Diritto al Nome e all’Identità: Significato e Tutela

Approfondisci il diritto al nome e all’identità: norme, diritti e casi reali.

Il diritto al nome e il diritto all'identità personale sono due pilastri fondamentali per la tutela della persona e della sua dignità. Il nome, infatti, non è solo un'etichetta anagrafica, ma rappresenta un elemento essenziale della propria identità e appartenenza alla comunità. L’identità personale, invece, va ben oltre l’aspetto legale e burocratico del nome: include il diritto ad essere riconosciuti per ciò che si è, preservare la propria storia e le proprie origini, nonché poter vivere senza discriminazioni o alterazioni forzate di sé. Entrambi i diritti sono tutelati dalla Costituzione italiana e da convenzioni internazionali, e costituiscono un aspetto imprescindibile della dignità e libertà di ogni individuo.

Il diritto al nome e il diritto all'identità personale appartengono alla branca dei diritti della personalità. I diritti della personalità sono quei diritti fondamentali che spettano alla persona in quanto tale e che mirano a tutelare gli aspetti essenziali e inviolabili della sua esistenza, identità e dignità. Tali diritti hanno un contenuto personalissimo e si contraddistinguono per il loro carattere non patrimoniale; caratteristiche principali sono:

  • l’assolutezza, ovvero tali diritti sono opponibili a chiunque;
  • l’indisponibilità, in quanto non possono essere ceduti, venduti e non vi si può rinunciare;
  • l’intrasmissibilità mortis causa, non essendo possibile trasmettere tali diritti ad altre persone;
  • l’imprescrittibilità, poiché non si perdono col tempo e non si possono trasferire.

Entrando nello specifico, il diritto al nome è un diritto che si acquista con la nascita e rientra tra i diritti soggettivi della personalità.

Origine del Diritto al Nome e all’Identità

Evoluzione storica del concetto di identità

Il concetto giuridico di identità personale ha conosciuto un’evoluzione significativa nel corso del tempo, passando da una nozione non codificata ma presente in via implicita nell’ordinamento, a un diritto fondamentale esplicitamente riconosciuto e tutelato.

In assenza di una definizione normativa iniziale, il concetto si è formato attraverso un articolato dibattito dottrinale e un progressivo sviluppo giurisprudenziale. Il primo intervento giurisprudenziale rilevante risale al 6 maggio 1974, con una pronuncia della Pretura di Roma, che ha riconosciuto il diritto all’identità personale collegandolo all’articolo 2 della Costituzione italiana, che tutela i diritti inviolabili della persona. Si trattò di un riconoscimento innovativo, in quanto avvenne senza un’esplicita previsione legislativa, basandosi piuttosto su un’interpretazione costituzionalmente orientata.

Il consolidamento giuridico del diritto all’identità personale avvenne successivamente con la sentenza della Corte di Cassazione n. 3769/1985 (noto come "caso Veronesi"). In questa decisione, la Suprema Corte affermò con maggiore chiarezza che l’identità personale costituisce un diritto costituzionalmente protetto, da tutelarsi nei suoi molteplici aspetti, quali l’immagine, la reputazione, l’onore e, più in generale, la dignità della persona. La pronuncia segnò un passaggio cruciale: l’identità personale venne vista non solo come riflesso della privacy, ma come elemento essenziale della personalità individuale.

La giurisprudenza successiva ha progressivamente ampliato la portata di tale diritto, contribuendo a delinearne i contorni e i contenuti, anche alla luce dei mutamenti sociali e tecnologici. In alcune pronunce, la Corte costituzionale ha ribadito che l’identità personale è da considerarsi tra i diritti fondamentali della persona, inserendola nel sistema di garanzie costituzionali.

Un'importante svolta normativa si è verificata con la legge n. 675/1996, la prima disciplina organica in Italia in materia di protezione dei dati personali, che all’art. 1 stabiliva espressamente che tale protezione è finalizzata anche alla tutela dell’identità personale. Questo legame tra identità e dati personali è stato poi rafforzato e sistematizzato con il decreto legislativo n. 196/2003 (Codice in materia di protezione dei dati personali), che ha collocato la tutela dell’identità tra i principi fondamentali nella gestione e trattamento delle informazioni personali, con particolare attenzione ai dati sensibili, ritenuti determinanti per la definizione dell’identità individuale.

