La nozione di “coniuge” va estesa ai matrimoni omosessuali

Può la legislazione locale di un Paese membro dell’Ue andare a ostacolare la libertà di circolazione garantita dagli Stati membri dell’Unione? A quanto pare sì, ma ha torto. È il verdetto emesso dalla Corte di giustizia Ue giungendo a sentenza per la causa C-673/16.

Il caso

Il caso è quello di R.A.C., cittadino romeno, e R.C.H., cittadino americano. I due hanno convissuto negli USA per quattro anni, per poi sposarsi a Bruxelles nel 2010.

Nel 2012 decisero di chiedere alle autorità romene il rilascio dei documenti utili affinché R.C.H. potesse vivere assieme al coniuge in Romania. Sebbene la domanda fosse fondata sulla direttiva riguardante la libera circolazione dei cittadini all’interno dell’Unione («Il coniuge di un cittadino dell’Unione deve poter raggiungere quest’ultimo nello Stato membro in cui soggiorna»), le autorità locali decisero di non concedere a R.C.H. il diritto di soggiorno.

Motivo: il soggetto non può figurare come “coniuge” di un cittadino dell’Unione, in quanto la normativa romena non riconosce i matrimoni omosessuali.

I due, quindi, decisero di portare il caso all’attenzione della Curtea Constitutională romena, la quale aveva chiesto alla Corte di giustizia se a R.C.H., in qualità di coniuge di un cittadino dell’Unione, debba essere concesso il diritto di soggiorno.

L’avvocato generale, nelle sue conclusioni, provò a chiarire il caso: secondo lui non si trattava di una vicenda legata al riconoscimento o meno dei matrimoni omosessuali, quanto una questione che ha a che fare con la pura normativa sulla libera circolazione delle persone. Uno Stato membro, a livello locale, ha sì la libertà di riconoscere o meno tale forma di matrimonio, ma non può interferire con normative comuni a tutti gli Stati.

La normativa sulla libera circolazione vale per tutti gli Stati, a prescindere dal luogo in cui i coniugi hanno celebrato le nozze. Il titolo di “coniuge”, all’interno della norma europea, si riferisce a un rapporto fondato sì sul matrimonio ma senza distinzione alcuna sul sesso dei coinvolti.

La sentenza

La sentenza della Corte, come già detto, giunge alla stessa conclusione dell’avvocato generale.
Per prima cosa si ricorda che la direttiva riguardante la libera circolazione non assicura affatto il diritto di soggiorno derivata dalla situazione familiare. Tuttavia, in alcuni casi può succedere che i familiari non-Ue di un cittadino dell’Unione, possono vedersi riconoscere un diritto simile in base all’art. 21, par. 1, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (ovvero, la libertà di circolazione).

Nell’ambito di tale trattativa, la concezione di “coniuge” deve essere neutra, in quanto designa una persona unita a un’altra da vincolo matrimoniale, comprendendo anche coniugi dello stesso sesso. Ciò, comunque, non va a ledere la libertà di riconoscimento del matrimonio omosessuale da parte degli Stati membri, in quanto ogni Stato è libero di decidere sulla propria politica e costituzione.

Tuttavia, il rifiuto espresso da uno Stato membro di riconoscere, ai soli fini della concessione di un diritto di soggiorno derivato a un cittadino di uno Stato non-Ue, un matrimonio legalmente contratto in un altro Stato membro è un atto tale per cui si andrebbe a ostacolare l’esercizio di libera circolazione e soggiorno. Ciò comporterebbe il fatto che, tale diritto, può variare in base alla discrezione del singolo Stato membro, a proposito dei matrimoni tra persone dello stesso sesso.

In poche parole, l’obbligo di riconoscimento di un matrimonio omosessuale ai soli fini del riconoscimento del diritto di libera circolazione, non va a intaccare la normativa nazionale e non attenta né l’identità nazionale né l’ordine pubblico dello Stato membro interessato.

La Corte, poi, tiene a precisare che il diritto di circolazione può variare in base a caratteristiche che non abbiano a che fare con la cittadinanza del soggetto, ma che queste devono essere basate su considerazioni oggettive di interesse generale e siano proporzionate allo scopo legittimamente perseguito dal diritto nazionale. In questo caso, la giustificazione dell’ordine pubblico, non può essere determinata unilateralmente da ciascun Stato membro.

Un’ultima precisazione da parte della Corte: la libera circolazione può essere limitata da una norma solo se questa è conforme ai diritti fondamentali espressi dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. In questo caso, l’art. 7 garantisce il diritto al rispetto della vita privata e familiare.

Emanuele Secco, Giuridica.net

Fonte

IlSole24Ore