Affidamento in prova con detenzione domiciliare: come funziona e quando si applica 

Nel sistema penale italiano, l’affidamento in prova al servizio sociale e la detenzione domiciliare costituiscono due delle principali misure alternative alla pena detentiva da espiare in carcere. Tali istituti, previsti dalla legge n. 354 del 1975 (ordinamento penitenziario), si ispirano a un modello di esecuzione penale fondato sulla rieducazione del condannato e sul suo reinserimento sociale. In un contesto in cui la sovrappopolazione carceraria rappresenta una criticità strutturale e la recidiva continua a minare l’efficacia del sistema repressivo, risulta fondamentale la conoscenza di questi strumenti, anche per valorizzare percorsi di responsabilizzazione e legalità. A differenza della detenzione ordinaria, che si svolge in regime carcerario con limitazioni totali della libertà personale, l’affidamento in prova e la detenzione domiciliare prevedono modalità meno afflittive, ma comunque rigorosamente controllate. La detenzione domiciliare, in particolare, permette di scontare la pena presso il domicilio o altro luogo di cura o assistenza, mantenendo un regime vincolato. L’affidamento in prova, invece, è subordinato a un programma trattamentale e comporta maggiori margini di autonomia, pur sotto il costante controllo dell’UEPE (Ufficio esecuzione pene esterne).


Cosa si intende per detenzione domiciliare

La detenzione domiciliare rappresenta una misura alternativa alla detenzione che consente al condannato di espiare la propria pena, o una parte di essa, nella propria abitazione o in altro luogo di privata dimora, di cura, assistenza e accoglienza. L'istituto trova la sua disciplina principale nell'art. 47-ter della legge n. 354 del 1975 (Ordinamento penitenziario).

La ratio dell'istituto risiede nella necessità di contemperare le esigenze di esecuzione della pena con particolari situazioni soggettive che renderebbero particolarmente pregiudizievole per il condannato la permanenza in carcere, realizzando al contempo finalità umanitarie e deflattive del sistema penitenziario.

La detenzione domiciliare ordinaria, disciplinata dall'art. 47-ter, si articola in diverse fattispecie:

Per motivi di salute: può essere concessa a persone in condizioni di salute particolarmente gravi che richiedano costanti contatti con i presidi sanitari territoriali (lett. c), o a persone di età superiore a sessanta anni se inabili anche parzialmente (lett. d). Come chiarito dalla Cassazione penale Sez. I n. 20709/2024, mentre la lett. c) richiede alterazioni fisico-psichiche di elevata intensità, la lett. d) necessita del duplice requisito dell'età e di una condizione di inabilità anche parziale.

Per madri con figli: è applicabile a donne incinte o madri di prole di età inferiore a dieci anni con lei convivente, per pene non superiori a quattro anni (lett. a). Il padre può accedervi solo quando la madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata (lett. b). 

La Detenzione domiciliare generica: prevista dal comma 1-bis per pene non superiori a due anni, indipendentemente dalle condizioni specifiche, purché idonea ad evitare il pericolo di commissione di altri reati.

L'art. 47-quinquies disciplina la detenzione domiciliare speciale per madri di prole di età non superiore a dieci anni. Come evidenziato dalla Cassazione penale Sez. I n. 18243/2023, questa misura può essere concessa anche per reati inclusi nel catalogo dell'art. 4-bis e indipendentemente dall'entità della pena, dopo l'espiazione di almeno un terzo della pena o quindici anni per l'ergastolo.

L'art. 47-quater prevede una disciplina specifica per soggetti affetti gravi malattie come da AIDS conclamata o grave deficienza immunitaria, consentendo l'applicazione delle misure alternative anche oltre i limiti di pena ordinari.

