Sentenze, ordinanze e decreti: Cosa sono nel diritto italiano?

Nel processo civile italiano, gli atti giurisdizionali del giudice possono assumere diverse forme, principalmente sentenze, ordinanze e decreti. Sebbene ciascuno di questi atti abbia valore legale, essi si distinguono per funzione, struttura e regime impugnatorio. L’ordinanza e il decreto, in particolare, sono provvedimenti di natura diversa, spesso utilizzati nella fase istruttoria o in contesti urgenti, e non sempre producono effetti definitivi nel giudizio. Non va tralasciata di considerare la sentenza che rappresenta l’atto tipico con cui il giudice definisce il giudizio, decidendo sul merito o su questioni pregiudiziali.  Le ordinanze, disciplinate in più punti dal Codice di Procedura Civile (es. artt. 177, 178, 186-bis e ss.), sono provvedimenti interlocutori o cautelari con cui il giudice regola il processo nelle sue fasi, impartisce ordini alle parti o decide su istanze incidentali. Non hanno normalmente efficacia decisoria sul merito, salvo eccezioni (es. ordinanza anticipatoria ex art. 186-ter c.p.c.). I decreti, invece, sono provvedimenti monocratici e non motivati, emessi in camera di consiglio senza contraddittorio, e trovano la loro principale disciplina negli artt. 134-135 c.p.c., oltre che in norme speciali (es. decreto ingiuntivo: artt. 633 ss. c.p.c.). Essi sono utilizzati in procedimenti sommari, volontari o urgenti. Comprendere la distinzione tra ordinanza e decreto è fondamentale per orientarsi nella dinamica processuale, specie in relazione agli strumenti di impugnazione, all’efficacia esecutiva dei provvedimenti e alla loro funzione all’interno del procedimento civile.  In questo articolo ci soffermeremo su due dei provvedimenti menzionati: l’ordinanza e il decreto.


Definizione di Ordinanza nel Diritto Civile

Caratteristiche principali delle Ordinanze 

Nel diritto processuale civile italiano, l’ordinanza è un provvedimento del giudice con funzione prevalentemente interlocutoria, volto a regolare lo svolgimento del processo senza definire il merito della causa. È generalmente adottata in forma scritta e motivata, salvo eccezioni, e può essere revocata o modificata dallo stesso giudice in ogni momento prima della sentenza (art. 177 c.p.c.).

Le ordinanze sono emesse con o senza contraddittorio, e possono contenere disposizioni istruttorie (come l’ammissione di mezzi di prova), organizzative o cautelari. Non sono soggette ad impugnazione autonoma, salvo che la legge lo preveda espressamente (es. ordinanza cautelare ex art. 669-terdecies c.p.c.).

La loro funzione è principalmente quella di garantire la regolarità, la celerità e l’efficacia del processo, fornendo risposte rapide e flessibili a esigenze procedurali o urgenti, senza assumere un valore decisorio definitivo sul diritto controverso, salvo nei casi previsti dalla legge.

Esempi di Ordinanze civili comuni 

Nel contesto civile, vi sono numerose ordinanze emesse dal giudice in varie fasi del processo. Un esempio tipico è l’ordinanza di ammissione delle prove, con cui il giudice dispone, ad esempio, l’audizione dei testimoni o una consulenza tecnica d’ufficio (CTU). Tali ordinanze sono adottate ai sensi degli artt. 183 e 184 c.p.c., nel corso dell’istruttoria.

Altro esempio rilevante è l’ordinanza cautelare nei procedimenti d’urgenza (ex art. 700 c.p.c. e ss.), con cui il giudice, anche prima del giudizio ordinario, adotta provvedimenti volti a prevenire un pregiudizio imminente e irreparabile.

Vi sono inoltre le ordinanze anticipate sul merito (art. 186-ter c.p.c.), che pur non concludendo il processo, riconoscono un diritto manifestamente fondato. Anche nei procedimenti speciali (come quelli di separazione e divorzio), il giudice istruttore può emettere ordinanze temporanee e urgenti (es. affidamento dei figli, assegno di mantenimento), con effetti immediati ma non definitivi.

L’art. 375 c.p.c. indica i casi i cui la Corte di Cassazione decide con ordinanza.


