Cosa fare se non vengono rispettati i termini della mediazione?

La mediazione obbligatoria è una procedura di conciliazione stragiudiziale per taluni controversie in materia civile e commerciale, senza la quale non è possibile rivolgersi al Tribunale.

La mediazione, secondo quanto stabilisce la legge, è un’attività, che deve essere svolta da un soggetto terzo e imparziale, al fine di assistere due o più soggetti che sono alla ricerca di un accordo amichevole per comporre una controversia. Essa può sostanziarsi anche con la formulazione di una proposta che abbia ad oggetto la risoluzione definitiva della controversia stessa.

Il soggetto terzo ed imparziale prende il nome di mediatore e può una figura individuale o collegiale.

Con un decreto del Ministero della Giustizia è stato istituito un registro degli organismi, enti pubblici o privati, presso i quali è possibile svolgere la mediazione stessa.

Il verbale di mediazione nel quale viene riportato anche l’accordo eventualmente raggiunto, adottando le giuste formalità, è un titolo esecutivo, del quale si può avvalere ciascuna delle parti se l’altra non dovesse rispettare i termini della conciliazione.

Quindi esso può essere allegato all’atto di precetto e utilizzato per:

- espropriazione forzata

- esecuzine per consegna e rilascio

- esecuzione degli obblighi di fare e non fare

- iscrizione di ipoteca giudiziaria.

1. Quanti tipi di mediazione ci sono?

La legge riconosce vari tipi di mediazione.

Esso, quindi, può essere allegato all’atto di precetto e utilizzato per procedere ad esecuzione forzata mobiliare, immobiliare o presso il terzo debitore. Può anche valere, se del caso, per iscrivere ipoteca giudiziale.

1.1 Mediazione volontaria

Esiste innanzitutto la mediazione volontaria. Chiunque può decidere di risolvere le controversie, in materia civile o commerciale, che hanno ad oggetto diritti disponibili, con un procedimento di mediazione al fine di ottenere un accordo conciliativo.

Talvolta può essere previsto anche dagli statuti delle società o dai contratti tra le parti, che debba utilizzarsi la mediazione come strumento di risoluzione stragiudiziale in caso di contrasti, prima che si avvii una eventuale causa davanti al giudice;

1.2 Mediazione delegata

E' questa, quella forma di mediazione che viene “ordinata” dal Giudice, sia esso il Tribunale che la Corte di Appello – che può adottare, nel rispetto delle disposizioni di legge in materia, una decisione di sospensione della causa pendente davanti a lui, per un periodo massimo di 3 mesi, obbligando le parti a tentare di trovare un accordo conciliativo attraverso la mediazione

1.3 Mediazione obbligatoria

La legge ha di recente introdotto, infine, un vero e proprio obbligo di porre in essere la mediazione, quando la controversia ha ad oggetto determinate materie, a pena di improcedibilità della causa. Questo vuol dire che, in alcuni casi predeterminati dalla legge, se non viene esperito - prima dell’avvio del procedimento giudiziario - un tentativo di mediazione, non è possibile rivolgersi all’autorità giudiziaria civile competente a decidere dello stesso.

2. Cos'è la mediazione obbligatoria

La mediazione obbligatoria è stata introdotta nel nostro ordinamento a seguito di istanze non sono nazionali, ma anche europee, legate alla necessità della ragionevole durata del processo. Pertanto è stato legislativamente promosso il tentativo di addivenire ad una risoluzione rapida, perchè extragiudiziale, di una controversia, entro un termine breve, prestabilito, di 90 giorni: in questo modo si è inteso anche ridurre il ricorso nelle aule di tribunale.

Nel suo percorso legislativo la mediazione obbligatoria ha subìto uno stop da parte della Corte Costituzionale, che ne ha stabilito, in prima battuta, la illegittimità. Ma l’illegittimità non aveva ad oggetto il contenuto dell’istituto in sè, quanto semplicemente la circostanza che la legge che aveva delegato il Governo a disporre sulla materia, non aveva previsto espressamente anche le sanzioni in caso di violazione, e cioè, tra esse, in particoalre, la improcedibilità processuale.