In sintesi, la tutela dell’identità personale in Italia ha compiuto un percorso evolutivo che, partendo da un riconoscimento giurisprudenziale pionieristico, è giunta a una piena affermazione costituzionale e legislativa. Oggi, essa si configura come un diritto autonomo e fondamentale, collegato non solo alla privacy, ma anche alla libertà, dignità e integrità della persona umana, e assume una rilevanza crescente in un contesto caratterizzato dalla pervasività delle tecnologie digitali e dalla circolazione globale dei dati.

Riconoscimento nei primi ordinamenti giuridici

Il concetto di "diritto al nome" ha attraversato un’evoluzione profonda nel corso della storia giuridica, assumendo nel tempo significati diversi a seconda del contesto storico e culturale.

Nel diritto romano, il nome non era solo un semplice mezzo per identificare un individuo, ma rappresentava un elemento fondamentale per il riconoscimento giuridico e sociale. Ogni cittadino romano, infatti, era definito dal suo nomen, che lo legava non solo alla sua famiglia, ma anche alla sua stirpe e al suo status nella comunità. Il nomen garantiva l'accesso ai diritti civili, come la cittadinanza, e fungeva da mezzo per partecipare alla vita pubblica. La protezione giuridica del nome, quindi, era essenziale per l'affermazione dell'individuo all'interno della società romana.

Nel Medioevo, il nome assunse ulteriori valenze e divenne essenziale per determinare l'appartenenza a una famiglia, ma anche per la gestione della successione ereditaria. Con l'affermarsi delle prime organizzazioni giuridiche, il diritto al nome divenne una protezione per i beni e per i diritti di proprietà, legandosi, quindi, al riconoscimento legale del patrimonio e dei diritti familiari.

In sintesi, nelle prime forme di organizzazione giuridica, il diritto al nome era strettamente legato al riconoscimento dell'individuo come membro di una comunità, sia essa familiare, religiosa o civile. Nel corso dei secoli, questo diritto ha subito un’evoluzione, estendendo la sua protezione e riconoscendo sempre di più il nome come elemento centrale dell’affermazione della personalità e dell’identità. La sua evoluzione, infatti, ha accompagnato quella della società, diventando un diritto fondamentale per il riconoscimento giuridico, la tutela dei diritti civili, la protezione del patrimonio e il rispetto dell’integrità individuale.

Significato del Diritto al Nome

Elemento identificativo della persona

Il diritto al nome, riconosciuto dall’articolo 6 del Codice civile, nasce automaticamente con la nascita e rappresenta un elemento fondamentale dell’identità personale. Il nome è composto dal prenome (cioè il nome di battesimo) e dal cognome, e serve a distinguere ogni individuo all’interno della società. Proprio per il suo valore identificativo, la legge non consente modifiche, aggiunte o rettifiche al nome, se non nei casi specificamente previsti e regolati dalla normativa.

Questo diritto garantisce non solo il riconoscimento personale, ma anche quello familiare, assicurando a ogni persona il diritto a portare il nome che le è stato legalmente attribuito. Oggi, a differenza del passato, è possibile attribuire fino a tre prenomi, e tutti devono essere riportati integralmente negli atti ufficiali, come estratti e certificati di stato civile.

Un’altra regola importante riguarda l’assegnazione del nome ai figli: non è permesso attribuire loro lo stesso nome di un genitore o di un fratello/sorella viventi, a meno che non venga aggiunto il suffisso “junior”, che serve proprio a distinguerli.

Per quanto riguarda il cognome, questo identifica l’appartenenza a una determinata famiglia e, nella maggior parte dei casi, si acquisisce automaticamente in base al rapporto di filiazione, cioè in virtù del legame di sangue con i genitori.

In sintesi, il nome non è solo un’etichetta formale, ma un elemento strettamente connesso alla personalità e ai legami familiari, la cui tutela giuridica contribuisce al rispetto dell’identità individuale.

Valore legale e sociale del nome

Il nome ha un valore sia legale che sociale, entrambi fondamentali per l’identità della persona.

Dal punto di vista legale, il nome è tutelato come diritto della personalità e serve a identificare in modo univoco ogni individuo. La legge ne regola l’uso e non consente modifiche se non in casi particolari. Inoltre, protegge l’individuo da usi illeciti o dannosi del proprio nome da parte di altri.

Sul piano sociale, il nome è il primo segno di riconoscimento nella comunità. Esprime appartenenza familiare e culturale, e contribuisce a costruire l’identità personale. Usare correttamente il nome di una persona è anche un segno di rispetto e di riconoscimento del suo valore individuale.

In sintesi, il nome è molto più di una semplice etichetta: è uno strumento che unisce diritto, identità e relazioni sociali.

