Se il datore di lavoro non concede la malattia ad un dipendente?

Quando il dipendente ha necessità di alcuni giorni di malattia, la decisione di concederli non spetta al datore di lavoro, bensì al medico curante, l’unica persona in grado di stabilire le giornate di assenza per le relative cure.

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1. Cosa fare per chiedere i giorni di malattia

La prima cosa da fare è andare dal proprio medico. In presenza di una patologia, il medico curante sottopone il lavoratore ad una visita alla fine della quale rilascia un certificato, il quale poi verrà trasmesso in via telematica all’Inps e, sarà visibile anche all’azienda.

In questi casi, dunque, il datore di lavoro non può opporsi, ma può richiedere la visita fiscale o effettuare controlli di altro genere, avvalendosi ad esempio di un investigatore privato, se si sospetta una falsa malattia. In presenza di una malattia diagnosticata, tuttavia, il lavoratore ha il diritto di assentarsi da lavoro entro il periodo di comporto.

La legge tutela, infatti, la salute sia del lavoratore malato sia quella degli eventuali colleghi o clienti di questo, tenuto conto del fatto che, qualora lo stesso lavoratore rientri in anticipo per mera volontà ed imposizione del datore di lavoro, esporrebbe al rischio contagio chi gli sta intorno. Per lo stesso motivo lo stesso dipendente non sarà libero di tornare a lavoro prima della fine del processo di guarigione di cui alla prognosi.

L’assenza per malattia può poi essere estesa, su richiesta del dipendente non ancora guarito, qualora i giorni di malattia originariamente concessi si siano rivelati insufficienti per una piena guarigione. Il datore di lavoro non può, dunque, in alcun modo ordinare al proprio dipendente di rientrare anticipatamente rispetto al termine del periodo prescritto.

Secondo quanto stabilito dal messaggio INPS n. 6973/2014, il datore di lavoro può riammettere in servizio il lavoratore in via anticipata rispetto al termine della prognosi, soltanto previa ricezione di un certificato medico che rettifichi tale data, dichiarando l’avvenuta guarigione del dipendente.

Il potere del datore di lavoro è quindi circoscritto al solo accertamento della sussistenza dei presupposti, rappresentati dall’esistenza di un’infermità e dei suoi effetti temporaneamente invalidanti. Ne deriva che, in virtù della certificazione del carattere temporaneamente invalidante della malattia, l’assenza per motivi di salute non può essere negata.

2. Il periodo di comporto

Si intende per periodo di comporto il termine massimo di assenza dal lavoro per malattia, sia continuativa (comporto secco) sia frazionata (comporto per sommatoria), durante il quale il lavoratore in malattia ha diritto alla conservazione del proprio posto di lavoro. La durata massima è individuata dai Contratti Collettivi di Lavoro e, varia in base al contratto collettivo da applicare.

Il comporto degli impiegati, l’unico espressamente individuato dalla legge, è di massimo 3 mesi quando l’anzianità di servizio è inferiore ai dieci mesi e, sei mesi in tutti gli altri casi. Gli stessi CCNL stabiliscono che, superato il periodo di comporto, il datore di lavoro ha la possibilità di licenziare il dipendente.

3. Strumenti alternativi per non superare il periodo di comporto

In alternativa, per non superare il periodo di comporto, la legge riconosce alcuni strumenti di cui può avvalersi il lavoratore, come l’aspettativa non retribuita ovvero le ferie residue. Nel primo caso, ammesso solo secondo alcuni contratti collettivi, il datore di lavoro è tenuto ad avvertire il lavoratore di tale possibilità e, potrà rifiutare la domanda di aspettativa non retribuita soltanto per gravi motivi.

Nell’ipotesi di ferie non godute, invece, il datore di lavoro non è né tenuto ad avvisare il lavoratore di questa facoltà, né a concederle. La Corte di Cassazione, tuttavia, ha stabilito l’obbligo di concedere la fruizione delle ferie al lavoratore in stato di malattia che ne faccia richiesta per evitare di essere licenziato per aver superato il periodo di comporto.

Tale obbligo viene meno, in ogni caso, quando il dipendente può avanzare domanda di collocamento in aspettativa non retribuita, ovvero ricorrere a strumenti alternativi contrattualmente riconosciuti. La giurisprudenza ha (ri)affermato l’obbligo di concedere le ferie richieste in tali ipotesi da parte del lavoratore, qualora non sussistano esigenze organizzative dell’azienda che ne impediscano la fruizione.

Spesso, però, sentiamo di lavoratori licenziati solo perché malati. Se, in linea generale, è precluso al datore di lavoro procedere al licenziamento del lavoratore malato, vi sono, tuttavia, alcune eccezioni, che sono:

- Superamento del periodo di comporto

- Licenziamento per giusta causa

Nelle suddette ipotesi, il datore di lavoro che intimerà il licenziamento non andrà incontro alle conseguenze sfavorevoli, tipiche del licenziamento senza giusta causa, quali la reintegrazione nel posto di lavoro e il risarcimento dei danni.

Beninteso, sarà bene avvalersi di una consulenza legale, rivolgendosi anche ad avvocati online esperti di diritto del lavoro, i quali sapranno certamente consigliare i provvedimenti più opportuni da adottare.

Vediamo ora com’è regolata la malattia e quando si verificano concretamente le suddette ipotesi.

4. Diritto ad assentarsi per malattia

Ciascun dipendente ha il diritto ad assentarsi dal lavoro per motivi di salute e ad essere ugualmente retribuito.

