si manifestano in maniera periodica o improvvisa.

L’abitualità non è esclusa da intervalli regolari di lucidità, in quanto la condizione in cui versa il soggetto dev’essere inidonea ad assicurargli la cura dei propri interessi.

La sussistenza di un’abituale infermità mentale è condizione necessaria, ma non sufficiente a consentire l’interdizione, essendo, invero, necessario accertare l’incapacità del soggetto di provvedere alla cura dei propri interessi non solo economici, ma anche personali, come l’adempimento di doveri sociali e familiari.

1.1 Legittimazione

La sentenza costitutiva di interdizione giudiziale può essere emessa su istanza del coniuge, dei parenti entro il quarto grado, degli affini entro il secondo grado, del tutore o del curatore, ovvero del Pubblico Ministero. Qualora l’interdicendo si trovi sotto la responsabilità genitoriale o abbia per curatore uno dei genitori, la legittimazione spetta esclusivamente al genitore o al Pubblico Ministero (art. 417 c.c.).

Infine, l’interdizione può anche conseguire all’istanza del Pubblico Ministero, allorché rilevi la sussistenza dei presupposti per l’interdizione in un procedimento per l’inabilitazione o l’amministrazione di sostegno.

1.2 Procedimento

Una volta promosso il giudizio, il giudice non potrà emanare sentenza costitutiva di interdizione senza aver proceduto all’esame del soggetto. A tal fine può farsi assistere da un consulente tecnico, disporre d’ufficio i mezzi istruttori utili ai fini del giudizio, nonché interrogare i parenti prossimi e assumere le necessarie informazioni (art. 419 c.c.).

Se dall’istruttoria dovesse emergere l’opportunità di assistere l’interdicendo durante il procedimento, il Tribunale può nominare un tutore provvisorio (art. 419, comma 2, c.c.). Il decreto di nomina del tutore provvisorio dev’essere annotato immediatamente dal cancelliere nell’apposito registro e comunicato entro dieci giorni all’ufficiale dello stato civile per le annotazioni a margine dell’atto di nascita (art. 427 c.c.).

La sentenza costitutiva di interdizione produce i suoi effetti dal giorno della pubblicazione (art. 421 c.c.), salvo che il provvedimento sia disposto nei riguardi del minorenne non emancipato nell’ultimo anno della sua minore età. In tal caso, l’interdizione ha effetto dal giorno del raggiungimento della maggiore età.

L’ufficio di tutore può essere mantenuto per un periodo di tempo non superiore a dieci anni, ad eccezione del coniuge, della persona stabilmente convivente, degli ascendenti e dei discendenti (art. 426 c.c.).

Il provvedimento di interdizione può essere revocato su istanza del coniuge, dei parenti entro il quarto grado o degli affini entro il secondo grado, del tutore o su richiesta del Pubblico Ministero, nell’ipotesi in cui sia cessata la causa di interdizione (art. 429, comma 1, c.c.).

L’accertamento dev’essere compiuto dal giudice tutelare, il quale dovrà vigilare per statuire se la causa di interdizione sia effettivamente venuta meno. In caso affermativo egli provvederà ad informare il Pubblico Ministero (art. 429, comma 2, c.c.).

Nel corso del giudizio di revoca, qualora il giudice ritenga fondata l’istanza di interdizione, ma il soggetto non ancora pienamente capace di agire, può revocare l’interdizione e dichiarare l’inabilitazione (art. 423, comma 1, c.c.).

1.3 Atti compiuti dall’interdetto

In seguito alla pubblicazione della sentenza, l’interdetto versa in una situazione di incapacità di agire assoluta, al punto che gli atti da lui posti in essere possono essere annullati.

Tuttavia, l’art. 427, comma 1, c.c., così come novellato dalla l. n. 6/2004, pone un’eccezione alla regola generale statuendo che la sentenza di interdizione può indicare taluni atti di ordinaria amministrazione idonei ad essere compiuti dall’interdetto senza l’assistenza del tutore.

Invece, sono annullabili tutti gli atti compiuti dall’interdetto dopo la sentenza di interdizione su istanza del tutore, dell’interdetto, dell’erede e dei suoi aventi causa (art. 427, comma 2, c.c.).

Analogo trattamento ricevono gli atti compiuti da persona che sebbene non interdetta, si provi essere stata per qualsiasi causa, anche transitoria, incapace di intendere o di volere nel momento in cui sono stati posti in essere (art. 428, comma 1, c.c.).

2. Inabilitazione

L’art. 415 c.c. dispone che possono essere inabilitati i maggiori d’età infermi di mente, il cui stato non sia talmente grave da far luogo all’interdizione; coloro che per prodigalità o per abuso abituale di bevande alcoliche o di stupefacenti espongono sé o la loro famiglia a gravi pregiudizi economici; nonché il sordo o il cieco dalla nascita se non hanno ricevuto un’educazione sufficiente, salvo che non risulti necessaria l’interdizione.

L’inabilitazione, a differenza dell’interdizione, non comporta l’incapacità assoluta di agire, ma l’impossibilità per l’inabilitato di porre in essere atti di straordinaria amministrazione senza l’assistenza del curatore e l’autorizzazione del Giudice Tutelare o del Tribunale.

Diversamente dal tutore, il curatore non si sostituisce alla volontà dell’inabilitato, ma semplicemente la integra, prestando il proprio consenso.

Le disposizioni sul procedimento di interdizione trovano anche applicazione in materia di inabilitazione.

3. Amministrazione di sostegno

L’istituto dell’amministrazione di sostegno è stato introdotto dalla l. n. 6/2004 per creare un sistema di tutela della persona che fosse lontano dalla dicotomia interdizione/inabilitazione, chiuse in un sistema custodialistico ed alienante dell’incapace.

Invero, l’art. 1 della legge esprime a chiare lettere l’intento di creare un tertium genus di sistema di tutela volto a creare un provvedimento ad hoc modulato sulle esigenze dell’incapace e che limitasse il meno possibile la capacità di agire.

L’amministrazione di sostegno ha carattere assistenziale del soggetto che, a causa di un’infermità, ovvero di una menomazione fisica o psichica, si trovi impossibilitato, anche temporaneamente, a provvedere ai propri interessi (art. 404 c.c.).

L’operatività dell’istituto è decisamente ampia, potendo, per esempio, applicarsi al malato terminale, al disabile, o al malato di alzheimer.

Il provvedimento è disposto dal giudice tutelare con decreto motivato (art. 404 c.c.).

L’istanza può essere presentata dai legittimati a chiedere l’interdizione, dal soggetto stesso o da coloro che sono impegnati nella cura o assistenza del potenziale beneficiario (art. 406 c.c.).

Riguardo la scelta dell’amministratore di sostegno, l’art. 408 c.c. detta il criterio guida della cura e gli interessi della persona del beneficiario.

Inoltre, il legislatore attribuisce al soggetto stesso il potere di disporre nel caso di futura incapacità, nominando il proprio amministratore di sostegno mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata.

Inoltre, nello svolgimento dei suoi compiti, l’amministratore di sostegno deve tener conto delle esigenze dell’amministrato e ha l’obbligo di informarlo circa gli atti da porre in essere e, in caso di dissenso, dev’essere senza indugio informato il Giudice Tutelare (art. 410 c.c.).

Il beneficiario conserva la capacità di agire in ordine agli atti in cui non è necessario l’intervento o la rappresentanza esclusiva dell’amministratore (art. 410 c.c.).

Fonti normative

Codice civile: articoli da 404 a 432.

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