Significato del Diritto all’Identità

Il diritto all’identità è un diritto fondamentale della persona, che consiste nella tutela dell’individuo nella sua rappresentazione autentica, personale e sociale, garantendo che la sua immagine, il suo nome, le sue origini, le sue convinzioni, le sue relazioni, e in generale la sua unicità soggettiva, non vengano falsate, manipolate o strumentalizzate da terzi.

L’identità personale rappresenta la proiezione sociale della personalità di un individuo, ovvero il modo in cui egli si manifesta e viene riconosciuto nella vita di relazione. Ogni persona ha il diritto e l’interesse a essere rappresentata fedelmente, senza che la propria immagine sociale venga distorta, offuscata o alterata.

Questa identità comprende il complesso delle caratteristiche che definiscono l’individuo sul piano intellettuale, ideologico, politico, etico, religioso e professionale, così come si sono già espresse – o sono destinate a esprimersi – nel contesto sociale. La tutela giuridica dell’identità personale si fonda su elementi oggettivi e univoci, che permettono di riconoscere in modo preciso e coerente la persona nella sua dimensione pubblica e relazionale.

Identità personale, culturale e sociale

L’identità rappresenta il nucleo dell’esperienza umana, ossia il modo in cui una persona si percepisce, si definisce e si relaziona con il mondo. Essa si articola in diverse dimensioni — personale, culturale e sociale — che, pur essendo distinte, sono strettamente connesse tra loro.

L'identità personale è la consapevolezza che un individuo ha di sé stesso, dei propri tratti caratteristici, valori, emozioni, pensieri ed esperienze. È un concetto soggettivo e dinamico, che si costruisce nel tempo attraverso:

  • esperienze individuali;
  • relazioni affettive;
  • scelte morali e i progetti di vita.

Essa rappresenta l’unicità di ogni persona e il suo diritto a essere riconosciuta e rispettata come tale.

L'identità culturale si riferisce all'appartenenza a un gruppo sociale che condivide valori, tradizioni e comportamenti comuni; è un concetto che descrive il senso di appartenenza a un gruppo culturale, basato su valori, norme, tradizioni e credenze condivise. L’art. 29 della Convenzione sui diritti dell'infanzia (1989) prevede che l’istruzione del bambino o della bambina sia mirata a: "sviluppare il rispetto per la sua identità culturale, la sua lingua e i suoi valori...". Il diritto al rispetto dell’identità culturale significa che chiunque, da solo o in unione con altri, potrà scegliere liberamente la propria identità culturale nei suoi vari aspetti, lingua, religione, patrimonio artistico, tradizioni, ecc. Chiunque può avere una o più identità culturali e può decidere liberamente se identificarsi o meno con una o più comunità culturali. Nessuno può essere sottoposto ad assimilazione forzata contro la sua volontà.

L'identità sociale, invece, è la percezione che un individuo ha di appartenere a gruppi sociali più ampi. Include la percezione di sé come membro di un gruppo, con conseguente lealtà e identità con gli altri membri.

Identità di genere, religiosa, linguistica

L’identità è un concetto complesso e multidimensionale, che si articola in numerosi aspetti interrelati. Tra questi, l’identità di genere, l’identità religiosa e l’identità linguistica rivestono un ruolo centrale nel definire chi siamo, come ci percepiamo e come ci relazioniamo con la società. Sebbene si tratti di dimensioni distinte, esse si influenzano reciprocamente e sono riconosciute come diritti fondamentali tutelati a livello nazionale e internazionale.

L’identità di genere è il senso profondo e personale di appartenere a un genere — maschile, femminile, entrambi o nessuno — e può coincidere o meno con il sesso biologico assegnato alla nascita. Si tratta di un elemento fondamentale dell’identità personale e dell'autodeterminazione individuale. In Italia, la giurisprudenza costituzionale e ordinaria ha progressivamente riconosciuto l’identità di genere come diritto fondamentale. La Corte Costituzionale, in diverse sentenze, ha affermato che l’identità di genere rientra nel diritto all’integrità psicofisica della persona (art. 2 e 3 Cost.).

L’identità religiosa si riferisce al diritto dell’individuo di professare, praticare e manifestare liberamente una fede, nonché di appartenere (o non appartenere) a una comunità religiosa. Essa comprende:

  • la libertà di coscienza e di culto (art. 19 Cost. italiana);
  • il diritto a non subire discriminazioni per le proprie credenze religiose;
  • la possibilità di trasmettere la propria fede alle generazioni future.

L’identità religiosa è quindi non solo un fatto privato, ma anche una componente relazionale che influenza l’appartenenza culturale, sociale ed etica di un individuo.

