Rinuncia all’eredità: cos'è, come funziona e quanto costa

Il defunto aveva troppi debiti: è meglio rinunciare all’eredità? E quando è l’erede ad avere troppi debiti, può rinunciare all’eredità?

Cos’è la rinuncia all’eredità

La rinuncia all’eredità è una particolare figura giuridica prevista e disciplinata dall’art. 519 c.c., che rappresenta lo strumento attraverso il quale il chiamato all’eredità decide, in sostanza, di rifiutare di subentrare nella totalità del patrimonio ovvero nella quota di patrimonio del de cuius, tanto se trattasi di successione legittima, quanto testamentaria.

È un atto giuridico formale, cioè nel senso che la rinuncia richiede una precisa forma prevista dalla legge, in mancanza della quale la rinuncia stessa è nulla e non ha effetto. L’art. 519 c.c. su quest’ultimo punto non pone alcun dubbio, la disposizione è chiare e precisa:

“La rinunzia all'eredità deve farsi con dichiarazione, ricevuta da un notaio o dal cancelliere del tribunale del circondario in cui si è aperta la successione e inserita nel registro delle successioni” Questo significa che, qualora non vengano rispettate le forme previste dalla disposizione medesima la rinuncia è priva di efficacia, con la conseguenza che il rinunciante è da considerarsi ancora nella posizione giuridica di “chiamato all'eredità”.

È chiaro che la rinuncia all’eredità il più delle volte è una decisione ancorata, diciamo, alla “qualità” dell’asse ereditario. Quando l’eredità è formata principalmente o esclusivamente da debiti, l’accettazione della stessa comporterà la c.d. confusione del patrimonio del deceduto stesso con quello dell’erede. L’effetto, difatti, sarà il concreto rischio di vedersi aggredire il proprio patrimonio, unito a quello ricevuto in eredità, dai creditori del defunto.

Pertanto, in mancanza di attività, ed in presenza di sole passività del de cuius, la rinunzia appare una scelta obbligata. La rinuncia, non può essere sottoposta a condizioni o termini, né può essere limitata ad una sola parte dell’eredità. In questi casi la dichiarazione di rinuncia sarebbe nulla e priva di effetti. Se essa viene fatta dietro compenso o a favore di altri soggetti chiamati all’eredità, comporta l’effetto contrario, ossia l’accettazione dell’eredità (art. 478 c.c.).

Né tampoco è ammessa una rinuncia prima dell’apertura della successione (ossia prima della morte del de cuius), in quanto da considerarsi come violazione del divieto di patti successori. Il diritto di rinunciare all’eredità, così come quello di accettarla, può essere esercitato entro dieci anni dal giorno della morte del defunto. Entro lo stesso termine è possibile revocare la rinuncia stessa (art. 525 c.c.)

Quanto costa fare un atto di rinuncia all’eredità?

La dichiarazione di rinunzia all’eredità può essere fatta soltanto innanzi al Cancelliere del Tribunale (Tribunale del luogo in cui si è aperta la successione), o ad un Notaio e le spese che il rinunciante dovrà sostenere sono le seguenti:

a) Rinunzia innanzi al Cancelliere del Tribunale:

  • al momento della rinuncia: una marca da bollo di € 16,00, oltre ad una tassa di € 200,00, con mod. F23 e codice tributo 109T;
     
  • al momento del ritiro della copia autentica della dichiarazione di rinuncia: una marca da bollo di € 16,00 e una di € 11,80 

b) Rinunzia innanzi ad un notaio: oltre alle spese sopra elencate, il rinunciante dovrà corrispondere al professionista i suoi onorari.

Chi rinuncia all’eredità deve pagare i debiti del defunto?

Assolutamente no. Innanzitutto, ereditare non è un obbligo: chiunque può rinunziare all’eredità. A questo punto una domanda sorge spontanea: perché mai una persona dovrebbe rinunciare ad un’eredità? Per rispondere a questa domanda, si rende doverosa una premessa. L’erede eredita tutto, nel bene e nel male. Ciò significa che l’erede subentra al defunto in tutte le sue situazioni attive e passive. Si aprono, a questo punto, due scenari, innanzi ai quali l’erede si determinerà, verosimilmente, a rinunciare all’eredità.

a) Situazione debitoria del de cuius – defunto.