Esempi pratici: 1) Un padre condannato può accedere alla detenzione domiciliare solo se la madre del bambino sia deceduta o assolutamente impossibilitata. Come chiarito dalla Cassazione penale Sez. I n. 34876/2021, il requisito dell'assoluta impossibilità non deve essere interpretato in modo eccessivamente rigido; 2) Un condannato ultrasessantenne con patologie invalidanti può ottenere la detenzione domiciliare ex art. 47-ter, comma 1, lett. d), anche se la pena supera i quattro anni, applicando il comma 1-ter che consente deroghe ai limiti ordinari.


Cos’è l’affidamento in prova al servizio sociale 

L’affidamento in prova al servizio sociale è una misura alternativa alla detenzione, prevista dall’art. 47 della legge 26 luglio 1975, n. 354 (ordinamento penitenziario), che consente al condannato di espiare la pena fuori dal carcere, in un contesto controllato e rieducativo. La misura ha lo scopo di favorire il reinserimento sociale del reo attraverso l’adozione di un programma di trattamento individualizzato, predisposto con l’Ufficio di esecuzione penale esterna (UEPE) e approvato dal magistrato di sorveglianza.

La finalità principale dell’affidamento in prova è quella di realizzare la funzione rieducativa della pena, prevista dall’art. 27, comma 3, della Costituzione. In tale prospettiva, si valorizza l’autoresponsabilizzazione del condannato, il mantenimento dei legami familiari, sociali e lavorativi, nonché la prevenzione del rischio di recidiva.

Può essere concesso a soggetti condannati a pene detentive non superiori a quattro anni, anche se residui, o a sei anni nei casi particolari previsti dall’art. 94 d.P.R. n. 309/1990 (soggetti tossicodipendenti o alcolisti in trattamento). Sono escluse dall’accesso alla misura le persone condannate per reati ostativi ai sensi dell’art. 4-bis ord. penit., salvo specifiche deroghe (es. collaborazione con la giustizia).

Durante l’affidamento, il condannato è sottoposto a obblighi comportamentali stringenti: mantenere la residenza nel luogo autorizzato, astenersi da frequentazioni pericolose, osservare gli orari imposti, presentarsi periodicamente agli operatori UEPE, svolgere attività lavorativa o formativa, partecipare a programmi terapeutici ove previsti. Ogni violazione può comportare la revoca della misura e il ripristino della detenzione ordinaria.


Affidamento in prova e detenzione domiciliare: le differenze  

La prima differenza sostanziale tra affidamento in prova e detenzione domiciliare riguarda il luogo di esecuzione della pena. Nell'affidamento in prova al servizio sociale, il condannato non è sottoposto a restrizioni domiciliari specifiche, ma viene affidato al servizio sociale "fuori dell'istituto" con prescrizioni relative alla dimora, libertà di locomozione e rapporti con il servizio sociale. La detenzione domiciliare, invece, comporta l'espiazione della pena "nella propria abitazione o in altro luogo di privata dimora ovvero in luogo pubblico di cura, assistenza o accoglienza", con una restrizione spaziale più marcata.

Il controllo e il grado di libertà differiscono significativamente tra le due misure. Come evidenziato dalla Cassazione penale Sez. I n. 46356/2023, la detenzione domiciliare ha "carattere più marcatamente contenitivo" rispetto all'affidamento in prova. Nella detenzione domiciliare possono essere prescritte procedure di controllo mediante mezzi elettronici, mentre l'affidamento in prova si basa principalmente sul controllo del servizio sociale attraverso colloqui e verifiche periodiche.

Le misure accessorie riflettono le diverse finalità degli istituti. Come chiarito dalla Cassazione penale Sez. I n. 10325/2023, mentre l'affidamento in prova "presuppone l'avvio di un processo di emenda da parte del condannato", la detenzione domiciliare "può essere disposta alla sola condizione che sia scongiurato il pericolo di commissione di nuovi reati".