Infine, l’identità linguistica riguarda il diritto dell’individuo a usare, preservare e trasmettere la propria lingua madre, intesa come espressione della propria cultura e appartenenza a una specifica comunità linguistica.

Tutela del Diritto al Nome e all’Identità a Livello Internazionale

Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia

La tutela del diritto al nome e all’identità personale è garantita anche a livello internazionale dalla Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia del 1989, uno dei documenti più importanti per la protezione dei diritti dei minori.

La Convenzione riconosce che ogni bambino, fin dalla nascita, ha diritto a essere registrato ufficialmente, a ricevere un nome, ad acquisire una nazionalità e, per quanto possibile, a conoscere e crescere con i propri genitori. Questo è stabilito chiaramente all’articolo 7, che afferma l’importanza del nome come primo elemento di riconoscimento giuridico e sociale dell’identità di una persona.

Ma la protezione non si ferma qui. L’articolo 8 della Convenzione sottolinea che gli Stati devono rispettare e tutelare l’identità del minore in tutte le sue componenti: non solo il nome, ma anche la nazionalità e le relazioni familiari. Se questa identità viene violata — ad esempio, in caso di sottrazione del minore, adozione illegittima o modifiche non autorizzate del nome — lo Stato ha il dovere di intervenire per ripristinare la situazione originaria e proteggere i legami fondamentali dell’individuo.

In sostanza, per le Nazioni Unite, nome e identità non sono semplici dati anagrafici, ma elementi fondamentali della persona, che vanno rispettati e difesi fin dalla nascita. La Convenzione impone agli Stati non solo di riconoscere formalmente questi diritti, ma anche di attivarsi concretamente per garantirne la tutela, soprattutto quando si tratta dei soggetti più vulnerabili: i bambini.

Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo

La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani riconosce il diritto al nome e all’identità come elementi essenziali per ogni persona.

L’Articolo 6 afferma che ogni individuo ha il diritto di essere riconosciuto legalmente come una persona, il che significa che deve essere identificato in modo ufficiale e avere accesso a diritti e protezione. Questo è fondamentale per poter partecipare alla società in modo pieno e uguale agli altri.

L’Articolo 15, poi, sancisce il diritto di ogni persona a una nazionalità, che è strettamente legata all’identità. Avere una nazionalità non solo definisce il legame giuridico di una persona con uno Stato, ma le consente anche di godere di tutti i diritti connessi, come la protezione legale e l’accesso ai diritti civili e politici.

In sintesi, la DUDU ci ricorda che il nome e l’identità non sono solo questioni formali, ma diritti fondamentali che permettono a ogni persona di essere riconosciuta, protetta e di partecipare alla vita sociale e politica.

Corte Europea dei Diritti dell’Uomo

La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) ha più volte riconosciuto che il nome e l’identità personale sono elementi essenziali della vita privata, tutelata dall’articolo 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, che così dispone: “Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza.

All’interno di questa ampia tutela, la Corte ha incluso il diritto al nome, considerandolo un elemento centrale dell’identità individuale. Il nome, infatti, rappresenta non solo un segno distintivo, ma anche un mezzo attraverso cui l’individuo è riconosciuto nella società e nelle istituzioni, e attraverso cui esprime la propria personalità e appartenenza culturale.

Secondo la CEDU, il nome è molto più che un’etichetta: è un elemento fondamentale dell’identità personale, uno strumento con cui ciascuno si presenta al mondo, si racconta, si collega alle proprie origini, alla propria cultura e alla propria storia. E proprio perché ha questo valore così profondo, la legge deve tutelarlo con attenzione.

In diverse sentenze, la Corte ha chiarito che lo Stato ha il dovere di rispettare e proteggere l’identità delle persone, evitando interferenze arbitrarie, ma anche creando strumenti che permettano, ad esempio, di cambiare nome o rettificare i propri dati anagrafici, quando questo serve a rispettare la vera identità di una persona.

Un esempio importante è il caso X contro Austria del 1979, uno dei primi in cui la Corte ha affrontato il tema del riconoscimento dell’identità legale. In quella decisione, la Corte ha ribadito che ogni persona ha diritto a una propria identità giuridica, e che impedirne il pieno riconoscimento può violare la dignità e la vita privata dell’individuo.

In sintesi, ognuno ha diritto a essere riconosciuto per quello che è, con il proprio nome, la propria identità culturale, il proprio genere. E ogni Stato ha l’obbligo di rispettare questa identità, non solo evitando di ostacolarla, ma anche offrendo strumenti concreti per tutelarla e riconoscerla pienamente.