Definizione di decreto nel diritto Civile

Caratteristiche principali dei Decreti 

Nel diritto civile italiano, il termine "decreto" designa un provvedimento giurisdizionale emesso dal giudice in forma semplificata, privo di motivazione estesa e normalmente senza contraddittorio tra le parti, salvo i casi espressamente previsti dalla legge. Si tratta di un atto scritto con cui l’autorità giudiziaria adotta una decisione su istanze che non richiedono una vera e propria fase istruttoria o una pronuncia in forma di sentenza. La disciplina generale è rinvenibile negli articoli 134 e 135 del codice di procedura civile, che regolano la forma e la comunicazione dei provvedimenti del giudice. Il decreto può avere natura decisoria o meramente ordinatoria, a seconda dell’effetto giuridico prodotto e dell’ambito processuale in cui è emesso. In particolare, quando è previsto dalla legge, il decreto può anche assumere efficacia esecutiva immediata, come nei procedimenti per decreto ingiuntivo (art. 641 c.p.c.).

I decreti nel processo civile si distinguono per una serie di tratti caratteristici: anzitutto, sono provvedimenti adottati in forma non contenziosa, tipicamente senza previa instaurazione del contraddittorio, sebbene sia possibile la sua successiva instaurazione nei casi di opposizione (es. art. 645 c.p.c.). Il decreto è reso "inaudita altera parte", ovvero su istanza di una sola parte, e viene firmato dal giudice senza la necessità di un’udienza. Tali provvedimenti hanno spesso efficacia immediata, ma non sempre producono effetti definitivi. Infatti, possono essere revocati o modificati d’ufficio o su istanza di parte, oppure impugnati con mezzi propri, come nel caso del ricorso in opposizione o del reclamo. L’art. 135 c.p.c. prevede che i decreti siano comunicati alle parti tramite cancelleria, e tale comunicazione può essere idonea a far decorrere i termini per le eventuali impugnazioni.

Esempi di Decreti civili più frequenti 

Tra i decreti più comuni nel processo civile vi è innanzitutto il decreto ingiuntivo, disciplinato dagli articoli 633 e seguenti del c.p.c., con cui il giudice ordina al debitore il pagamento di una somma determinata su istanza del creditore munito di prova scritta. Altro esempio significativo è il decreto di omologazione, adottato a conclusione di procedure come la negoziazione assistita ex art. 6 del D.L. n. 132/2014, conv. in L. n. 162/2014. Ancora, nel procedimento per amministrazione di sostegno, il decreto è lo strumento con cui il giudice tutelare nomina l’amministratore e ne definisce i poteri (art. 405 c.c.). Degni di menzione sono anche i decreti con cui il giudice autorizza determinati atti del tutore o del curatore (artt. 374 e 375 c.c.), i decreti camerali nei procedimenti volontari, nonché i decreti in sede esecutiva, quali quelli di assegnazione o di vendita ex artt. 530 e ss. c.p.c.

Da menzionare ancora il decreto di trasferimento ossia un provvedimento giudiziario che trasferisce la proprietà di un bene immobile, precedentemente pignorato, all'aggiudicatario di un'asta giudiziaria


Differenze Giuridiche tra Ordinanze e Decreti

Differenze formali e sostanziali 

Nel sistema processuale civile italiano, ordinanze e decreti rappresentano due differenti tipologie di provvedimenti giurisdizionali, che si distinguono per forma, contenuto ed efficacia. Dal punto di vista formale, entrambi sono atti del giudice redatti in forma scritta, ma l’ordinanza è normalmente motivata (art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c.) e può essere pronunciata anche in udienza, mentre il decreto è un atto tipicamente non motivato (salvo che la legge disponga diversamente) e viene emesso fuori udienza, su istanza di parte, in forma monocratica.

Sotto il profilo sostanziale, il decreto ha in genere funzione decisoria in via provvisoria e urgente, spesso privo di contraddittorio preventivo, come accade nei procedimenti monitori o cautelari ante causam. Le ordinanze, invece, sono prevalentemente provvedimenti a contenuto ordinatorio o istruttorio, talvolta decisori, che si collocano nel corso del processo per dirigerne lo svolgimento, disporre mezzi istruttori o decidere su questioni accessorie. Tuttavia, alcune ordinanze assumono contenuto decisorio e incidono su diritti soggettivi (es. ordinanza di rigetto della sospensione ex art. 283 c.p.c.), distinguendosi pertanto dai meri atti di impulso procedimentale. La distinzione ha rilevanza anche ai fini della loro impugnabilità, come illustrato oltre.

