Come funziona il procedimento di correzione delle sentenze

La correzione delle sentenze contenenti una svista del giudice, un’omissione o di un mero errore di calcolo.

Il procedimento di correzione ha la funzione di ripristinare la corrispondenza tra quanto la sentenza ha inteso dichiarare e quanto, invece, in essa è stato formalmente dichiarato per un errore, un’omissione o una svista del giudice, del cancelliere, o anche di una delle parti.

1. I vizi correggibili e quelli non correggibili

Sono correggibili i vizi che possono essere agevolmente riconoscibili anche agli occhi dei meno esperti di diritto, essendo desumibili, senza necessità di procedere ad un esame dei fatti di causa od entrare nel merito della questione, dal testo del provvedimento, o da un raffronto tra la motivazione ed il dispositivo - vale a dire - la statuizione del giudice.

Nonostante la lettera dell’art. 287 cod. civ. faccia riferimento solo agli errori del giudice, si ritiene che la disposizione sia applicabile anche per le ipotesi di errori causati dalla parte, o nei quali sia incorso il cancelliere.

Il nostro legislatore ha stabilito che sono suscettibili di correzione:

  •  gli errori materiali, ossia quelle inesattezze di espressione chiaramente deducibile, senza equivoci o perplessità, dal contesto del provvedimento, con un’evidenza tale da non lasciare adito a dubbi o riserve.

Come ad esempio:

  • l’inesattezza dell’espressione usata dal giudice;
  • l’erronea indicazione della data di deliberazione;
  • l’erronea applicazione delle tariffe in materia di spese;
  • la contraddizione tra la parte della motivazione della sentenza ed il dispositivo, qualora sussista una parziale coerenza tra gli stessi;
  • l’inesatta indicazione dei dati anagrafici di una delle parti;
  • l’indicazione del nome di un magistrato diverso da quello riportato nel verbale dell’udienza collegiale.
  • gli errori di calcolo aventi carattere di assoluta materialità, discendenti dallo scorretto utilizzo delle regole matematiche, a condizione che i presupposti numerici fossero esattamente determinati e che l’ordine delle operazioni matematiche da compiere fosse puntualmente prestabilito.

E così, ad esempio:

  • quando il giudice nel compiere operazioni aritmetiche, posti come chiari e sicuri i termini da computare ed il criterio matematico da seguire, commette un errore materiale di cifra che si ripercuote sul risultato finale e anziché liquidare la somma di 100,00 euro ottenuta dall’addizione di 50+50, sulla base di detta operazione matematica liquida il differente importo di 150,00 euro.
  • quando il giudice compiute determinate e precise operazioni aritmetiche anziché indicare in sentenza che il 50% di 250 è 125 indica che il 50% di 250 è 25.
  • le omissioni, vale a dire la mancata menzione di un elemento formale, necessario per legge.

Sono tali, a titolo esemplificativo:

  • la mancata indicazione nell’epigrafe della sentenza del nome di una delle parti, purché, l'identità emerga senza possibilità di equivoci, dal contesto della sentenza;
  • la mancata o inesatta indicazione nell'intestazione della sentenza del nome del difensore di alcuna delle parti (purché non sia idonea a produrre nullità della sentenza, rivelando che il contraddittorio non si è regolarmente costituito);
  • la mancata trascrizione delle conclusioni di una delle parti, purché tali conclusioni siano state esaminate e non sia mancata la decisione su di esse, posto che, in difetto, si verificherebbe una nullità;
  • l'omessa indicazione, nell'intestazione della sentenza, del nome del terzo magistrato non tenuto alla sottoscrizione.

Al di fuori delle ipotesi di cui sopra, i vizi della sentenza che attengono al giudizio o alla volontà del giudice sono invece emendabili solo con l’impugnazione.

In particolare, secondo la giurisprudenza NON sono suscettibili di correzione ma solo di impugnazione i seguenti vizi:

  • il contrasto insanabile tra motivazione e dispositivo, tale da impedire di ricostruire l’esatta portata della decisione del giudice;

- l’errata determinazione delle competenze professionali dell’avvocato;

  • l’errore di calcolo che non dipende dall’erroneo svolgimento di operazioni matematiche predeterminate ma da un’errata individuazione dei presupposti numerici e delle operazioni da svolgere;
  • la decisione della lite nei confronti solo di alcune delle parti, trascurando sia nel dispositivo che nella motivazione la posizione delle altre;
  • l’omessa pronuncia su una domanda di una delle parti.

1.1 L’omessa pronuncia sulle spese

È indirizzo consolidato della giurisprudenza di legittimità quello secondo cui l'omessa pronuncia sulle spese da parte del giudice integra un una vera e propria omissione di carattere concettuale e sostanziale per la quale, in linea di principio, non può farsi ricorso al procedimento di correzione in oggetto, salvo che esso integri un caso di palese "svista" da parte del giudice.

2. Natura del procedimento e ambito di applicazione

Il procedimento in commento, e il relativo provvedimento, hanno natura amministrativa.

La legge, all’art. 287 cod. proc. civ.,  individua due tipologie di provvedimenti suscettibili di correzione: (a) “le sentenze per le quali non sia stato proposto appello” – con ciò intendendosi, non solo le sentenze per le quali non è stato proposto appello, ma anche quelle per le quali non può essere proposto e quelle passate in giudicato- e (b) “le ordinanze irrevocabili”.