Normativa Italiana sul Diritto al Nome e all’Identità

Codice Civile e Norme Anagrafiche

Il diritto al nome e all’identità personale è uno degli aspetti fondamentali della personalità, tutelato dal Codice Civile italiano e da specifiche norme anagrafiche.

Il Codice Civile e il diritto al nome

L'Articolo 6 del Codice Civile sancisce che ogni persona ha il diritto al proprio nome, che le viene attribuito per legge e che si compone di un prenome e di un cognome. Questo diritto non è solo un dettaglio burocratico, ma rappresenta un elemento distintivo che identifica l’individuo, sia nella sua vita privata che nel contesto sociale. Il nome è fondamentale per l’identità legale di una persona e la legge stabilisce che non può essere modificato arbitrariamente. Le modifiche al nome possono avvenire, ma solo in casi specifici e con le modalità previste dalla legge, come ad esempio in caso di errori materiali o situazioni che ne giustifichino il cambiamento.

Inoltre, l'Articolo 7 permette la modifica del nome o del cognome in casi eccezionali, come per evitare confusione con altre persone o per risolvere problematiche legate a omonimie. L'importante è che qualsiasi modifica sia giustificata da motivi legittimi e approvata da un’autorità competente.

L’Articolo 8, pur trattando più in generale della protezione dell’identità personale, è altrettanto rilevante, in quanto riconosce il diritto di ogni individuo di difendere la propria immagine e reputazione, che sono componenti essenziali della propria identità. Questo significa che il nome, come parte integrante dell'identità, deve essere protetto contro abusi e usi impropri.

Norme Anagrafiche:

Il D.P.R. n. 396/2000 regolamenta in dettaglio la registrazione dei dati anagrafici, inclusi nome e cognome. Il regolamento stabilisce, ad esempio, che il nome attribuito non deve essere ridicolo o vergognoso e impone delle limitazioni nella scelta dei nomi. L'articolo 34 del regolamento specifica che:

  • Non è possibile dare a un bambino lo stesso nome di un genitore, né di un fratello o una sorella viventi, per evitare confusione.
  • È vietato dare come nome un cognome o scegliere nomi che possano rivelare facilmente l’origine familiare in caso di genitori sconosciuti.

Inoltre, per i nomi stranieri, viene richiesto l'uso solo delle lettere dell'alfabeto italiano, con l’eccezione di alcune lettere specifiche (come J, K, W, X, Y, Z) per rispettare l'uso di caratteri provenienti da altre lingue.

In definitiva, il diritto al nome e all’identità è ben protetto dalla legge, che regola non solo la possibilità di modificarli, ma anche i limiti nell'assegnarli. Queste norme non solo proteggono l’individuo in quanto parte della società, ma ne tutelano anche la dignità e l’identità personale, garantendo che il nome sia scelto in modo appropriato, rispettoso e legittimo.

Giurisprudenza e sentenze rilevanti

La giurisprudenza italiana ha affrontato diverse tematiche relative al diritto al nome e all'identità personale, con pronunce che hanno avuto un impatto significativo sul modo in cui vengono tutelati questi diritti. Di seguito alcune delle sentenze più rilevanti.

1. Corte Costituzionale, Sentenza n. 131/2022

La Corte ha dichiarato incostituzionale la norma che attribuiva automaticamente il cognome del padre ai figli, anche se nati fuori dal matrimonio. Ha stabilito che i genitori devono poter scegliere insieme il cognome, favorendo una decisione condivisa.

2. Cassazione Civile, Sentenza n. 2921/2020

La Cassazione ha affermato che il nome non è solo un dato giuridico, ma una parte fondamentale dell'identità sociale e psicologica. L'uso illecito del nome, come in pubblicità non autorizzate, può causare danni per i quali è previsto il risarcimento.

3. Corte Costituzionale, Sentenza n. 420/1995

La Corte ha ribadito che il diritto alla privacy e all'immagine è strettamente legato al nome. L’uso non autorizzato del nome può ledere i diritti inviolabili dell’individuo, con diritto al risarcimento.

La giurisprudenza italiana, dunque, ha avuto un ruolo cruciale nell'affermare il diritto al nome e all'identità come diritti fondamentali, riconoscendo la loro importanza non solo dal punto di vista legale, ma anche in termini di dignità e libertà personale. Le sentenze più recenti, in particolare quelle della Corte Costituzionale, hanno segnato un cambiamento significativo, favorendo una visione più inclusiva e paritaria nella tutela di questi diritti.