Non è detto che un’eredità sia sempre composta di sole ricchezze: queste ultime ben potrebbero sussistere, ma il defunto – c.d. de cuius – potrebbe avere avuto, in vita, anche qualche piccolo debito, o qualche debito piuttosto consistente, o addirittura essersi trovato in una situazione di sovraindebitamento. Se un soggetto eredita, si trova ad entrare in possesso – anzi a divenire proprietario – di tutti i beni e i crediti dell’eredità, ma anche a dover pagare tutti i debiti del de cuius. E se l’attivo dell’eredità non dovesse bastare, l’erede dovrà pagare “di tasca propria”. In questi casi, è verosimile che l’erede opti per una rinuncia all’eredità, in quanto ereditare rappresenterebbe un costo, essendo il patrimonio ereditario composto di partite passive maggiori di quelle attive. E se l’erede non conoscesse esattamente la situazione patrimoniale del defunto, come potrebbe adottare una decisione?

In tal caso, la legge gli offre lo strumento dell’accettazione dell’eredità con beneficio di inventario: l’erede può decidere, entro dieci anni – o entro tre mesi se in possesso dei beni ereditari – dall’apertura della successione, di accettare l’eredità, ma riservandosi di rinunziarvi, qualora scoprisse una situazione debitoria tale, da rendere antieconomica una eventuale accettazione. Entro tre mesi dalla data di accettazione con beneficio di inventario, l’erede dovrà procedere con l’inventario di ogni bene lasciato dal defunto.

In caso di accettazione con beneficio di inventario, il patrimonio dell’erede e quello del defunto rimangono rigorosamente divisi e i creditori non potranno aggredire l’eredità, oggetto del beneficio di inventario.

b) Situazione debitoria dell’erede
Cosa succede, invece, quando è l’erede a trovarsi in una situazione debitoria piuttosto consistente?

  • 1° IPOTESI: rinunzia all’eredità. L’erede può rinunziare all’eredità, al fine di eludere i creditori e salvaguardare il patrimonio ereditario. RIMEDIO A TUTELA DEI CREDITORI: in tal caso i creditori possono opporsi alla rinunzia e chiedere al Giudice di essere autorizzati ad accettare l’eredità, al posto del debitore che vi ha rinunciato. Gli effetti della rinunzia verrebbero, quindi, meno e i creditori potranno soddisfare le loro ragioni creditorie, nei confronti dell’erede legittimo. Tale azione deve essere esperita entro 5 anni dalla data di dichiarazione di rinunzia all’eredità: dopo tale termine, i creditori perderanno il loro diritto di impugnazione, per prescrizione.
     
  • 2° IPOTESI: la “pretermissione amica”. Si tratta di un “escamotage”, col quale il testatore, per evitare che i creditori dell’erede aggrediscano il patrimonio ereditario, decide, scientemente e in accordo con l’erede indebitato, di estromettere quest’ultimo dall’eredità, lasciando tutto agli altri eredi, o di attribuirgli una piccola parte di eredità. Il testatore, in tal modo, alla sua morte avrà leso i diritti successori dell’erede indebitato, in accordo, però, con quest’ultimo.

Rimedio a tutela dei creditori

In una situazione “normale”, l’erede estromesso dall’eredità ben potrebbe esperire l’azione di riduzione: tale azione renderebbe inefficaci le disposizioni testamentarie, che abbiano leso i diritti dei legittimari – che siano stati estromessi dall’eredità o che abbiano percepito una parte minore, rispetto a quella a cui avrebbero avuto diritto. Nel caso trattato, invece, l’erede “indebitato”, appositamente estromesso dall’eredità a seguito di un preciso accordo col “defunto”, non esperirà di certo l’azione in parola.

Senonché, tale “inerzia” danneggia i suoi creditori, che vedono sfumata la possibilità di avvalersi sui beni ereditari, soprattutto se l’erede estromesso e inerte non abbia beni propri. In tal caso, la legge permette ai creditori, così lesi, di esercitare l'azione di riduzione in via surrogatoria: i creditori eserciteranno, al posto dell’erede (dunque, sostituendosi a quest’ultimo, rimasto inerte) tale azione che, per legge, spetterebbe soltanto ai legittimari, ai loro eredi e agli aventi causa, secondo quanto espressamente previsto dall’art. 557 cod. civ.. Tale potere viene conferito ai creditori, grazie ad una sentenza della Corte di Cassazionei che ha inteso contemperare gli interessi del de cuius e dell’erede, e gli interessi dei creditori.

