Il prezzo medio per l'impugnazione di un licenziamento

Impugnare un licenziamento: costi e procedure. Una panoramica sul prezzo medio e suggerimenti per navigare efficacemente il processo legale in caso di licenziamento ingiusto.

prezzo medio per impugnare un licenziamento

L’atto di risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro è comunemente definito “licenziamento”. Esso, per essere valido ed efficace, necessita del rispetto di alcuni requisiti, di forma e di sostanza, espressamente previsti dalla legge.

Va da sé, dunque, che il licenziamento non sempre è legittimo e che, quindi, possono verificarsi delle ipotesi nelle quali il lavoratore intenda impugnarlo. Mettere in pratica tale decisione, tuttavia, impone di fare i conti con le spese e i costi connessi alla sua esecuzione concreta. Il lavoratore che intenda far valere l’illegittimità del licenziamento, infatti, dovrà – in primo luogo – avvalersi dell’assistenza tecnica di un avvocato.

Ecco, quindi, il primo costo da affrontare ovvero quello relativo al compenso del professionista, evitabile solo ove si sia in possesso dei requisiti per l’ammissione al beneficio del patrocinio a spese dello Stato (cfr infra). Dettò ciò, va aggiunto che il costo per l’assistenza professionale di un avvocato non è fisso, essendo stato abolito l’obbligo, prima vigente, di rispettare i minimi tariffari indicati dal Ministero della Giustizia.

Oggi, infatti, ciascun avvocato può concordare col proprio cliente la misura del compenso e le relative modalità di erogazione. E’ dunque possibile che l’avvocato adatti la propria richiesta economica ai più diversi parametri, quali la difficoltà del caso, il tempo e/o il numero di udienze cui prevede di presenziare (che, invero, nel rito del lavoro difficilmente saranno superiori a tre/quattro).

Ciò premesso, va detto che l’avvocato, se non è tenuto a rispettare vincoli specifici nella determinazione del proprio compenso, ha comunque l’obbligo di sottoporre al cliente, prima dell’accettazione dell’incarico, un preventivo redatto per iscritto.

La mancata predisposizione di esso e la conseguente mancanza di accordo fra le parti riguardo gli importi da corrispondere al professionista determinano la conseguenza per cui quest’ultimo verrà stabilito dal Giudice del Lavoro in base al D.M. 55/2014, recante il vigente tariffario forense.

Detto ciò, possiamo analizzare quanto costa impugnare un licenziamento, tenendo conto della procedura da seguire e legislativamente prevista per porre in essere, concretamente, tale attività. L’impugnazione del licenziamento, infatti, consta di diverse fasi (almeno due) in quanto, in primo luogo, il legale incaricato dal lavoratore, dovrà, entro 60 giorni dal ricevimento della lettera contenente la comunicazione di risoluzione del rapporto di lavoro, inviare al datore di lavoro – a mezzo raccomandata a/r – una contestazione scritta con la quale dovrà altresì rendere manifesta la volontà di impugnare il provvedimento datoriale.

Ricevuta l’impugnativa stragiudiziale di licenziamento, il datore di lavoro può decidere di proporre un tentativo di conciliazione che avrà luogo o innanzi ad un sindacato ovvero presso la Direzione Territoriale del Lavoro.

Tuttavia, qualora ciò non avvenisse, entro 180 giorni successivi all’invio dell’impugnativa stragiudiziale di licenziamento, qualora le parti non si concilino, sarà necessario passare alla fase “giudiziale” dell’impugnativa che si sostanzia nel deposito, da parte dell’avvocato che il lavoratore avrà incaricato e presso la Sezione Lavoro del Tribunale, di un ricorso per impugnativa di licenziamento.

Tornando alla questione dei costi dell’impugnativa, va detto che la lettera, in verità, può essere scritta sia da un avvocato che dallo stesso lavoratore o da un sindacalista. Per questo motivo, molti studi legali non fanno pagare tale attività, tenuto anche conto della genericità della comunicazione che non richiede specifiche contestazioni in diritto. Dunque, il più delle volte, la lettera di contestazione del licenziamento non rappresenta un costo della procedura di impugnativa.

Ovviamente, poiché, come detto, ogni professionista è libero di stabilire una propria tariffa, è opportuno chiarire anche tale aspetto, prima di conferire l’incarico. Nel caso sia necessario attivare la fase giudiziale di impugnativa del licenziamento, le parti ovvero l’avvocato ed il cliente licenziato, dovranno concordare il compenso tenendo conto che è vietato il patto di c.d. “quota/lite”.

Il costo di tale fase oscilla anche in considerazione della complessità, della durata della causa e dell’importo da riscuotere da parte del datore di lavoro. Mediamente, il costo oscilla fra i 3 mila e 7 mila euro. Oltre al compenso del legale, bisogna pagare anche il contributo unificato, ossia la tassa prevista per i giudizi civili che non è dovuta solo ove il lavoratore sia titolare di un reddito imponibile ai fini Irpef, risultante dall’ultima dichiarazione, inferiore a 34.107,72 euro (ossia pari al triplo dell’importo previsto per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato).

Qualora il lavoratore non possa godere dell’esenzione dal versamento del contributo unificato, dovrà pagare quest’ultimo in base al valore della causa ovvero tenendo conto di una tabella, suddivisa per scaglioni di valore, facilmente reperibile tramite internet. E’ altrettanto vero, tuttavia, che avendo molta più familiarità con tali operazioni, solitamente il pagamento del contributo unificato viene delegato all’avvocato.