Cambiamento del nome e dell’identità

Chiunque voglia cambiare il proprio nome o cognome o aggiungerne un altro al proprio deve farne richiesta al Prefetto esponendo le ragioni della domanda.

Qualora la richiesta appaia meritevole di essere presa in considerazione, il richiedente è autorizzato a fare affiggere all’albo pretorio del Comune di nascita e del Comune di residenza un apposito avviso. L’affissione deve avere la durata di trenta giorni consecutivi per consentire a chi ne abbia interesse di fare, in detto termine, opposizione alla domanda. Una volta accertata la regolarità delle affissioni e vagliate le eventuali opposizioni, il Prefetto provvede sulla domanda con decreto.

L’istanza può essere presentata al prefetto della provincia del luogo di residenza ovvero del luogo di nascita (o in cui è stato registrato l’atto di nascita).

La domanda deve indicare chiaramente le variazioni richieste, di sostituzione o di sola modifica, e le ragioni sottese all’istanza, la quale deve rivestire carattere eccezionale.

Invero, il cambio o la modifica delle proprie generalità è ammesso esclusivamente in presenza di situazioni oggettivamente rilevanti, supportate da adeguata documentazione e da significative motivazioni.

Violazioni e Conseguenze Giuridiche

Casi di negazione del nome o dell’identità e conseguenze civili e penali

Il nome e l’identità personale non sono soltanto aspetti simbolici o culturali: in molti casi, il loro corretto riconoscimento e utilizzo ha anche un'importante valenza giuridica. Negare la propria identità o fornire un nome falso può sembrare, a prima vista, un gesto semplice o di poco conto. In realtà, dal punto di vista giuridico, ha delle conseguenze ben precise, soprattutto se il comportamento avviene in un contesto ufficiale.

Ad esempio, se una persona si rifiuta di fornire le proprie generalità a un pubblico ufficiale – come un agente di polizia durante un controllo – può andare incontro a una sanzione penale. Lo dice chiaramente l’articolo 651 del codice penale: chi rifiuta di dichiarare il proprio nome, senza un valido motivo, può essere arrestato fino a un mese o multato fino a 206 euro. Si tratta di una contravvenzione, cioè di un illecito meno grave rispetto a un reato, ma comunque punito dalla legge.

Le cose diventano ancora più serie se una persona finge di essere qualcun altro o usa i dati personali di un’altra persona. In questo caso si parla di usurpazione di identità, un vero e proprio reato. Questo accade, ad esempio, se qualcuno si presenta con il nome di un’altra persona per ottenere un vantaggio (come un contratto, un acquisto o un documento) o per danneggiarla. In queste situazioni, la vittima può anche chiedere un risarcimento per i danni subiti, perché la legge tutela l’identità come parte della dignità personale.

In altri termini, negare il proprio nome, usare quello di qualcun altro o alterare la propria identità non sono azioni senza conseguenze: nome e identità non sono soltanto simboli personali, ma anche beni giuridici da proteggere, strettamente legati al rispetto della persona e alla sua libertà.

Riconoscimento tardivo o errato

Il riconoscimento tardivo o errato del diritto al nome e all’identità personale può comportare gravi conseguenze di natura giuridica, sociale e psicologica, configurando una violazione dei diritti fondamentali della persona.

Il mancato o inesatto riconoscimento di tali diritti può infatti ostacolare l’accesso a servizi essenziali come sanità, istruzione, lavoro e previdenza sociale; generare problemi di identificazione nei documenti ufficiali e nei rapporti con la pubblica amministrazione; comportare forme di discriminazione o esclusione sociale; nonché impedire la stipula valida di contratti o l’esercizio di diritti successori. In senso più ampio, ciò può compromettere la possibilità per la persona di condurre una vita libera, autonoma e dignitosa.

Ne derivano, in particolare nei confronti di minori o persone migranti, sofferenza morale, senso di esclusione e frustrazione, con effetti profondamente negativi sul processo di integrazione e sullo sviluppo di una piena e serena percezione della propria identità culturale e personale.

Diritto al Nome e all’Identità nei Minori

Il ruolo dei genitori e dello Stato

Secondo il nostro ordinamento, sono i genitori a dover attribuire il nome al figlio, e questo comprende sia il prenome (il nome di battesimo) che il cognome. Questa scelta non è solo un diritto, ma anche un dovere, perché riguarda un aspetto fondamentale della personalità del minore.