2.1 La correzione delle sentenze e delle ordinanze della Corte di Cassazione

Un discorso a parte va fatto per le sentenze e le ordinanze della Corte di Cassazione. In tal caso, la correzione può essere richiesta dalla parte che ne abbia interesse, presentando avanti alla stessa corte di Cassazione un ricorso che va notificato alle altre parti entro il termine di sessanta giorni dalla notificazione della sentenza o entro un anno dalla sua pubblicazione.

3. Legittimazione, termini, forma e giudice competente per la correzione

Legittimate a chiedere la correzione del provvedimento affetto da uno dei vizi suindicati sono tutte le parti del giudizio,  indipendentemente dalla loro soccombenza e dal fatto che la sentenza si sia espressa in senso a loro favorevole o meno.

La domanda di correzione può essere presentata in qualunque momento, anche a distanza di anni dalla pronuncia.

Essa ha la forma dell’istanza, da depositarsi in cancelleria o in via telematica, allo stesso giudice che ha emesso il provvedimento, se unico, o al Presidente del Tribunale, nel caso di provvedimento collegiale.

A seconda che l’istanza sia presentata da tutte le parti congiuntamente o da una parte soltanto, l’iter che porta alla correzione è differente, ma comunque molto rapido e semplificato:

  • quando l’istanza è congiunta, il giudice provvede sulla medesima con decreto;
  • nel caso in cui l’istanza viene fatta da una parte soltanto, il giudice, con decreto, fissa l’udienza di comparizione delle parti davanti a se e il provvedimento va notificato all’altra parte. Successivamente alla comparizione delle parti, il giudice provvede alla correzione con ordinanza che deve essere annotata sull’originale del provvedimento e notificata alle parti, a cura della cancelleria.

4. L’ordinanza di cancellazione e le spese processuali

Il procedimento di correzione non si conclude con una parte soccombente ed una vittoriosa, non v’è dunque una condanna alle spese processuali. Tuttavia, parte della giurisprudenza ritiene che anche in questo tipo di procedimento si possa individuare una soccombenza e pertanto una parte possa essere condannata alle spese della procedura.

5. Costi e documenti necessari per la correzione

La parte, o le parti, che intendono demandare la correzione del provvedimento devono produrre, unitamente all’istanza, la copia autentica del provvedimento ed il Certificato di non proposto appello rilasciato dal l’organo competente. Non è richiesto il versamento di alcun contributo unificato.

6. Tempistiche del procedimento di correzione

Le tempistiche variano a seconda che il procedimento riguardi solo i privati cittadini o anche la pubblica amministrazione. Si passa, da un paio di mesi, a tempi ben più lunghi laddove si vada ad instaurare un procedimento amministrativo di liquidazione del danno.

7. Impugnazione del provvedimento corretto

Una volta annotata la correzione sul provvedimento, quest’ultimo può essere impugnato dalla parte che si ritenga illegittimamente lesa dalla correzione.

Il termine per l’impugnazione è di trenta giorni, che decorrono dal giorno della notifica dell’ordinanza di correzione alle parti a cura della cancelleria (art. 325 del c.p.c.).

Non è mai impugnabile, invece, l’ordinanza che rigetta l’istanza di correzione.

Fonti normative

Come visto sopra, l’istanza di correzione risulta volta ad eliminare errori meramente materiali o di calcolo, mentre i mezzi di impugnazione hanno come funzione la modifica o l’eliminazione della sentenza con riferimento ai vizi che la rendono ingiusta o invalida.

Nonostante tale netta distinzione tra correzione e impugnazione, la formulazione dell’art. 287 cod. proc. Civ. ha dato adito ad alcune problematiche interpretative circa i rapporti correnti tra i due procedimenti.

La Corte Costituzionale con Sent. n. 335 del 2004 ha sancito l’illegittimità dell’art. 287 cod. proc. civ. rispetto agli art. 3 e 24. Cost., limitatamente alla parte in cui tale norma escludeva la possibilità di proporre l’istanza di correzione avverso una sentenza di primo grado, qualora la stessa risultasse impugnata tramite appello.

La constatazione che la sentenza di primo grado, a cui si equipara il decreto ingiuntivo, sia ormai immediatamente esecutiva, e che detta esecutività non venga sospesa automaticamente dalla sua impugnazione, fa sì che la parte vittoriosa abbia un interesse concreto a chiedere al giudice di primo grado la correzione della decisione, senza dover attendere i tempi necessari per la conclusione di un giudizio di appello.

Tale limitazione era stata originariamente ricondotta a ragioni di economia processuale, per cui il procedimento di correzione si riteneva «assorbito» in quello di appello, dal momento che il giudice dell’appello, tramite una pronuncia sostitutiva, avrebbe potuto effettuare la correzione.

Oggi, in seguito all’intervento del giudice costituzionale, risulta indiscutibile che il procedimento di correzione possa essere esperito, in pendenza di qualsiasi procedimento di impugnazione – incluso l’appello.

Dunque, qualora la sentenza da correggere sia già stata appellata da una delle parti, l’altra potrà proporre istanza di correzione davanti al giudice di primo grado, oppure presentare l’istanza direttamente davanti al giudice dell’impugnazione.

Quanto alla forma dell’istanza di correzione proposta in appello, la Corte di Cassazione ritiene che la stessa, non essendo volta a riformare il contenuto sostanziale della sentenza, non debba essere necessariamente formulata come uno specifico motivo di impugnazione, potendo assumere qualsiasi forma e persino essere dedotta implicitamente dalle argomentazioni difensive contenute nell’atto di appello.

Ne discenderebbe che l’istanza rimarrebbe valida indipendentemente dalle sorti processuali dell’atto in cui viene inserita.

Fonti normative

Codice civile: artt. 287 e 288.

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