Nell'affidamento in prova, il servizio sociale "controlla la condotta del soggetto e lo aiuta a superare le difficoltà di adattamento alla vita sociale", con un approccio più orientato al reinserimento attivo. Nella detenzione domiciliare, l'intervento del servizio sociale è più limitato e focalizzato sul controllo del rispetto delle prescrizioni.

I presupposti differiscono significativamente. Come sottolineato dalla Cassazione penale Sez. I n. 15600/2024, l'affidamento in prova richiede "una valutazione particolarmente incisiva e rigorosa della personalità del condannato, essendo finalizzato alla completa emenda del reo", mentre la detenzione domiciliare "presuppone una prognosi positiva e la meritevolezza del condannato, ma non esige la completa emenda, costituendo primariamente una misura di controllo della pericolosità sociale".

La Cassazione penale Sez. I n. 31618/2022 precisa che l'affidamento in prova richiede "una positiva evoluzione della personalità del condannato successiva al reato" e "l'avvio di un significativo processo di emenda", mentre per la detenzione domiciliare è sufficiente "che sia escluso il pericolo di commissione di nuovi reati".

In sintesi, l'affidamento in prova rappresenta una misura più fiduciaria e orientata al reinserimento attivo, mentre la detenzione domiciliare costituisce una forma di detenzione attenuata con maggiori controlli e restrizioni spaziali, applicabile quando non sussistono i presupposti per misure più ampie.


È possibile combinare affidamento in prova e detenzione domiciliare? 

Affidamento in prova al servizio sociale e detenzione domiciliare sono misure alternative alla detenzione in carcere, disciplinate entrambe dalla legge sull’ordinamento penitenziario (l. n. 354/1975), ma distinte per presupposti, contenuto e modalità esecutive. In linea generale, non si tratta di misure cumulabili in senso stretto, ma l’ordinamento consente il passaggio da una all’altra, in presenza di mutate condizioni soggettive o di esigenze sopravvenute.

La detenzione domiciliare, regolata dall’art. 47-ter ord. penit., consente al condannato di espiare la pena presso il proprio domicilio o altro luogo autorizzato, in regime di restrizione, ed è applicabile per pene non superiori a quattro anni (sei in ipotesi particolari). L’affidamento in prova, ex art. 47, offre invece un modello trattamentale più articolato e meno restrittivo, fondato su un programma individualizzato e sul controllo dell’UEPE.

La normativa non prevede una combinazione simultanea, ma consente il passaggio da una misura all’altra. È il caso, ad esempio, del soggetto inizialmente ammesso alla detenzione domiciliare per ragioni sanitarie o familiari, che successivamente, accertato un positivo percorso rieducativo, può essere ammesso all’affidamento in prova. Viceversa, qualora l’affidamento venga meno per cause non imputabili al condannato (es. perdita del lavoro, ritiro dell’assenso da parte dei conviventi), può essere concessa la detenzione domiciliare in sostituzione, se ne ricorrono i requisiti.

Il magistrato di sorveglianza svolge un ruolo centrale in tale dinamica: valuta le istanze, acquisisce le relazioni dell’UEPE (ufficio esecuzione pene esterne) e dispone la modifica della misura, anche d’ufficio, nell’interesse del trattamento. Tale potere trova fondamento nell’art. 47, comma 11, ord. penit., che legittima il magistrato a sospendere, revocare o modificare la misura alternativa in corso, adattandola all’evoluzione della situazione del condannato.


Requisiti per accedere alle misure alternative

La condotta del detenuto rappresenta un elemento centrale nella valutazione per l'accesso alle misure alternative. Come chiarito dalla Cassazione penale Sez. I n. 29244/2024, non è sufficiente la mera assenza di elementi negativi, ma è necessario che sussistano elementi positivi che consentano un giudizio prognostico favorevole sulla prova e sulla prevenzione del pericolo di recidiva.
Per l'affidamento in prova al servizio sociale, l'art. 47 richiede che il provvedimento sia adottato sulla base dei risultati dell'osservazione della personalità, quando si può ritenere che contribuisca alla rieducazione del reo e assicuri la prevenzione del pericolo di commissione di altri reati. La Cassazione penale Sez. I n. 25543/2024 precisa che deve essere significativamente avviato un processo di emenda, valutando l'evoluzione della personalità successiva al reato.