Nel caso in cui un figlio nasca fuori dal matrimonio, e venga riconosciuto prima dalla madre e solo successivamente dal padre, entra in gioco l’articolo 262 del Codice Civile. In questo caso, il minore può assumere il cognome del padre, aggiungendolo o sostituendolo a quello della madre. Tuttavia, la decisione non è automatica, ma viene rimessa al giudice, che deve valutare attentamente l’interesse del minore. Se il bambino ha compiuto dodici anni, o se pur più piccolo è in grado di comprendere, il giudice deve ascoltarlo prima di decidere.

La funzione dello Stato, in tutto questo, è garantire che il diritto al nome sia riconosciuto, rispettato e protetto. L’articolo 6 del Codice Civile stabilisce in modo chiaro che ogni persona ha diritto al nome che le è per legge attribuito.

Casi di adozione, abbandono, bambini stranieri

In caso di adozione piena, il minore assume il cognome degli adottanti, che può essere anteposto o posposto in base a quanto stabilito dal giudice, nel superiore interesse del minore (art. 299 c.c.).

Il nome di battesimo può anch’esso essere modificato, specialmente in contesti di adozione internazionale o nei casi in cui il nome originario possa causare emarginazione, discriminazione o difficoltà di integrazione.

La nuova identità così attribuita viene annotata nei registri dello stato civile e sostituisce quella originaria. Tuttavia, resta tutelato il diritto all’identità personale pregressa, nei limiti consentiti dalla legge, in rispetto della storia e delle origini del minore.

Nel caso in cui nessun genitore riconosca il minore alla nascita, l’ufficiale dello stato civile è tenuto ad attribuire nome e cognome d’ufficio, ai sensi dell’art. 35 del D.P.R. n. 396/2000.

Tale attribuzione ha piena validità legale sino a un eventuale riconoscimento successivo o adozione.

Il minore ha comunque il diritto a conoscere le proprie origini, come sancito dall’art. 28 della Legge n. 184/1983, compatibilmente con l’anonimato eventualmente dichiarato dalla madre, in base all’art. 30, comma 1 del D.lgs. 196/2003 (così come modificato dal D.lgs. 101/2018).

Per quanto riguarda i minori stranieri, l’art. 24 del D.P.R. n. 396/2000 dispone che nome e cognome vengano trascritti secondo la grafia originaria dello Stato di provenienza, ove tecnicamente possibile.

Questa previsione mira a preservare l’identità culturale e linguistica del minore.

Anche in fase di naturalizzazione, l’ordinamento italiano riconosce il diritto a mantenere il nome originario, salvo che lo stesso non risulti lesivo della dignità della persona o contrario all’ordine pubblico.

Nei casi di minori stranieri non accompagnati, spesso privi di documentazione, si procede alla registrazione con nome e cognome provvisori. Questi possono essere successivamente rettificati su iniziativa di tutori, giudici tutelari o autorità consolari, in conformità con i dati e l’identità effettiva del minore.

In linea con l’art. 8 della Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia, l’Italia si impegna a preservare e, se necessario, ripristinare l’identità personale del minore, inclusi nome, nazionalità e legami familiari, ogniqualvolta ciò sia compatibile con il suo superiore interesse.

Aspetti Etici e Psicologici del Diritto all’Identità

Impatto sulla costruzione della personalità

L’identità personale rappresenta uno degli aspetti più significativi nella vita di ogni individuo. Non si riduce a un insieme di dati anagrafici, ma costituisce un elemento profondo e fondante della persona: è ciò che le consente di riconoscersi come sé stessa nel tempo, di stabilire relazioni autentiche con gli altri e di costruire un’immagine interiore coerente e stabile.

Attraverso il riconoscimento della propria identità, ciascuno può sentirsi parte di una comunità, sviluppare fiducia in sé e dare un senso al proprio posto nel mondo.

Quando si parla di minori, il tema dell’identità diventa ancora più delicato. I primi anni di vita sono infatti decisivi per la formazione della personalità, e ogni elemento che contribuisce alla costruzione del sé assume un ruolo fondamentale. Proprio per questo, l’ordinamento giuridico prevede forme specifiche di tutela.

Ad esempio, il nome e le origini familiari del minore sono riconosciuti come diritti fondamentali, tutelati dall’articolo 6 del Codice Civile e ribaditi anche a livello internazionale dall’articolo 8 della Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia, che invita gli Stati a garantire che ogni bambino possa preservare la propria identità, inclusi il nome, la cittadinanza e i legami familiari.

In questa prospettiva, anche l’articolo 315-bis del Codice Civile assume particolare rilievo, poiché riconosce al figlio il diritto di ricevere cura, educazione e assistenza morale da parte dei genitori, tutti elementi che rafforzano il senso di identità e appartenenza.