Procedimenti di impugnazione distinti 

La disciplina dell’impugnazione di ordinanze e decreti è definita in funzione della loro natura sostanziale (decisoria o ordinatoria) e della tipologia di procedimento in cui sono inseriti. In linea generale, i decreti, salvo diversa previsione, non sono autonomamente impugnabili. Tuttavia, nei casi in cui il decreto incida su diritti soggettivi e sia previsto dalla legge, esso può essere impugnato mediante opposizione (es. opposizione a decreto ingiuntivo ai sensi dell’art. 645 c.p.c.) o, in alcuni casi, con reclamo (art. 739 c.p.c. per i procedimenti in camera di consiglio).

Le ordinanze, se prive di contenuto decisorio o non lesive, non sono in genere impugnabili autonomamente, salvo che la legge lo consenta in via eccezionale. Tra queste eccezioni si annoverano, ad esempio, l’ordinanza che decide sulla sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza (art. 283 c.p.c.) o l’ordinanza che dispone misure cautelari ex art. 700 c.p.c., le quali sono reclamabili innanzi al collegio ai sensi degli artt. 669-terdecies e 669-quater c.p.c. Le ordinanze istruttorie non sono impugnabili autonomamente, ma possono essere contestate con l’impugnazione della sentenza finale (art. 178, comma 2, c.p.c.).

La corretta qualificazione del provvedimento è dunque determinante per individuare l’eventuale mezzo di impugnazione e il relativo termine. L’errata impugnazione comporta l’inammissibilità del ricorso, in quanto il rimedio processuale deve essere conforme alla natura dell’atto impugnato.


Funzioni e Finalità: Quando si usa un'Ordinanza e quando un Decreto  

Nel diritto processuale civile italiano, la scelta tra l’emissione di un’ordinanza o di un decreto da parte del giudice dipende dalla funzione processuale che il provvedimento è chiamato a svolgere e dalla fase del procedimento in cui viene adottato. Entrambi sono atti tipici del giudice, ma si distinguono per finalità e presupposti.

Il decreto è utilizzato quando occorre un provvedimento monocratico, generalmente non motivato, emesso fuori udienza e in assenza di contraddittorio preventivo. Viene adottato in tutti quei casi in cui la legge consente al giudice di pronunciarsi sulla base della sola istanza di parte, sulla base della documentazione allegata, in via semplificata. Tipici esempi sono il decreto ingiuntivo ex art. 641 c.p.c., il decreto di liquidazione dei compensi del consulente tecnico d’ufficio (art. 168 d.P.R. 115/2002) e il decreto di fissazione d’udienza o di autorizzazione nel rito camerale. Il decreto risponde dunque all’esigenza di snellezza e rapidità nei procedimenti privi di particolari complessità o che necessitano di una pronta risposta dell’autorità giudiziaria.

L’ordinanza, invece, è impiegata prevalentemente nei procedimenti ordinari di cognizione e in quelli cautelari o camerali per assumere provvedimenti che dirigono, regolano o decidono aspetti istruttori o interlocutori del processo. È di regola adottata all’esito di un’udienza, può essere motivata e, ove necessario, immediatamente esecutiva. Le ordinanze istruttorie, come quelle di ammissione dei mezzi di prova (art. 184 c.p.c.), oppure le ordinanze decisorie, come quelle che risolvono questioni incidentali o cautelari (es. art. 700 c.p.c.), rappresentano strumenti flessibili nelle mani del giudice per gestire il processo in modo efficace e tempestivo.

In sintesi, si ricorre all’ordinanza per regolare dinamiche processuali con coinvolgimento delle parti, al decreto per decisioni rapide e non contenziose, spesso nella fase introduttiva o per provvedimenti di tipo amministrativo-giudiziario.


Impatti Pratici per Avvocati e Cittadini

Scelta della strategia legale più adatta

Per l’avvocato, distinguere tra decreto e ordinanza non è mera formalità, ma scelta strategica con rilevanti ricadute sull’azione processuale. Un provvedimento emesso in forma di decreto può, ad esempio, consentire di ottenere una tutela immediata e sommaria, rinviando l’instaurazione del contraddittorio a una fase successiva (es. decreto ingiuntivo). Laddove invece sia necessario valorizzare il confronto tra le parti, l’ordinanza risulta preferibile, in quanto presuppone normalmente una valutazione anche dell’interesse della controparte. La natura del provvedimento condiziona inoltre le possibilità di reazione: un decreto può essere oggetto di opposizione, ma non sempre è impugnabile immediatamente; un’ordinanza può, in determinati casi, essere oggetto di reclamo, o essere contestata con l’appello avverso la sentenza. Per il cittadino, assistito dal proprio legale, ciò comporta un’attenta valutazione preliminare sull’opportunità di attivare strumenti rapidi ma meno garantiti, oppure procedure più garantistiche ma dilatate nei tempi.