Per la detenzione domiciliare, la condotta assume rilevanza per verificare che la misura sia idonea ad evitare il pericolo di commissione di altri reati, come previsto dall'art. 47-ter, comma 1-bis.

I limiti di pena costituiscono requisiti oggettivi fondamentali. Per l'affidamento in prova, l'art. 47 prevede che la pena detentiva non superi tre anni, estesi a quattro anni dal comma 3-bis per condannati che abbiano serbato comportamento adeguato nell'anno precedente.

Per la detenzione domiciliare ordinaria, l'art. 47-ter, comma 1 stabilisce il limite di quattro anni per le ipotesi specifiche (madri, persone anziane o malate), mentre il comma 1-bis prevede il limite di due anni per la detenzione domiciliare generica.

L'art. 656 del codice di procedura penale disciplina la sospensione dell'esecuzione per pene non superiori a tre anni (quattro per la detenzione domiciliare), consentendo la presentazione di istanza per misure alternative.

L'art. 4-bis dell'ordinamento penitenziario prevede significative limitazioni per reati gravi. Le misure alternative sono precluse per delitti di criminalità organizzata, terrorismo, traffico di stupefacenti e reati sessuali, salvo collaborazione con la giustizia o ricorrenza delle condizioni dei commi 1-bis e 1-ter.

Come evidenziato dalla Cassazione penale Sez. I n. 24431/2023, per la detenzione domiciliare generica ex art. 47-ter, comma 1-bis, è sufficiente la mera condanna per reati dell'art. 4-bis per precludere l'accesso, senza necessità di ulteriori accertamenti sui collegamenti con la criminalità organizzata.

L'art. 58-quater prevede ulteriori divieti per condannati che abbiano violato precedenti misure alternative o commesso evasione.

La valutazione della pericolosità sociale rappresenta il fulcro del giudizio prognostico. La Cassazione penale Sez. I n. 17520/2023 sottolinea che le misure alternative possono essere concesse solo previa verifica dell'idoneità ai fini della risocializzazione e della prevenzione della recidiva, sulla base di una prognosi positiva che richiede un'esaustiva ricognizione degli elementi di giudizio.

Per i reati dell'art. 4-bis, il comma 2 prevede un procedimento istruttorio rafforzato, con acquisizione di informazioni dal comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica e valutazione di elementi specifici che escludano collegamenti con la criminalità organizzata.

La Cassazione penale Sez. I n. 40280/2023 chiarisce che non assumono valore decisivo elementi come la gravità del reato o i precedenti penali, dovendo il tribunale valutare sia gli aspetti negativi sia quelli positivi come l'assenza di nuove denunce, il ripudio delle condotte devianti e le prospettive di risocializzazione.

La valutazione deve considerare l'evoluzione della personalità, il vissuto criminale, le condizioni psicologiche e la durata della pena da espiare, oltre all'idoneità del domicilio per la detenzione domiciliare, come precisato dalla Cassazione penale Sez. I n. 25543/2024.


Procedura per la richiesta e concessione 

La richiesta di affidamento in prova al servizio sociale o di detenzione domiciliare deve essere presentata dal condannato – o dal suo difensore munito di procura speciale – al magistrato di sorveglianza o al Tribunale di sorveglianza competente in relazione al luogo di esecuzione della pena. In caso di pena da espiare non superiore a tre anni, è sufficiente l’intervento del magistrato di sorveglianza; per pene superiori, ma entro i limiti previsti dalla legge, decide il collegio.