Tale azione andrà promossa entro il termine prescrizionale di 10 anni, che decorre

  • dalla data di apertura della successione (morte del testatore), quando si tratta di ridurre le donazioni lesive della legittima fatte in vita dal de cuius
     
  • dalla data in cui il beneficiario della disposizione lesiva dei diritti degli altri legittimari, abbia dichiarato di accettare l’eredità.

I rimedi a tutela dei creditori, come sopra delineati, se astrattamente considerati, potrebbero far apparire inutili i tentativi di salvare la quota ereditaria, posti in essere dall’erede-debitore. In realtà, tali tentativi sortiranno gli effetti sperati e, dunque, salveranno la quota ereditaria dall’aggressione dei creditori, qualora questi ultimi non dovessero reagire entro i termini prescrizionali sopra indicati. Ed ora veniamo ad un’analisi più dettagliata della rinuncia all’eredità, che può essere fatta entro dieci anni dall’apertura della successione, o entro tre mesi, qualora i beni ereditari siano nel possesso dell’erede che intenda rinunciarvi (cfr. 3.2.).

Chi rinuncia all’eredità deve fare successione?

a) Premessa

Il chiamato all’eredità dovrà fare la dichiarazione di successione. Essendo tale dichiarazione un adempimento di tipo fiscale, che non comporta necessariamente l’accettazione dell’eredità, il chiamato all’eredità, una volta fatta la dichiarazione di successione, potrà poi decidere se accettare l’eredità o se rinunziarvi (cfr. successivo par. 3.4., in punto di rapporto “temporale” che intercorre fra la dichiarazione di successione e la rinuncia dell’eredità, aspetto molto importante ai fini del pagamento o meno delle tasse e delle imposte di successione).

b) Carattere e iter della dichiarazione di successione

La successione ha, fra gli altri, effetti anche sul piano fiscale, vista la tassa sulle successioni – e sulle donazioni, che sono a tutti gli effetti un anticipo sull’eredità – reintrodotta nel nostro ordinamento. Allorquando un soggetto decede, dunque, gli eredi saranno tenuti al pagamento della tassa. Per tale motivo, vi è un obbligo tassativo di presentare, presso l’Agenzia delle Entrate, la dichiarazione di successione: tale adempimento ha, dunque, carattere fiscale. Il termine entro cui tale dichiarazione va presentata è di dodici mesi dalla data dell’apertura della successione, pena le sanzioni per il ritardo.

Tale adempimento va necessariamente effettuato telematicamente, attraverso l’apposito portale dell’Agenzia delle Entrate ed è, perciò, consigliabile rivolgersi ad appositi professionisti, come i CAF. La tassa va corrisposta al momento della dichiarazione di successione.

c) Esonero dalla presentazione della dichiarazione di successione

Ex art. 28 del T.U. sull’imposta di successioni, non vi è alcun obbligo di presentazione della dichiarazione di successione, presso l’Agenzia delle Entrate, nei seguenti casi:

  1. eredità devoluta al coniuge ed ai parenti in linea retta – ascendenti e discendenti, non i fratelli –, con un attivo che non superi euro centomila;
     
  2. assenza, fra i beni ereditari, di beni immobili o di diritti reali su beni immobili;
     
  3. rinunzia all’eredità.

d) La situazione del rinunciante

Rinuncia all’eredità intervenuta dopo la dichiarazione di successione. Colui che abbia effettuato la dichiarazione di rinuncia all’eredità, non dovrà pagare la tassa di successione, ma dovrà comunicare ad Agenzia delle Entrate di avere rinunciato: dovrà, pertanto, consegnare a quest’ultima la copia autentica della dichiarazione di rinuncia (cfr. capitolo 1, punto a), a mezzo raccomandata a.r., o consegnandola personalmente.

Tale attività andrà fatta entro il termine di 12 mesi dall’apertura della successione. Attenzione, però, alle tempistiche con le quali si procede alla dichiarazione di rinuncia (o alla comunicazione all’Agenzia Entrate della dichiarazione di rinuncia), da un lato e alla dichiarazione di successione, dall’altro. Qualora l’erede dovesse rinunziare all’eredità, soltanto dopo che uno degli eredi abbia presentato la dichiarazione di successione e ne abbia pagato imposte e tasse, si presenterebbe un problema.

È, infatti, possibile che la dichiarazione di successione venga presentata prima che un erede rinunci alla sua parte di eredità: in tal caso, il rinunciante non è ancora considerato tale, essendo erede a tutti gli effetti e, conseguentemente, gli verrà imposto, come a tutti gli altri, il pagamento delle relative tasse e imposte. Successivamente, l’erede che intenda rinunciare potrà procedere alla relativa formalizzazione, per poi presentare una nuova dichiarazione di successione – diversa da quella trasmessa in precedenza da altro erede –, ma ne dovrà corrispondere le imposte, senza che, peraltro, possa richiedere la restituzione della tassa di successione, precedentemente corrisposta in occasione della prima denuncia di successione.