Conseguenze procedurali diverse

La forma del provvedimento (ordinanza o decreto) determina effetti procedurali differenti. I decreti, salvo specifiche previsioni di legge, non sono impugnabili autonomamente, ma possono essere modificati o revocati su istanza di parte o in sede di opposizione (es. art. 645 c.p.c.). La loro esecutività, inoltre, può essere immediata, ma soggetta a revoca o sospensione in caso di opposizione fondata. Le ordinanze, soprattutto quelle istruttorie o cautelari, possono invece essere oggetto di reclamo nei limiti previsti (es. art. 669-terdecies c.p.c.) oppure essere contestate solo con l’impugnazione della sentenza. Sul piano pratico, ciò incide sulla gestione delle scadenze, sull’adozione di contromisure processuali, sulla pianificazione dell’attività difensiva e sulla valutazione del rischio giudiziario. Un errore nella qualificazione del provvedimento o nella scelta del rimedio può pregiudicare irrimediabilmente le possibilità difensive della parte.


Ordinanze e Decreti nel Processo Civile: Alcuni Casi Pratici

Casi studio su Ordinanze

Nel processo civile, le ordinanze trovano frequente applicazione nelle fasi istruttorie o cautelari. Un primo esempio è l’ordinanza ammissiva della prova testimoniale ex art. 244 c.p.c., con cui il giudice, all’esito dell’udienza, dispone l’escussione dei testimoni indicati dalle parti. Trattasi di provvedimento tipicamente istruttorio, non immediatamente impugnabile, ma suscettibile di contestazione con l’appello avverso la sentenza. Altro caso è l’ordinanza ex art. 700 c.p.c., che accoglie una misura cautelare urgente (es. sospensione della delibera condominiale), provvedimento dotato di esecutività immediata e reclamabile ai sensi dell’art. 669-terdecies c.p.c. Un’ulteriore ipotesi è rappresentata dall’ordinanza che rigetta la sospensione dell’esecutività della sentenza impugnata (art. 283 c.p.c.), pronunciata nel giudizio di appello: si tratta di provvedimento decisorio, soggetto a reclamo, che assume rilievo strategico nella gestione dell’esecuzione provvisoria. In tutti questi casi, la natura dell’ordinanza incide sulla possibilità di reagire immediatamente e sulla necessità di attendere la decisione definitiva.

Casi studio su Decreti

Il decreto ingiuntivo ex art. 641 c.p.c. rappresenta l’esempio più classico: su istanza del creditore munito di prova scritta, il giudice ordina al debitore il pagamento entro 40 giorni, salvo opposizione. È un provvedimento esecutivo, ma privo di contraddittorio iniziale, e può essere opposto con citazione in giudizio. Un altro caso frequente è il decreto di liquidazione del compenso al consulente tecnico (CTU) ai sensi dell’art. 168 d.P.R. 115/2002: il giudice stabilisce l’importo da corrispondere al perito, spesso sulla base del parere del funzionario di cancelleria. Il provvedimento può essere impugnato con opposizione al decreto di pagamento. Ancora, nei procedimenti di volontaria giurisdizione, il giudice tutelare emette decreti autorizzativi (es. per vendita di beni del minore ex art. 320 c.c.), anch’essi soggetti a reclamo ex art. 739 c.p.c. Tali esempi mostrano come il decreto consenta decisioni rapide e semplificate, riservando la fase contenziosa a un eventuale giudizio successivo.


Evoluzione normativa: Come sono cambiati Ordinanze e Decreti nel tempo

Nel corso del tempo, la disciplina delle ordinanze e dei decreti nel processo civile ha subito significative trasformazioni, sia sul piano normativo che applicativo, in risposta alle esigenze di efficienza, celerità e garanzia del contraddittorio. In origine, il codice di procedura civile del 1940 distingueva rigidamente tra sentenze, ordinanze e decreti, attribuendo a ciascuno una funzione specifica. I decreti erano riservati ai provvedimenti resi senza contraddittorio e in via sommaria; le ordinanze venivano utilizzate per gestire lo svolgimento del processo o per adottare decisioni urgenti, di regola prive di efficacia definitiva.