L’istanza deve essere corredata da idonea documentazione: copia della sentenza di condanna, certificato del casellario, indicazione del domicilio, eventuali certificazioni mediche o attestazioni lavorative, nonché ogni elemento utile a dimostrare la possibilità di un effettivo percorso rieducativo. Nei casi di affidamento ex art. 94 d.P.R. 309/1990, è necessaria l’attestazione dell’avvio del programma terapeutico presso una struttura accreditata.

Il procedimento ha natura non contenziosa e si svolge secondo il rito camerale. Una volta ricevuta l’istanza, l’ufficio di sorveglianza dispone una istruttoria, nella quale riveste un ruolo centrale la relazione dell’Ufficio di esecuzione penale esterna (UEPE), che valuta la personalità del condannato, il suo ambiente familiare, lavorativo e sociale, e propone un programma di trattamento.

I tempi per la decisione variano in funzione della complessità della situazione e del carico dell’ufficio. L’udienza può essere fissata entro poche settimane o, in casi urgenti, anche in via d’urgenza. Il provvedimento finale è adottato con ordinanza motivata, che accoglie o rigetta l’istanza. In caso di rigetto, è ammesso reclamo ai sensi dell’art. 69 ord. penit.


Obblighi e prescrizioni durante l’esecuzione 

Il sistema di controllo delle misure alternative si articola su più livelli istituzionali. Per l'affidamento in prova al servizio sociale, l'art. 47, comma 9 stabilisce che "il servizio sociale controlla la condotta del soggetto e lo aiuta a superare le difficoltà di adattamento alla vita sociale".
L'art. 58 prevede la partecipazione della polizia penitenziaria alle attività di controllo, "secondo le indicazioni del direttore dell'ufficio di esecuzione penale esterna e previo coordinamento con l'autorità di pubblica sicurezza", limitatamente all'osservanza delle prescrizioni inerenti dimora, libertà di locomozione, divieti di frequentazione e detenzione di armi.

Per la detenzione domiciliare, l'art. 58-quinquies consente l'utilizzo di "procedure di controllo anche mediante mezzi elettronici o altri strumenti tecnici", applicando le disposizioni dell'art. 284 del codice di procedura penale.

Gli incontri periodici costituiscono elemento centrale del controllo. L'art. 47, comma 10 prevede che "il servizio sociale riferisce periodicamente al magistrato di sorveglianza sul comportamento del soggetto". Come evidenziato dalla Cassazione penale Sez. I n. 44766/2024, la misura alternativa "presuppone necessariamente un contatto diretto e una collaborazione costante tra l'affidato e il servizio sociale".

Per la detenzione domiciliare speciale, l'art. 47-quinquies, comma 5 stabilisce che "il servizio sociale riferisce periodicamente al magistrato di sorveglianza sul comportamento del soggetto".

Le prescrizioni sono dettagliatamente disciplinate. L'art. 47, comma 5 prevede prescrizioni "in ordine ai suoi rapporti con il servizio sociale, alla dimora, alla libertà di locomozione, al divieto di frequentare determinati locali ed al lavoro". Il comma 7 aggiunge l'obbligo che "l'affidato si adoperi in quanto possibile in favore della vittima del suo reato ed adempia puntualmente agli obblighi di assistenza familiare".

Come chiarito dalla Cassazione penale Sez. I n. 44766/2024, le prescrizioni hanno "una duplice finalità: alcune mirano direttamente alla risocializzazione del condannato (rapporti con il servizio sociale, attività lavorativa, prescrizioni di solidarietà), altre alla neutralizzazione dei fattori di recidiva (obbligo di dimora, limitazioni nei movimenti, divieti di frequentazione)".

Per la detenzione domiciliare, l'art. 47-ter, comma 4 stabilisce che il tribunale "ne fissa le modalità secondo quanto stabilito dall'articolo 284 del codice di procedura penale", che prevede limitazioni agli spostamenti e comunicazioni.