Pertanto, colmata la lacuna legislativa, la legge è attualmente costituzionalmente valida, e la mediazione è obbligatoria se la controversia ha ad oggetto le seguenti materie:

- condominio;

- diritti reali;

- divisione;

- successioni ereditarie;

- patti di famiglia;

- locazione;

- comodato;

- affitto di aziende;

- risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e sanitaria;

- risarcimento del danno derivante da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità;

- contratti assicurativi, bancari e finanziari.

L’ultima modifica della normativa ha espunto dall’elenco delle materie il risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti.

Non importa se il tentativo di accordo vada o meno a buon fine. Ma nelle materie indicate è fatto obbligo di provarci, se non si voglia incorrere nelle conseguenze processuali della mancata mediazione.

La mediazione, però, per legge non è obbligatoria in una serie di procedimenti, tra cui quelli:

a) per ingiunzione, inclusa l'opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione;

b) per convalida di licenza o sfratto, fino al mutamento del rito di cui all'articolo 667 del codice di procedura civile;

c) di consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite, di cui all'articolo 696-bis del codice di procedura civile;

d) possessori, fino alla pronuncia dei provvedimenti di cui all'articolo 703, terzo comma, del codice di procedura civile;

e) di opposizione o incidentali di cognizione relativi all'esecuzione forzata;

f) in camera di consiglio;

g) che riguardano l'azione civile esercitata nel processo penale.

3. Cosa succede con la mediazione?

Ovviamente il tentativo di mediazione può portare a diversi esiti.

3.1 Che succede se si svolge ma con esito negativo?

Come si è detto, ciò che conta è che ci si provi. Ma se poi un accordo conciliativo non si riesce a raggiungere, nulla impedisce di rivolgersi al giudice. In questo caso sarà stilato un verbale che illustri il mancato raggiungimento dell’accordo.

3.2 Che succede se si svolge ma con esito positivo?

Può chiaramente accadere che l’accordo porti ad un accordo tra le parti. In questo caso la legge stabilisce che se tutte le parti che hanno preso parte al procedimento siano state assistite da un legale, l’accordo finale deve essere sottoscritto dalle stesse parti con i rispettivi avvocati, affinchè possa diventare titolo esecutivo.

La presenza degli avvocati è necessaria perchè questi possano attestare e certificare che l’accordo sia conforme alle norme imperative e all’ordine pubblico.

Negli altri casi perchè abbia efficacia esecutiva l’accordo, esso, allegato al verbale, deve essere omologato, su istanza di parte, con un decreto del Presidente del Tribunale, dopo che sia stato effettuato un accertamento che concerna la regolarità formale, nonchè, anche in questo caso, il rispetto delle norme imperative e dell’ordine pubblico.

Qualora si tratti di controversie transfrontaliere, il verbale è omologato dal Presidente del Tribunale competente, che è quello che ha sede nel circondario in cui l’accordo dovrà avere esecuzione.

Il fatto che l’accordo sia titolo esecutivo fa si’ che se una delle parti non rispetti i termini della mediazione, l’altra ne può chiedere l’esecuzione, notificando l’atto di precetto e il verbale di mediazione a cui sarà allegato l’accordo conciliativo.

3.3. Che succede se non si svolge?

Qualora non ci sia stato il tentativo di mediazione e ciò nonostante un soggetto si rivolga al Tribunale, la causa è “improcedibile”. Circostanza, quest’ultima, che può essere fatta valere sia dalla parte interessata al suo accertamento che direttamente dal Giudice. In quest’ultimo caso, sarà il Giudice stesso a stabilire un termine di 15 giorni entro il quale avviare il tentatvo di mediazione. Sulla natura di questo termine si sono più volte espressi i giudici e 51 l’orientamento prevalente è quello di attribuire ad esso natura ordinatoria.

A questo orientamento hanno aderito, di recente, il Tribunale di Vasto, la Corte di Appello di Milano ed il Tribunale di Trapani, secondo cui il termine per il deposito dell’istanza di mediazione non è perentorio. La normativa di riferimento che stabilisce “il termine” oggetto del presente articolo è, come detto, il citato d.lgs. n. 28/10 il cui art. 5, comma 1, bis, stabilisce che “il Giudice, qualora ravvisi il mancato esperimento del procedimento di mediazione assegna alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione”. Si evidenzia - inoltre - che tale norma non prevede alcuna conseguenza nell’ipotesi di mancato rispetto del predetto termine. Come anticipato, sulla natura perentoria o meno del predetto termine, nel corso degli anni, si sono susseguiti vari orientamenti fra loro contrastanti. Secondo un primo indirizzo, infatti, “il termine di quindici giorni” avrebbe carattere perentorio, pur in assenza di una esplicita previsione legale in tal senso, derivando tale conclusione dal principio giurisprudenziale secondo cui il carattere della perentorietà del termine può desumersi, anche in via interpretativa, tutte le volte che, per lo scopo che persegue e la funzione che adempie, lo stesso debba essere rigorosamente osservato (cfr., in questo senso, Cass. Civ n. 14624/00; Cass.Civ. n. 4530/04).

