Assegno di invalidità per italiani e stranieri regolari

L’unica cosa certa in tempi in cui la massiccia immigrazione sta senz’altro cambiando le certezze e l’assetto del nostro modello di società, è che il fenomeno stesso porta lo Stato a riflettere sulla bontà o meno della normativa in vigore. Questo succede in ogni ambito della vita, in quanto è tutto legato a un semplice concetto: il nostro essere umani.

La pensione di invalidità

L’ultimo caso riguarda la ricezione della pensione di invalidità. Proprio in questi giorni, la Corte di Cassazione (con ordinanza n. 23763 del primo ottobre 2018) ha affermato che tale misura di previdenza non deve tirare in ballo alcuna differenza tra italiani e stranieri regolari. In questo senso, quindi, l’Inps non può erogare l’assegno in base alla presenza o meno di un permesso di soggiorno di lungo termine e, di conseguenza, un Tribunale non può dargli ragione.

Il diritto e il godimento della pensione di invalidità

Il caso esaminato dai giudici di Cassazione è quello di una ragazza colombiana, la quale ha deciso di fare ricorso dopo che la Corte d’Appello di Genova aveva stabilito che per l’Inps era lecito rifiutare il pagamento dell’assegno assistenziale a chi fosse sprovvisto di un permesso di soggiorno di cinque anni. L’assegno, quindi, le sarebbe stato corrisposto solo per gli anni successivi alla data di entrata in possessione del permesso.

Ad aiutare il giudizio dei giudici è la Consulta – in particolare la sentenza n. 306/2008 – che aveva già sentenziato in merito alla questione esaminata, bocciando la norma che non prevedeva alcuna indennità di accompagnamento per chi fosse sprovvisto allora di carta di soggiorno e ora di permesso di soggiorno Ce. Anche allora, infatti, ci si era già mossi contro le norme che discriminassero i cittadini stranieri regolari basandosi sul semplice requisito della carta di soggiorno come termine fondamentale per ottenere un qualsiasi tipo di indennità, che fosse di accompagnamento o di invalidità.

La Corte Costituzionale, già allora, era stata molto chiara, indicando come impossibile una disparità di trattamento tra cittadini stranieri e italiani in tema di tutela dei disabili. I requisiti previsti dallo Stato devono essere uguali per tutti, andando così a prevedere un equo trattamento in base alla persona e alle condizioni di vita della stessa tenendo conto anche della condizione familiare in cui è inserita. In caso contrario si entra in contrasto sia con la nostra Costituzione sia con la Convenzione europea dei diritti dell’Uomo, che all’art. 14 riporta testuali parole:

«Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o quelle di altro genere, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita od ogni altra condizione.»

Quando si tratta di diritti fondamentali dell’uomo, infatti, è impossibile ritenere possibile l’introduzione di norme discriminatorie, come espresso da Strasburgo nell’articolo appena citato. Conclusione già adottata dalla Cassazione nella sentenza n. 4110/2012 e riportata nel caso in esame.

Il ricorrente, nella persona dell’amministratore di sostegno della figlia, è quindi giunto a un giudizio favorevole.

Emanuele Secco, Giuridica.net

Fonte

Il Sole 24 Ore