Le violazioni comportano conseguenze graduate. Per l'affidamento in prova, l'art. 47, comma 11 prevede che "l'affidamento è revocato qualora il comportamento del soggetto, contrario alla legge o alle prescrizioni dettate, appaia incompatibile con la prosecuzione della prova".

La Cassazione penale Sez. I n. 11205/2025 precisa che "la revoca della misura alternativa non discende automaticamente dalla mera violazione della legge penale o delle prescrizioni dettate, ma richiede che il giudice di sorveglianza ritenga che la violazione commessa costituisca, in concreto, una sopravvenienza incompatibile con la prosecuzione della prova".

Per la detenzione domiciliare, l'art. 47-ter, comma 6 stabilisce che "la detenzione domiciliare è revocata se il comportamento del soggetto, contrario alla legge o alle prescrizioni dettate, appare incompatibile con la prosecuzione delle misure". Il comma 8 prevede che l'allontanamento non autorizzato costituisce reato ex art. 385 del codice penale, e il comma 9 stabilisce che "la condanna per il delitto di cui al comma 8, salvo che il fatto non sia di lieve entità, importa la revoca del beneficio".

Le modifiche alle prescrizioni sono disciplinate dall'art. 47, comma 8, che prevede la competenza del magistrato di sorveglianza, mentre l'art. 69, comma 7 attribuisce al magistrato di sorveglianza il potere di provvedere "sulle modifiche relative all'affidamento in prova al servizio sociale e alla detenzione domiciliare".

La Cassazione penale Sez. I n. 41815/2023 sottolinea che l'affidamento in prova "presuppone indefettibilmente la continua reperibilità dell'interessato sia prima dell'applicazione del beneficio che durante la sua esecuzione", essendo tale condizione necessaria per valutare l'osservanza delle prescrizioni.


Vantaggi e limiti delle misure alternative alla detenzione 

Le misure alternative alla detenzione rappresentano uno strumento fondamentale per l'attuazione della finalità costituzionale rieducativa della pena, offrendo significativi vantaggi sia per il condannato che per la società nel suo complesso.

Per il detenuto, le misure alternative consentono di mantenere i legami familiari e sociali, elemento cruciale per il processo di reinserimento. L'affidamento in prova al servizio sociale permette di proseguire o intraprendere attività lavorative, mentre la detenzione domiciliare consente di mantenere la residenza presso il proprio domicilio. Come evidenziato dalla Cassazione penale Sez. I n. 25543/2024, queste misure favoriscono "l'evoluzione della personalità successiva al reato nella prospettiva del reinserimento sociale".

Per la società, le misure alternative comportano una significativa riduzione dei costi del sistema penitenziario. L'art. 47-ter, comma 5 stabilisce espressamente che "nessun onere grava sull'amministrazione penitenziaria per il mantenimento, la cura e l'assistenza medica del condannato che trovasi in detenzione domiciliare". Inoltre, favoriscono la deflazione del sovraffollamento carcerario e riducono i tassi di recidiva attraverso percorsi individualizzati di recupero sociale.

Nonostante i benefici, l'applicazione delle misure alternative presenta diverse criticità operative e gestionali. La Cassazione penale Sez. I n. 29244/2024 sottolinea che "non è sufficiente la mera assenza di elementi negativi, ma è necessario che sussistano elementi positivi che consentano un giudizio prognostico favorevole".

Una prima criticità riguarda la complessità della valutazione prognostica. Come chiarito dalla Cassazione penale Sez. I n. 17520/2023, è necessaria "un'esaustiva ricognizione degli elementi di giudizio" che richiede competenze specialistiche e tempi adeguati di osservazione.

Le limitazioni previste dall'art. 4-bis dell'ordinamento penitenziario per i reati gravi comportano un'ulteriore complessità procedurale, richiedendo "dettagliate informazioni per il tramite del comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica" e pareri specialistici che possono rallentare significativamente i tempi di decisione.