In relazione alla c.d. “mediazione demandata”, pertanto, l’implicita natura “perentoria” del richiamato termine di 15 giorni si evincerebbe dalla stessa gravità della sanzione prevista, vale a dire l’improcedibilità della domanda giudiziale per il mancato esperimento della mediazione. Ne consegue che il tardivo esperimento della mediazione disposta dal giudice, ai sensi dell’art. 5, comma 2, d.lgs. n. 28/10 impedisce l’avveramento della condizione di procedibilità ed impone la declaratoria di improcedibilità del giudizio, con chiusura in rito del processo (cfr., in tal senso, Trib. Lecce, 03.03.2017; Trib. Cagliari, 08.02.2017; Trib. Firenze, 14.09.2016). Secondo un opposto orientamento giurisprudenziale, invece, “in assenza di espressa previsione di perentorietà del termine assegnato dal giudice ex art. 5, secondo comma, d.lgs. n. 28/10, la presentazione “tardiva” della domanda di mediazione, ovvero il suo deposito oltre il citato termine di 15 61 giorni assegnato dal giudice, non determinerebbe alcuna improcedibilità, dovendosi dare prevalenza all’effetto sostanziale dello svolgimento del procedimento (cfr., Trib. Milano, 27.09.2016; Trib. Pavia, 14.10.2015).

La tardiva instaurazione del procedimento di mediazione, quindi, non può essere equiparata al mancato svolgimento del procedimento medesimo. La tesi della natura ordinatoria, seguita anche dal Tribunale di Vasto, considera il deposito dell’istanza oltre il termine suddetto quale previsione normativa priva di sanzione. Ciò, ovviamente, a meno che il ritardo nella presentazione della domanda di mediazione non abbia pregiudicato l’effettivo esperimento della procedura, prima della udienza di verifica, fissata ai sensi del secondo comma dell‘art. 5 d. lgs. n. 28/10 .
Dello stesso avviso è anche la Corte d’ Appello di Milano che, con sentenza n. 2515/17 ha precisato che: “il termine di quindici giorni non appare corrispondere a un termine processuale cui applicare il disposto di cui all’art. 154 c.p.c. Lo spirare di tale termine, invero, non avrebbe neanche dovuto condurre il giudice a ritenere necessaria una richiesta di proroga del termine, una volta fosse inutilmente spirato, circostanza che avrebbe avuto come effetto (questo sì paradossale) di allungare ulteriormente i termini di espletamento del tentativo di mediazione”. La citata Corte, inoltre, ha evidenziato che nel d.lgs. n. 28/10 l’unico termine perentorio effettivamente previsto ex art. 6, comma 1, stesso testo normativo, come modificato dalla legge n. 98/13, è riferito a quello di sospensione di tre mesi del giudizio che il giudice non potrebbe superare per consentire l’espletamento del tentativo di mediazione, sia esso obbligatorio che demandato da egli stesso.

Conforme alle predette pronunce è anche il Tribunale di Trapani che, con ordinanza del 06/02/2018, ha ribadito la non perentorietà del termine di 15 giorni per la promozione del procedimento di mediazione. Ciò detto, concludiamo precisando che - perché ci si possa rivolgere al Tribunale, nelle materie in cui è prevista la mediazione obbligatoria - basta che sia avvenuto anche solo il primo incontro davanti al mediatore, senza che si sia concluso l’accordo.

Fonti normative

D.lgs 4 marzo 2010 n. 28 e succ. agg. in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali.

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Avvocato Marco Mantelli

Marco Mantelli

Sono l'avv. Marco Mantelli, esercito continuativamente la professione da 10 anni. In questo periodo ho trattato diverse questioni, tutte afferenti l'area del diritto civile ed, in particolare, quella della responsabilità contrattuale d ...