L’esclusione di un prossimo congiunto dalla successione

L’esclusione di un prossimo congiunto dalla successione ereditaria può avvenire sia per una libera scelta del testatore e sia quando abbia compiuto atti lesivi nei confronti del testatore stesso o dei suoi familiari. Vediamo i dettagli.

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1. La diseredazione: che cos’è

L’argomento che tratteremo oggi riguarda il tema del diritto successorio, e più precisamente la disciplina relativa alla diseredazione e l’esclusione dalla successione di un prossimo congiunto.

La diseredazione consiste nell'esclusione di un parente dalla successione nell’eredità, effettuata attraverso una precisa disposizione testamentaria, direttamente dal testatore nel proprio testamento.

Per diseredare un soggetto, non è necessario che egli abbia compiuto attività lesive della libertà testamentaria oppure posto in essere comportamenti pregiudizievoli nei confronti del testatore o dei suoi prossimi congiunti.

Ciò in quanto, la diseredazione si concretizza nella libera scelta del testatore, di voler escludere qualcuno dalla successione nei beni e rapporti a lui facenti capo, per il momento successivo alla sua morte, a prescindere dal compimento o meno di atti pregiudizievoli.

1.1 Diseredare è possibile, ma attenzione ai limiti di legge

Il testatore è libero di escludere un parente dalla successione nel proprio patrimonio ereditario, ma tuttavia deve rispettare i limiti indicati dalla legge.

Il testatore, infatti nella redazione del proprio testamento, è tenuto a rispettare le quote di legittima, che l’ordinamento riconosce e riserva obbligatoriamente ai prossimi congiunti, e che non possono in alcun modo essere lese dal testatore attraverso disposizioni testamentarie, potendo egli disporre liberamente del proprio patrimonio, soltanto nei limiti della quota disponibile.

I soggetti, a cui deve essere riconosciuta necessariamente una porzione ben precisa del patrimonio ereditario, sono gli eredi legittimari, ossia il coniuge ed i figli del defunto, ed in loro mancanza gli ascendenti del defunto.

Ciò significa, che il testatore può diseredare un parente dalla propria successione, a condizione che rispetti le quote di legittima riservate ai suoi prossimi congiunti, pena in caso contrario la possibilità per quest’ultimi di esercitare l’azione di riduzione.

2. L’indegnità a succedere: di che cosa si tratta?

L’indegnità a succedere, costituisce un'ipotesi ben diversa dalla diseredazione, dal momento che essa opera per espressa previsione legislativa.

In tal caso, infatti, è l’ordinamento a prescrivere l’esclusione di un soggetto dalla successione, in quanto si è reso autore di comportamenti gravi verso il testatore o un suo prossimo congiunto oppure abbia cercato di alterare la volontà testamentaria.

A differenza della diseredazione, in cui il testatore può scegliere liberamente di diseredare un parente, escludendolo dalla propria successione, purché rispetti le quote di legittima, nei casi di indegnità, il chiamato all’eredità non è ritenuto meritevole di acquisire la porzione del patrimonio ereditario a lui spettante, direttamente dall’ordinamento, a causa del suo comportamento deplorevole e pertanto inidoneo a conservare i beni ereditari.

L’indegnità a succedere, tuttavia, non impedisce l’acquisto dell’eredità, non operando in via automatica, in quanto è necessario che i soggetti interessati propongano una specifica domanda giudiziale dinanzi all’autorità giudiziaria, affinché venga accertato il comportamento pregiudizievole, tenuto dall’indegno e di conseguenza la sua esclusione dalla successione.

L’indegnità. quindi produce i suoi effetti, dal momento in cui viene pronunciata la sentenza dichiarativa della causa d’indegnità.

Essa, ha effetto retroattivo e pertanto una volta accertata l’indegnità, l’indegno sarà tenuto a restituire sia la porzione dell’eredità ricevuta e sia i frutti che abbia percepito dai beni ereditari medesimi, con l'esclusione inoltre dall’usufrutto e dall’amministrazione legale dei beni, ricevuti dai figli minori per effetto della successione.

La domanda d’accertamento dell’ipotesi di indegnità, può essere proposta, entro dieci anni dall’apertura della successione oppure dal giorno in cui è stata scoperta la causa d’indegnità.

La domanda giudiziale, non può essere proposta da qualsiasi interessato, ma soltanto dai soggetti, che per effetto della pronuncia d'indegnità subentrerebbero nella qualità di erede al posto dell’indegno oppure qualora tali soggetti non vogliano o possano accettare l’eredità, da parte di coloro che li succederebbero per rappresentazione.

2.1 I casi d’indegnità e la riabilitazione dell’indegno

L’indegnità a succedere, è disciplinata dall’art. 463, cod. civile, che prevede l’esclusione dalla successione, quando ricorrono i casi d’indegnità ossia quando:

  • il chiamato a succedere abbia attuato azioni lesive nei confronti del defunto o dei suoi prossimi (assassinio o tentato omicidio, calunnia, falsa testimonianza, o perdita della responsabilità genitoriale) oppure abbia alterato la volontà testamentaria oppure nascondendo o distruggendo il testamento;
  • oppure abbia dolosamente attraverso raggiri con violenza di un male ingiusto circuito il testatore affinché redasse il testamento oppure procedesse a revocarlo e/o a mutarlo oppure ne impedisse la redazione;
  • oppure abbia redatto un testamento falso oppure se ne è servito nonostante conoscesse la falsità.

Il codice civile, disciplina anche la riabilitazione dell’indegno, da parte del testatore, che pur essendo a conoscenza di un'ipotesi d’indegnità a succedere, preveda comunque che il chiamato all’eredità, possa subentrare nella titolarità dei beni e rapporti a lui facenti capo.

Al riguardo, l’art. 466, cod. civile, prevede la possibilità che il diseredato venga riabilitato dal testatore della successione in gestione tramite atto pubblico ovvero per testamento.

Accanto alla riabilitazione espressa, il codice civile disciplina anche l’ipotesi della riabilitazione implicita, la quale si verifica qualora il testatore includa nel proprio testamento anche il soggetto ritenuto indegno, a condizione però che egli sia a conoscenza della causa d’indegnità medesima.

Roberto Ruocco

Fonti normative

Codice civile: articoli 463 – 466.

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