La disponibilità di mezzi di controllo elettronico, previsti dall'art. 58-quinquies, rappresenta un ulteriore limite operativo, come evidenziato dall'art. 123 del decreto "Cura Italia" che subordina l'applicazione delle misure alla disponibilità di strumenti tecnici "nei limiti delle risorse finanziarie disponibili".

L'efficacia delle misure alternative nel favorire il reinserimento sociale dipende dalla qualità del supporto offerto dai servizi territoriali. L'art. 47, comma 9 stabilisce che "il servizio sociale controlla la condotta del soggetto e lo aiuta a superare le difficoltà di adattamento alla vita sociale", evidenziando la duplice funzione di controllo e sostegno.
La Cassazione penale Sez. I n. 37191/2024 sottolinea l'importanza di "un contesto familiare estraneo ad ambienti criminali" e dell'"esistenza di un'offerta di attività lavorativa o socialmente utile", elementi che incidono significativamente sul successo del reinserimento.

Tuttavia, la carenza di risorse dei servizi sociali territoriali e la limitata disponibilità di opportunità lavorative per ex detenuti rappresentano ostacoli significativi. Come evidenziato dalla Cassazione penale Sez. I n. 43097/2023, "l'assenza di un'attività lavorativa, la mancanza di un alloggio sicuro possono giustificare il diniego della misura per impossibilità di formulare una prognosi favorevole di non recidivanza".

L'art. 47, comma 12 prevede che "l'esito positivo del periodo di prova estingue la pena detentiva ed ogni altro effetto penale", rappresentando un forte incentivo al successo del percorso rieducativo. Tuttavia, l'art. 58-quater stabilisce preclusioni significative per chi abbia violato precedenti misure alternative, limitando le possibilità di recupero per soggetti con percorsi problematici.
In conclusione, le misure alternative rappresentano uno strumento prezioso per la realizzazione degli obiettivi rieducativi del sistema penale, ma la loro efficacia dipende dalla disponibilità di risorse adeguate, dalla qualità dei servizi territoriali e dalla capacità di superare le criticità operative che ne limitano l'applicazione ottimale.


FAQ – Domande frequenti su “Affidamento in prova con detenzione domiciliare” 

  • Posso ottenere entrambe le misure nello stesso periodo? No. Le misure alternative sono tra loro alternative e non cumulabili in via simultanea. Tuttavia, è possibile passare da una misura all’altra, previa valutazione del magistrato di sorveglianza.;

  • Chi decide se applicare l’affidamento in prova o la domiciliare? La competenza è del magistrato di sorveglianza o del Tribunale di sorveglianza, a seconda della durata della pena residua e della natura del provvedimento richiesto. La decisione tiene conto del programma proposto, della condotta del condannato e delle relazioni dell’UEPE;

  • È possibile lavorare durante l’affidamento in prova o la domiciliare? Sì. Entrambe le misure prevedono la possibilità di svolgere attività lavorativa, purché dichiarata e autorizzata. Il lavoro rappresenta un elemento positivo di reinserimento e responsabilizzazione.

  • Le misure alternative cancellano la pena? No. L’affidamento in prova e la detenzione domiciliare non estinguono la pena, ma ne consentono l’esecuzione in forme meno afflittive rispetto alla reclusione carceraria. La pena si considera comunque espiata al termine della misura.

  • Cosa succede se si violano le condizioni dell’affidamento o della domiciliare? In caso di violazione grave o reiterata delle prescrizioni, il magistrato può disporre la revoca della misura alternativa, con conseguente ripristino della detenzione ordinaria in carcere. L’UEPE segnala tempestivamente le inadempienze al giudice competente.

Avvocato Marco Mosca

Marco Mosca

Sono l'Avv. Marco Mosca ed opero da 12 anni nel campo giuridico. Ho maturato una significativa esperienza in molti settori del diritto, in particolare nell'ambito della materia societaria e di tutto ciò che ad essa è collegato. Pertan ...