Per ottenere il rimborso della tassa di successione precedentemente versata, occorrerà un’integrazione della precedente dichiarazione di successione, che potrà essere fatta soltanto dall’erede che abbia effettuato la prima dichiarazione: in tal caso, soltanto tale erede potrà fare richiesta di rimborso. Ciò in ossequio alla risposta di Agenzia Entrate n. 677/2021.

Come rinunciare all’eredità dei genitori e cosa succede se i figli rinunciano all’eredità

Il procedimento di rinunzia all’eredità dei genitori è il medesimo sopra illustrato. Allorquando il figlio rinunzi ad ereditare, la sua quota si devolverà a favore dei suoi figli o nipoti (rappresentazione). Qualora non vi sia rappresentazione, la predetta quota accrescerà la quota degli altri eredi che abbiano accettato e, in mancanza di tali soggetti, la quota si devolverà al parente più prossimo del defunto.

a) Rappresentazione

Merita un cenno l’istituto della rappresentazioneii, che opera per “stirpi”, laddove per stirpe si intende la discendenza della famiglia.iii Il discendente (rappresentante) succederà al posto dell’ascendente (rappresentato) che abbia rinunciato all’eredità, così subentrando completamente nella sua posizione ereditaria. Facciamo un esempio: Sempronio muore e lascia due figli, Caio e Tizio; Tizio ha, a sua volta, un figlio, Tizietto, nipote di Sempronio.

Qualora Tizio, figlio del defunto Sempronio, dovesse rinunziare all’eredità, Tizietto gli succederebbe, ereditandone l’intera quota. La posizione di Caio, invece, rimarrebbe inalterata e la sua quota non subirebbe alcuna variazione. Un altro esempio. Sempronio muore e lascia due figli, Caio e Tizio; questi hanno, a loro volta, due figli ciascuno: Tizietto e Tizietta, figli di Tizio e Caietto e Caietta, figli di Caio. Caio, Tizio e Tizietto rinunciano all’eredità: la quota di Caio si devolve in favore di Caietto e Caietta, la quota di Tizietto si devolve solo in favore di Tizietta (perché, come sopra detto, il rappresentante subentra nella identica posizione del rinunciante – Tizietto è come se fosse Tizio. Per tale motivo la quota verrebbe ereditata anche da Tizietta).

b) Presupposti della rappresentazione

Affinché operi la rappresentazione, devono coesistere i seguenti due presupposti:

  • il rappresentato (il rinunciante) deve essere il figlio, il fratello o la sorella del de cuius
     
  • il rappresentante (colui che subentra al rinunciante) deve essere un discendente del rinunciante. Diversamente, qualora il rinunciante all’eredità non fosse figlio, fratello o sorella del defunto, ma fosse un altro erede (ad esempio un amico o un cugino), allora la sua quota verrebbe suddivisa fra gli altri eredi, accrescendo, così, la loro quota.

Che documenti servono per fare la rinuncia all’eredità?

Per procedere alla rinunzia, occorre consegnare al Cancelliere del Tribunale o al notaio, il certificato di morte in carta semplice, il certificato dell’ultima residenza del defunto, la copia del codice fiscale del rinunciante e del defunto, la copia del documento d’identità del rinunciante e del defunto e l’autorizzazione del Giudice Tutelare (per i minorenni, gli interdetti e gli inabilitati, le persone soggette all’amministrazione di sostegno).

Fonti normative

  • Codice Civile. Artt. 456, 459, 467, 468, 469, 470,480, 484, 490, 522, 523, 524, 554, 555 e 557.
  • Testo Unico 31 ottobre 1990, n. 346
  • Corte di Cassazione, Sez. II, Pres. Campanile – Rel. Carrato, 20 giugno 2019, n.16623.

 

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Avvocato Tecla Minotti

Tecla Minotti

Sono l'avv. Tecla Minotti del Foro di Milano e mi dedico principalmente alla materia di DIRITTO CIVILE, in particolare DIRITTO DI FAMIGLIA, CONTRATTUALISTICA, DIRITTO DEL LAVORO, RECUPERO DEI CREDITI, ESECUZIONE, DIRITTO TRIBUTARIO. Es ...