La retribuzione è corrisposta dal datore di lavoro nei primi 3 giorni, mentre dal 4° giorno in poi è corrisposta dall’INPS ed essa sarà così ripartita:

- Fino al 4° giorno di malattia: 100% della paga media giornaliera

- Dal 4° al 20° giorno di malattia: 50% della paga media giornaliera

- Dal 21° al 180° giorno: 66,66% di paga media giornaliera

Riguardo ai dipendenti pubblici il discorso è parzialmente diverso. Essi, infatti, percepiscono un’indennità pari all’80% della paga media giornaliera per l’intera durata della malattia.

Stando così le cose, è nell’interesse sia del datore di lavoro sia dell’INPS accertarsi della veridicità della malattia lamentata dal lavoratore. E questo accertamento viene fatto sottoponendo il lavoratore alla visita del medico fiscale, visita che viene eseguita presso il suo domicilio in determinate fasce orarie, che sono:

- Dipendenti privati: dalle 10.00 alle 12.00 e dalle 17.00 alle 19.00

- Dipendenti pubblici: dalle 9.00 alle 13.00 e dalle 15.00 alle 18.00

E se il lavoratore non dovesse essere a casa?

A dispetto di quanto si potrebbe credere, il lavoratore non potrà essere licenziato. Invero, il lavoratore ha la possibilità di giustificare l’assenza e, solo qualora si renda irreperibile in maniera ingiustificata per la terza volta consecutiva, sarà soggetto a sanzioni pesanti che possono portare alla perdita dell’indennità.

4.1 Denuncia all’Inps

Il lavoratore, che lamenta l’impossibilità di lavorare per motivi di salute, deve recarsi nel più breve tempo possibile (e comunque entro 48 ore) dal proprio medico di famiglia e avvertire il suo datore di lavoro. Una volta accertata la patologia con relativa diagnosi e prognosi, il medico di famiglia dovrà fare denuncia (cioè dichiarare) all’Inps la malattia del lavoratore. A seguito di questa comunicazione, il lavoratore viene di regola sottoposto alla visita fiscale.

5. Superamento del periodo di comporto

Il lavoratore può assentarsi per un periodo massimo di tempo, il cd. periodo di comporto, la cui durata è stabilita dalla legge, dai contratti collettivi nazionali del settore o dal singolo contratto di lavoro (art. 2110 c.c.).

Questo periodo può essere calcolato avendo riguardo:

- Anno di calendario: il lasso temporale va dall’1 gennaio al 31 dicembre dell’anno interessato

- Anno solare: il lasso temporale va dall’inizio della malattia per una durata di 365 giorni

Come abbiamo appena detto, il periodo di comporto è stabilito dalla legge o dai contratti. Ad esempio, il periodo di comporto per gli impiegati è così previsto:

- 3 mesi: riguarda tutti i lavoratori che siano impiegati da meno di 10 anni

- 6 mesi: riguarda tutti i lavoratori che siano impiegati da più di 10 anni

Qualora il lavoratore non tornasse a lavoro dopo il decorso del comporto, il datore di lavoro potrebbe procedere al licenziamento per malattia, purché la malattia non sia stata cagionata da un infortunio sul lavoro.

6. Licenziamento per giusta causa

Il datore di lavoro può licenziare legittimamente il dipendente che si trovi in malattia solamente nei casi di grave pregiudizio per l’azienda.

Pensiamo, ad esempio, a tutti quei casi in cui l’azienda occupi pochissimi dipendenti (5-6 lavoratori) e l’assenza protratta di uno di loro comporti un grave danno alla produzione aziendale. In tale caso, quest’ultimo può legittimamente procedere al licenziamento per malattia per porre rimedio al pregiudizio.

Nella suddetta ipotesi il licenziamento per malattia è giustificato dallo scarso rendimento del lavoratore malato che configura una violazione dell’obbligo di leale collaborazione posto a base del rapporto di lavoro.

Un’altra ipotesi abbastanza ricorrente è la finta malattia, considerato che tantissimi lavoratori abusano del loro diritto ad assentarsi per malattia. Pensiamo, infatti, a tutti quei dipendenti che si fingono malati per farsi un paio di giorni di vacanza al mare.

E allora che dovrà fare il datore di lavoro?

Egli potrà procedere al licenziamento legittimo per giusta causa, purché riesca a dimostrare che siamo in presenza di una finta malattia. Ciò che conta, infatti, non è quanto è scritto nel certificato medico bensì l’effettività della malattia.

La finta malattia, dunque, può essere definita come giusta causa, cioè come l’evento che rende impossibile la prosecuzione, anche temporanea, del rapporto di lavoro (art. 2119 c.c.). Sono, infatti, giusta causa le gravi inadempienze contrattuali e tutti quei fatti e comportamenti che fanno venir meno la fiducia su cui si basa il rapporto di lavoro. D’altronde, il lavoratore, fingendosi malato e impegnando il suo tempo altrove, viola i suoi doveri contrattuali, compromettendo irrimediabilmente il rapporto. Un siffatto comportamento, infatti, denota mala fede e slealtà nei confronti del datore del lavoro, determinando una sfiducia totale che rende impossibile proseguire, anche provvisoriamente, il rapporto di lavoro.

 

Fonti normative

Cass. Civ. n. 11471/2013

Cass. Civ. n. 7433/2016

Codice civile: artt. 2110, 2119 c.c.

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