Oltre al contributo unificato, il cui importo è variabile, il lavoratore che intende impugnare il licenziamento dovrà pagare i c.d. “diritti forfettari” ovvero acquistare, in tabaccheria, una marca da bollo dell’importo di € 27,00. Come accennato, l’avvocato non ha diritto al compenso solo ove possieda i requisiti per l’ammissione al beneficio del patrocinio a spese dello Stato ovvero ove sia titolare di un reddito non superiore a 11.493,82 euro risultante dall’ultima dichiarazione Irpef (considerati anche i familiari conviventi). 

TERMINI PER IMPUGNARE IL LICENZIAMENTO

Affinché l’impugnazione del licenziamento da parte del lavoratore che ritenga di aver subito un’ingiustizia possa sortire gli effetti auspicati è necessario che sia proposta in piena adesione di uno specifico iter, caratterizzato, altresì, dalla stretta osservanza di termini perentori. Rammentando che il licenziamento da parte del datore di lavoro deve sempre essere comunicato per iscritto (se non riveste la forma scritta, infatti, il licenziamento si considera nullo) al lavoratore, quest’ultimo ha a disposizione sessanta giorni per impugnarlo.

Il termine suddetto decorre dal momento in cui il lavoratore riceve la lettera che gli comunica, in uno con le ragioni che supportano tale decisione, il licenziamento. All’impugnazione del licenziamento il lavoratore (anche eventualmente tramite il suo legale di fiducia) dà avvio mediante lettera (di solito inviata a mezzo di raccomandata con ricevuta di ritorno) nella quale formula contestazione della decisione aziendale di porre fine al rapporto di lavoro, avendo cura di esporre sinteticamente le ragioni per le quali ritiene il provvedimento adottato illegittimo. Dalla data di spedizione del plico contenente la lettera di impugnazione da parte del lavoratore (farà fede il timbro postale apposto dall’agente postale incaricato) inizia a decorrere un ulteriore termine, pari a centottanta giorni, entro il quale è necessario procedere con il deposito del ricorso giudiziale presso la cancelleria del Tribunale del Lavoro competente per territorio. Alla redazione del ricorso provvede un avvocato (meglio se specializzato nella materia del diritto del lavoro, in modo che ci si faccia affiancare da qualcuno che è perfettamente a conoscenza della procedura da seguire).

Nell’atto è necessario che si indichi esplicitamente il provvedimento che si intende contestare nonché i motivi che concorrerebbero a renderlo illegittimo, facendo espresso richiamo alle motivazioni che sono espressamente indicate nella lettera di licenziamento. Una volta depositato il ricorso il Giudice, presone atto, fissa la data dell’udienza di discussione nel merito e l’avvocato del lavoratore è onerato dall’obbligo di notificare al datore di lavoro copia del ricorso depositato unitamente al decreto di fissazione dell’udienza. Prenderà a questo punto avvio il processo in esito al quale il giudice deciderà o meno sulla legittimità del provvedimento di licenziamento. Una piccola precisazione si rende, comunque, necessaria.

Nel medesimo termine entro il quale il lavoratore potrebbe procedere all’invio della raccomandata di contestazione al datore di lavoro ed in alternativa ad essa è data la possibilità di proporre un tentativo di conciliazione al fine di comporre in via bonaria la vertenza.

Orbene, in tale caso possono verificarsi sostanzialmente tre diverse ipotesi:

  • il tentativo di conciliazione, sebbene accettato dal datore di lavoro, sortisce esito negativo
     
  • il lavoratore dovrà procedere al deposito del ricorso presso la cancelleria del Tribunale competente entro il termine decandenziale di centottanta giorni dall’impugnativa stragiudiziale, tenendo, comunque, in considerazione il fatto che tale ultimo termine resta sospeso per tutta la durata del tentativo di conciliazione e per il venti giorni successivi alla sua conclusione;
     
  • il datore di lavoro non si presenta di fronte alla commissione istituita entro il termine di venti giorni successivi alla richiesta di conciliazione formulata dal lavoratore • il lavoratore deve procedere al deposito del ricorso giudiziale introduttivo entro il termine di decadenza di sessanta giorni decorrenti dalla scadenza del ventesimo giorno utile per l’inizio del tentativo di conciliazione;
     
  • il datore di lavoro rifiuta di aderire alla richiesta di conciliazione formulata dal lavoratore:
     
  • il deposito del ricorso giudiziale deve essere effettuato entro sessanta giorni da quello in cui è pervenuto il diniego.

Prezzo medio dell’impugnativa a Milano, Roma e Napoli

Sulla base di una sommaria ricerca su internet è emerso che il costo dell’impugnativa di licenziamento varia, sotto il profilo economico, nelle principali città d’Italia:

  • A Milano, in particolare, si possono spendere fra i 70 e gli 80 euro per una consulenza, a seconda che venga effettuata in via telematica ovvero in studio, senza affrontare costi per la lettera di impugnativa, mentre – solitamente – il costo dell’assistenza giudiziale viene parametrato al valore dell’affare ovvero in base al vigente tariffario forense, contenuto nel D.M. 55/2014;
  • A Roma, invece, esistono vari CAF che, previa iscrizione, offrono gratuitamente l’assistenza stragiudiziale mentre quella giudiziale, nella maggior parte dei casi, viene determinata, come a Milano, in base al tariffario forense;
  • A Napoli, infine, si pagano generalmente € 50,00 per un primo appuntamento di valutazione (gratuito per i soggetti con reddito Irpef inferiore a € 11.493,82) e il costo della fase giudiziale è determinato in base al tariffario forense.

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