Con la riforma del processo civile avviata a partire dagli anni ’90, e in particolare con le modifiche introdotte dalla legge n. 353/1990 e successive, si è assistito a un progressivo ampliamento delle ipotesi in cui le ordinanze assumono contenuto decisorio, talvolta anche suscettibile di autonoma impugnazione. Ne è esempio l’ordinanza ex art. 702-ter c.p.c., che definisce il giudizio sommario di cognizione. L’efficacia esecutiva di alcuni provvedimenti non più riservata alle sole sentenze è stata estesa anche alle ordinanze e ai decreti, modificando il quadro sistematico originario.

Un’accelerazione si è avuta con la riforma Cartabia (d.lgs. n. 149/2022), che ha inciso profondamente sulla struttura del processo civile, prevedendo un maggiore utilizzo dell’ordinanza con efficacia decisoria anche in funzione deflattiva. È stata valorizzata la sinteticità e chiarezza nella redazione di tutti i provvedimenti, compresi quelli non sentenziali, per assicurare una maggiore efficienza e trasparenza.

Anche i decreti, in particolare nel procedimento monitorio e nei procedimenti camerali, hanno visto una codificazione più rigorosa delle forme di impugnazione (es. artt. 645 e 739 c.p.c.). L’evoluzione ha dunque portato a una maggiore funzionalizzazione dei provvedimenti giudiziari, superando la rigidità formale e valorizzando la sostanza del contenuto decisorio.


FAQ - Domande Frequenti su Sentenze, Ordinanze e Decreti

  • Cos'è un'ordinanza nel diritto civile?

Un’ordinanza è un provvedimento del giudice emesso nel corso del processo civile per regolare l’istruttoria, dirigere lo svolgimento delle udienze, o decidere questioni urgenti o accessorie. Può avere contenuto istruttorio, ordinatorio o, in alcuni casi, anche decisorio. È di norma motivata e può essere emessa in udienza o fuori udienza. Non sempre è impugnabile, salvo i casi espressamente previsti dalla legge o quando pregiudica diritti soggettivi;

  • Cos'è un decreto nel diritto civile?

Il decreto è un provvedimento scritto del giudice emesso di regola senza contraddittorio e senza motivazione articolata, salvo eccezioni. Viene utilizzato nei procedimenti che non richiedono udienza o confronto tra le parti, come il procedimento per ingiunzione, la liquidazione dei compensi, o i provvedimenti del giudice tutelare. Può essere provvisoriamente esecutivo e, se previsto dalla legge, impugnabile mediante opposizione o reclamo;

  • Qual è la principale differenza tra ordinanza e decreto?​​​​​​​

La differenza principale sta nella modalità di emissione e nella funzione: l’ordinanza è spesso resa all’esito di un contraddittorio, anche solo orale, ed è in genere motivata; il decreto, invece, è monocratico, emesso senza contraddittorio, spesso non motivato e con funzione decisoria su aspetti semplificati. L’ordinanza tende a regolare lo svolgimento del processo, il decreto è usato per decisioni rapide e formali;

  • Quando si può impugnare un'ordinanza o un decreto?​​​​​​​

Un’ordinanza è impugnabile solo se ha contenuto decisorio o incide su diritti soggettivi: ad esempio, l’ordinanza cautelare ex art. 700 c.p.c. è reclamabile. I decreti, salvo diversa previsione, non sono impugnabili autonomamente. Fanno eccezione casi come il decreto ingiuntivo (opponibile ex art. 645 c.p.c.) o i decreti del giudice tutelare (reclamabili ex art. 739 c.p.c.). L’impugnabilità dipende dalla natura e dagli effetti del provvedimento;

  • In quali procedimenti civili si usano più frequentemente ordinanze e decreti?

Le ordinanze si utilizzano frequentemente nel giudizio ordinario di cognizione per l’ammissione delle prove, la sospensione del processo, o l’adozione di provvedimenti cautelari. I decreti, invece, sono prevalenti nei procedimenti sommari, come il monitorio (art. 633 c.p.c.), nella volontaria giurisdizione (es. tutela, amministrazione di sostegno), e per provvedimenti di natura gestionale o autorizzativa. La scelta dipende dalla struttura e dalle esigenze del procedimento.

Avvocato Marco Mosca

Marco Mosca

Sono l'Avv. Marco Mosca ed opero da 12 anni nel campo giuridico. Ho maturato una significativa esperienza in molti settori del diritto, in particolare nell'ambito della materia societaria e di tutto ciò che ad essa è collegato. Pertan ...