L’identità personale, dunque, non è solo un concetto giuridico ma un pilastro della nostra umanità, qualcosa che ci definisce e ci rende liberi. Tutelarla, soprattutto nei confronti dei più piccoli, significa garantire a ogni individuo la possibilità di crescere con dignità, sicurezza e consapevolezza.

Conseguenze dell’alterazione dell’identità

Quando l’identità personale viene negata o alterata, le conseguenze possono essere profonde e durature, sia a livello individuale che sociale. Questo è particolarmente vero per i minori, che si trovano in una fase cruciale di sviluppo del sé. La mancanza di un nome stabile, l’impossibilità di conoscere le proprie origini o la propria storia possono causare disorientamento, insicurezza affettiva e difficoltà nelle relazioni.

Molti bambini, in particolare quelli adottati o abbandonati, hanno un bisogno profondo di ricostruire le proprie radici per dare continuità alla propria biografia. L'assenza di questa connessione può portare a fragilità identitarie, influendo negativamente su autostima, fiducia e capacità di proiettarsi nel futuro.

Da un punto di vista giuridico, l’identità non riconosciuta può limitare l’accesso a diritti fondamentali come istruzione, sanità, cittadinanza e lavoro, oltre a impedire l’ottenimento di documenti ufficiali o il riconoscimento legale all’interno della famiglia.

Sul piano sociale, l’alterazione dell’identità può portare a discriminazione ed emarginazione, ostacolando l'integrazione, specialmente per i minori stranieri e non accompagnati, che già affrontano difficoltà aggiuntive.

In sintesi, la negazione o distorsione dell’identità compromette non solo l’equilibrio psicologico, ma anche la possibilità di vivere pienamente e dignitosamente nella società. La tutela dell’identità, in particolare nei minori, è cruciale per il loro pieno sviluppo, come sottolineato anche dall’art. 3 della Costituzione italiana.

FAQ sul Diritto al Nome e all’Identità

  1. Che cosa si intende per diritto all’identità personale?

    Il diritto all’identità personale è il diritto fondamentale di ogni individuo a essere riconosciuto come sé stesso. Include il diritto di avere un nome, conoscere le proprie origini familiari ed essere trattato in modo coerente con la propria natura. Questo diritto garantisce anche la privacy e la possibilità di prendere decisioni autonome riguardo alla propria vita e identità. È tutelato dalla Costituzione italiana e da convenzioni internazionali, ed è essenziale per il benessere e lo sviluppo personale di ciascuno.

  2. È possibile cambiare legalmente il proprio nome?

    Sì, è possibile cambiare legalmente il proprio nome, ma solo in particolari circostanze. In Italia, si può richiedere il cambio di nome se ci sono motivi validi, come un nome vergognoso, imbarazzante o che crea difficoltà, oppure in caso di adozione o cambio di sesso. Inoltre, è possibile correggere un errore nei registri anagrafici.

  3. Qual è la tutela per i bambini senza identità registrata?

    I bambini senza identità registrata, come quelli abbandonati o non riconosciuti dai genitori, sono protetti dalla legge. Se non sono registrati all’anagrafe, l'ufficiale di stato civile attribuisce loro un nome e un cognome d'ufficio, garantendo loro diritti legali. La Convenzione ONU e la Costituzione italiana tutelano il diritto di ogni bambino a preservare la propria identità. Inoltre, per i minori non accompagnati o senza documenti, viene nominato un tutore per garantire che possano essere registrati e avere accesso ai servizi essenziali.

  4. Il diritto al nome si estende anche ai nomi stranieri?

    Il diritto al nome si estende anche ai nomi stranieri. In Italia, i nomi stranieri vengono trascritti nei registri anagrafici secondo la grafia originale per rispettare l'identità culturale del bambino. Anche chi acquisisce la cittadinanza italiana può mantenere il proprio nome originario, salvo casi particolari.

  5. Come si tutela l’identità di genere nel sistema legale italiano?

    In Italia, l’identità di genere è tutelata dal diritto di ogni persona a vivere secondo il proprio genere. Le persone possono cambiare il proprio nome e sesso nei documenti ufficiali attraverso una sentenza del tribunale, senza bisogno di interventi chirurgici. La Legge 164/1982 regola questo cambiamento. Inoltre, la legge vieta qualsiasi discriminazione basata sull’identità di genere, garantendo pari diritti in tutti gli ambiti della vita.

Avvocato Daiana Bellinello

Daiana Bellinello